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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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sabato 29 marzo 2014

Sanzioni alla Russia: impatto sull'industria aerospaziale

Russia-Ucraina crisi e l'impatto sulle industrie dell'Aerospazio e Difesa

Russia-Ucraina Crisi e l'impatto sul Aerospazio e Difesa Industries è il titolo di un breve verbale rilasciato da Frost & Sullivan. Essi affermano che questo "shock geopolitico è improbabile che venire come una grande sorpresa per qualsiasi attività, investendo nella regione". Sanzioni all'esportazione contro la Russia non avrebbe un impatto significativo per la Difesa e Sicurezza aziende a causa della limitata, il ricorso non strategico e il fatto che la cooperazione si basa sulla joint venture.
La massima Russia e le imprese europee livello di cooperazione tra è significativa in Germania, Italia e Francia.Invesments italiani in Russia sono con Iveco - per la mobilità veicoli leggeri - Agusta-Westland - per l'AW139 - e Elettronica - per l'Antonov An-140 electronics.Furthermore SELEX ES, con la sua divisione britannica, è collegato con le aziende russe per la produzione dell'avionica sistemi.
Il rapporto ( disponibile qui ) conclude che il partenariato con la Russia, se deragliato da sanzioni economiche, può significare solo "una pausa di breve termine".

venerdì 28 marzo 2014

Da Nicolò Locatelli:

Care e cari,

anche questa volta la mia rubrica su Limesonline è in versione "snack news": le notizie della settimana in 10 righe


Graditi come sempre commenti, critiche e condivisioni
Grazie dell'attenzione, buon fine settimana

Niccolò

giovedì 27 marzo 2014

Orizzonti nuovi nel Golfo

Una nuova storia per il Medio Oriente
Gli Stati del Golfo sono stati a lungo sinonimo di due cose: l'instabilità e l'olio. Questo sta cambiando, e non solo in appariscente Dubai. I sei membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) sono tutti alla ricerca seriamente a strategie di diversificazione economica. Ciò è in parte sulla pianificazione per un tempo quando il petrolio potrebbe non fornire il denaro lo fa ora, ma anche di appianare il ciclo economico e fornendo occupazione. EIU analisi mostra che il GCC è in realtà un buon posto per fare affari: la nostra misura del rischio operativo è notevolmente più bassa nei paesi del GCC che nelle aree circostanti dell'Asia meridionale, Nord Africa e Africa sub-sahariana. Il loro tentativo di diventare hub globale per la produzione, i servizi e il commercio potrebbe essere non che inverosimile.
Ho trascorso la settimana scorsa in Oman, discutendo la strategia di diversificazione del paese con il governo e le imprese leader. Modifica delle catene di approvvigionamento globali aprono nuove opportunità, ed è fondamentale per le imprese e responsabili politici a comprendere queste tendenze in modo da essere in grado di capitalizzare su di essi. Il 1200 km lungo pianificata  stazione Etihad  collegherà la regione, causando una spinta per il commercio e una riduzione dei costi operativi. Questo tipo di integrazione regionale sarà fondamentale.
Pensi che è realistico per il Medio Oriente per diversificare dal settore petrolifero? Avete mai pensato di fare più affari nella regione? Mi piacerebbe sentire i vostri pensieri  a  simonjbaptist@eiu.com  o via Twitter a  @ Baptist_Simon .
Cordiali saluti, Simon Battista Chief Economist e Direttore Regionale Asia


mercoledì 26 marzo 2014

Le Elezioni Europee: rischio valanga euroscettica

Elezioni europee
Commissione politica, politicizzata, ma non partigiana
Riccardo Perissich
24/03/2014
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La domanda gira da tempo, con precisione da quando i maggiori partiti politici hanno deciso di presentare ciascuno un candidato alla presidenza della Commissione. Il dibattito ha la memoria corta. Per capire meglio, è opportuno distinguere tre aggettivi: politica, politicizzata e partigiana.

Non solo guardiana dei trattati
Piaccia o no, la Commissione è sempre stata un organo “politico”, anche se con poteri ridotti e da esercitare nei limiti del trattato. Come interpretare altrimenti il suo diritto d’iniziativa? Anche alcuni poteri di controllo, per esempio quelli sul rispetto delle regole di concorrenza, non sono incompatibili con un ruolo politico; negli Stati Uniti le indagini antitrust sono condotte (come in Europa sotto controllo giudiziario) dal Dipartimento della Giustizia.

Se alcuni in passato hanno proposto di affidarli a un’agenzia indipendente sul modello tedesco, è proprio per sottrarli a un organo considerato “politico”. Più recentemente il six pact e il two pact hanno affidato alla Commissione poteri che sono molto più “politici” di quelli che esercitava nella sua funzione di guardiana dei trattati.

Ugualmente, la Commissione è sempre stata “politicizzata”. Molti suoi membri vengono dalla politica nazionale e intendono tornarci. Tutti o quasi, anche quelli che prima di assumere il mandato erano alti funzionari, hanno preso l’abitudine di riconoscersi in uno dei gruppi politici del Parlamento europeo (Pe) e ne hanno frequentato i congressi.

Moltissimi (Jacques Delors è il caso più noto, ma anche, per esempio, i Commissari britannici) non hanno mai cessato di partecipare anche alla politica nazionale. Quando ero a Bruxelles si parlava tranquillamente (e nessuno se ne scandalizzava) di Commissari socialisti, liberali o democristiani; era considerato politicamente più corretto che definirli con la loro nazionalità.

Alcuni sono a volte sospettati di venir meno al loro dovere d’indipendenza, ma sempre per troppa condiscendenza nei confronti del proprio “paese” e non del proprio “partito”.

Rischio valanga euroscettica
Infine, “politica” e “politicizzata”, ma non “partigiana”. Una Commissione identificata con una maggioranza ipotizzerebbe un’Europa diversa da quello che è, dominata in modo inequivocabile da un solo schieramento; tutte le proiezioni dicono che nessun partito avrà più di un terzo dei seggi nel nuovo Pe e la presenza di un folto gruppo di euroscettici obbligherà i partiti tradizionali ad accordarsi. Comunque, anche con questi nuovi sviluppi i governi continueranno a conservare un ruolo importante nella nomina della Commissione.

Si dice: “come farebbe un presidente espressione di un partito a dialogare con governi espressione di un partito diverso?” La risposta è semplice: esattamente come in passato, quando Delors andava d’amore e d’accordo con Helmut Kohl. Del resto anche se il Presidente fosse più chiaramente riconducibile a un partito, la Commissione è sempre stata espressione di una variegata coalizione e così continuerà a essere; più simile al Consiglio Federale della Confederazione elvetica che ai governi che abbiamo nei nostri paesi.

Anche quando le nomine erano interamente nelle mani dei governi, la composizione della Commissione teneva conto di equilibri politici; se così non fosse, l’alto Rappresentante della politica estera Ashton non sarebbe dov’è.

Deficit democratico da colmare
Allora, di cosa stiamo parlando? L’Europa è accusata non senza ragione di deficit democratico e di scarsa trasparenza. Quando un commissario esercita i suoi poteri, sentiamo dire: “chi è costui, chi l’ha eletto?”. È facile rispondere che la Commissione è comunque responsabile di fronte al Pe, ma non basta più.

Nei meccanismi della democrazia il processo conta almeno quanto il risultato. Ciò che manca alle istituzioni europee è proprio un processo che faccia pensare ai cittadini che le persone che siedono a Bruxelles sono “anche cosa loro”. Può non piacere, ma la democrazia moderna è sempre più (troppo?) un problema di persone.

L’iniziativa dei partiti non è quindi destinata a cambiare la natura della Commissione, ma solo a farla evolvere secondo una tendenza in atto da decenni. La vera domanda è un’altra: riuscirà a dare alla Commissione la legittimità che attualmente le manca? Su questo punto, è legittimo esprimere dubbi. Dopo tutto il trattato di Lisbona conserva ampi poteri al Consiglio europeo che potrebbero essere disattesi solo se le elezioni producessero un’ampia maggioranza a favore di un solo candidato.

Sappiamo che così non sarà, ma si aprirà un negoziato in cui il Pe sarà notevolmente rafforzato rispetto al passato. Inizierà un processo che potrà essere lungo e accidentato, ma che sarà positivo per l’avvenire delle istituzioni.

La verità è che chi ha lanciato questa polemica non lo fa per evitare un cambiamento, ma piuttosto per sovvertire una situazione già consolidata. Vuole negare alla Commissione la possibilità di acquisire la maggiore legittimità che le è necessaria per esercitare i poteri che le sono stati attribuiti; in sostanza, ridurla a semplice organo tecnico lasciando ai governi il monopolio del potere.

L’operazione non è nuova ed è politicamente legittima. Ciò non toglie che la polemica sia intellettualmente disonesta.

Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.
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lunedì 17 marzo 2014

Ucraina: verso una soluzione di compromesso

Crisi Ucraina
La chiave di svolta della finlandizzazione
Vincenzo Camporini
11/03/2014
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Solo le prossime settimane ci diranno se la questione Ucraina è destinata a diventare uno spartiacque storico che condizionerà per lungo tempo in modo antagonista Russia da un lato e Stati Uniti ed Europa dall’altro, oppure resterà solo un vistoso ostacolo temporaneo, superato il quale si aprono nuovi - per certi versi inattesi - orizzonti.

Amici o vassalli di Putin
Nella visione putiniana in effetti, la Russia non è impegnata in una politica espansionista, ma al contrario sta difendendo il proprio interesse vitale a non essere relegata fra i comprimari nel grande gioco strategico, un gioco le cui regole l’Occidente postmoderno crede siano solo un retaggio, relegato nei manuali di storia.

La Russia di Putin, che si sente l’erede di una storia millenaria, non è solo l’epigono dell’Unione Sovietica ma continua ad essere il paese più grande del mondo in termini di superficie, e non vuole essere schiacciato a occidente e a oriente da potenze che non riuscirà mai a percepire come amiche, anche perché consapevole delle sue insuperabili debolezze strutturali, dalla demografia in discesa al fatiscente quadro industriale, che non consentono alla dirigenza di Mosca di guardare con ottimismo alle decadi future.

Ne consegue l’ansia di circondarsi di una fascia di paesi in qualche modo legati da un vincolo che, a seconda del punto di vista, si può definire di amicizia o di vassallaggio e viene considerato oggi inaccettabile quanto accaduto all’inizio del secolo, quando, in una fase di estrema debolezza, la Russia ha dovuto inghiottire il boccone amaro dell’adesione alla Nato dei Paesi Baltici.

Non deve sorprendere dunque se oggi, sull’onda di una forza finanziaria generata dalla rendita energetica e rassicurata da quella che percepisce come una crescente debolezza strutturale occidentale, sia in termini economici che militari, Mosca non è più disposta a subire quella che percepisce come un’ulteriore erosione della propria area di sicurezza.

Ucraina al bivio
Quanto accaduto negli ultimi anni e in particolare negli ultimi mesi in Ucraina ha fortemente alimentato le preoccupazioni russe, con una spaccatura tra due fazioni che si sarebbe dovuta evitare e le cui colpe possono essere equamente distribuite: da un lato chi sogna un’impossibile riunificazione con Mosca, percepita come Grande Madre ed a cui è pesantemente legata, non fosse altro che per le forniture energetiche, dall’altro chi invece guarda all’Occidente come il solo attore che possa offrire una prospettiva di futuro sviluppo e di apertura di mercati che possa far rinascere un’economia ansimante. Due visioni percepite come confliggenti e mutuamente esclusive.

L’errore di entrambe le parti, Occidente e Russia, è stato quello di alimentare queste visioni senza cercare sagacemente una sintesi che avrebbe potuto, e potrebbe ancora, portare al superamento di queste opposte visioni: un grave errore, alimentato dalle reciproche diffidenze antiche di quasi un secolo cui è tempo di rimediare.

Non è obbligatorio che Kiev stia da una parte o dall’altra: bisogna trovare una via di mezzo che salvaguardi gli obiettivi a breve di entrambi e costituisca inoltre il fondamento di una futura collaborazione strategica che è storicamente indispensabile, per essere pronti ad affrontare con successo le sfide poste dell’emergere di culture e potenze la cui compatibilità con la visione del mondo che ci appartiene è dubbia e tutta da dimostrare.

Ricordi georgiani
Washington e i partner europei non hanno una visione e conseguentemente una politica del tutto coincidente: si può rammentare il franco dibattito al vertice Nato di Bucarest dell’aprile 2008, tra chi voleva offrire subito a Georgia ed Ucraina l’adesione all’Alleanza e chi era invece su posizioni più prudenti. Ne uscì una promessa che in un futuro da definire le porte si sarebbero aperte, ma la reazione russa non si fece attendere, anche perché innescata da atteggiamenti discutibili della leadership georgiana e nella prima decade di agosto si consumò un breve conflitto con cui Mosca ritenne di avere salvaguardato i propri interessi nella regione.

Peraltro la prova offerta dalle forze armate russe non fu esaltante, nonostante la pochezza dell’avversario e Mosca dovette constatare che la propria macchina militare presentava gravi carenze: a titolo di esempio si può citare il fatto che una gran parte del munizionamento di caduta utilizzato dall’aeronautica russa (le stime vanno da oltre il 50% fino a quasi il 90%) non esplose per la pessima manutenzione delle spolette.

La lezione fu messa a frutto e oggi le forze armate russe godono di una grande attenzione da parte del vertice politico, che sta investendo in modo massiccio sia per l’ammodernamento dei mezzi (più 44% nei prossimi tre anni), sia per rinforzare il morale e il livello di disciplina delle proprie truppe.

Da questa esperienza ci si sarebbe potuto attendere un atteggiamento radicalmente diverso da parte dell’Occidente, non di appeasement, ma propositivo, di superamento di una visione e di una conseguente politica di contrapposizione.

È illuminante l’articolo di qualche giorno fa di Hanry Kissinger sul Washington Post, che sollecita un approccio mirato a attenuare le contrapposizioni interne all’Ucraina, mettendo da parte qualsiasi ipotesi di una sua adesione alla Nato che sarebbe inevitabilmente percepita da Mosca come atto ostile, ma aprendo a un rapporto più stretto con l’Unione europea, secondo uno schema che è stato definito di ‘finlandizzazione’ dell’Ucraina e che ha il potenziale di trasformare Kiev da terreno di scontro della opposte ambizioni (interne ed esterne), a ponte ideale tra Occidente e Mosca, su cui costruire un rapporto basato sulla fiducia e non sulla diffidenza.

Non è una via agevole, anche perché presuppone una convincente azione di ‘moral suasion’ su chi oggi detiene le leve del potere in Ucraina, come su chi soffia sul fuoco delle tendenze separatiste, ma è una via che deve essere seguita con determinazione, in quanto figlia di una visione sensata e fattibile su cui si deve investire, in modo che da questa partita tutti possano uscire come vincitori.

Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, è vicepresidente dello IAI.
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Missione Europea EUTOR RCA

Repubblica Centrafricana
Repubblica Centrafricana

Il 10 febbraio è stata ufficializzato l’avvio della Missione Europea in Repubblica Centrafricana (EUFOR RCA), autorizzata in base alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n.2134 del 28 gennaio 2014 e avente l’obbiettivo di stabilizzare il Paese e proteggere la popolazione civile dalle violenze delle milizie etniche. La missione, i cui costi si aggirano intorno ai 25 milioni di euro, andrà ad affiancare la Mission internationale de soutien à la Centrafrique sous conduite africaine (MISCA) delle Nazioni Unite. Resta tutt’ora imprecisato il numero di militari che saranno schierati e i Paesi che parteciperanno anche se è stato confermato che alla guida ci sarà il generale francese Philippe Pontiès.
I 1.600 peacekeeper francesi presenti nel Paese dallo scorso dicembre nell’ambito della missione nazionale Sangaris, anch’essa a sostegno di MISCA, saranno integrati in EUFOR RCA. Questo passaggio permetterà a! lla missione del governo francese di usufruire sia della legittimità internazionale sia dalla riduzione dei costi operativi permessi dall’egida europea. EUFOR RCA evidenzia la volontà di stabilizzazione della Repubblica Centrafricana, Paese reso ingovernabile dagli effetti del colpo di Stato di Sèlèka nel marzo 2013, da parte di tutta l’Unione Europea, preoccupata dalla degenerazione della crisi umanitaria e dalle tendenze genocidarie recentemente emerse nel contesto del conflitto.

Fonte CESI

sabato 15 marzo 2014

Diritti Umani e L'Europa

Ruolo di Ue e Consiglio d'Europa
Europa in ritardo sui diritti umani in Ucraina
Antonio Bultrini
07/03/2014
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Come è possibile che uno Stato membro del Consiglio d’Europa sia scivolato sull’orlo di una guerra civile? E com’è possibile che un altro Stato membro del Consiglio d’Europa, ovvero la Federazione russa, abbia manovrato senza scrupolo prima la leva del ricatto economico e poi addirittura quella militare?

Kiev vista dal Consiglio d’Europa
Il Parlamento ucraino, il 14 gennaio, ha varato in condizioni caotiche le cosiddette norme anti-protesta, decisione che secondo l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Risoluzione 1974/2014) ha contribuito all’escalation violenta della crisi a Kiev.

E al di là degli eccessi da parte dei manifestanti più estremisti, moltissime persone sono scese in piazza per opporsi a un regime ormai tendenzialmente autoritario e le forze dell’ordine hanno usato una violenza brutale e spropositata (dai numerosi casi di sparizioni, torture e stupri al “tiro al bersaglio” sui manifestanti di giovedì 19 febbraio).

Gli eventi di Piazza Maidan, la fuga dell’ex presidente Viktor Ianukovich e l’intervento russo appaiono l’esito di un’involuzione annunciata. L’opera di controllo svolta dal Consiglio d’Europa indicava già da tempo che il livello di rispetto dei principi di democrazia, Stato di diritto e diritti umani in Ucraina era andato pericolosamente abbassandosi.

È vero che di fronte ad una repressione brutale, ma anche al coraggio degli oppositori, il Consiglio dell’Unione europea ha infine deciso l’adozione di sanzioni mirate e ha auspicato che i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani siano giudicati in seguito ad un'inchiesta indipendente, condotta sotto la supervisione di un "International Advisory Panel" del Consiglio d'Europa (ma Ianukovich ora è sotto protezione russa e né l'Ucraina né comunque la Federazione russa hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale).

È vero anche che l’Ucraina ha disperatamente bisogno di aiuti finanziari (ma non sappiamo se la situazione sarebbe stata diversa qualora l’Unione europea avesse messo in campo i miliardi necessari per tentare di indurre Ianukovich a scegliere l’accordo di associazione).

È pure indubbio che l’Ucraina è una realtà complessa da un punto di vista politico e identitario e che è stato azzardato, specialmente da parte di alcuni Stati, affrontare la questione principalmente nell’ottica strategica di attrarla nell’orbita occidentale. È vero infine che le relazioni con Mosca sono importanti e delicate (anche per via di ben noti interessi economici).

Affinità autoritarie con Mosca
Ciò detto, in un contesto autoritario e caratterizzato da gravi e ripetute violazioni dei diritti fondamentali, cui la presidenza Ianukovich assomigliava sempre più, tutto diventa più difficile anche perché un regime autoritario tenderà ad allinearsi con un regime affine, come quello al potere a Mosca, il quale tenderà a sua volta ad assecondarne altri della stessa fatta, se non peggiori (come in Siria), anche per interessi economico-militari.

E a complicare le cose, nei rapporti con la Federazione russa (e con la Cina), contribuisce anche l’incoerenza, rispetto alla legalità internazionale, di cui alcuni paesi occidentali hanno dato prova in più di un'occasione (in Iraq, in Libia e altrove).

Gli eventi in Ucraina mostrano, in fondo, che in Europa si tende ancora a dimenticare due lezioni duramente apprese alla fine della seconda guerra mondiale: un regime che vìola i diritti umani prima o poi diventa pericoloso per la propria popolazione ed eventualmente per altri paesi, mettendo quindi a rischio pace e sicurezza. Pertanto più si attende a reagire, più sarà difficile influire sugli eventi quando questi saranno precipitati.

Naturalmente, prima della seconda guerra mondiale non avevamo gli strumenti istituzionali di cui disponiamo oggi, il che rende ancora più seria la questione che ci poniamo.

Sanzioni 
Gli stati membri del Consiglio d’Europa si affidano essenzialmente alla persuasione e al dialogo e tendono a procrastinare misure più incisive (l’espulsione dall’organizzazione, peraltro, è un’opzione più simbolica che realmente percorribile). D’altra parte l’Unione europea, che dispone invece di leve più efficaci, tende quasi sempre a muoversi tardivamente, non senza esitazioni, quando è costretta a farlo da una situazione che sta precipitando e più spesso in ordine sparso che in modo coeso.

È come se vi fosse una latenza eccessiva tra il lavoro di controllo, monitoraggio e allerta del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea da una parte e l’attivazione degli strumenti di intervento dell’Ue dall’altra. Il che solleva anche un serio problema di coordinamento fra istituzioni.

C’è tuttavia una soglia critica al di là della quale il dialogo ha una presa molto relativa e sembra anzi incoraggiare un potere autoritario ad osare di più. Se in tale evenienza non si reagisce tempestivamente, secondo modalità che ovviamente variano da caso a caso, ma in modo comunque deciso quando è necessario, ci si troverà probabilmente costretti a dover intervenire in uno scenario ben peggiore.

Il dialogo e la pressione politico-morale vanno percorsi per quanto possibile ma affidarsi solo a tali strumenti offre prospettive di successo decrescenti a fronte di strutture di potere che non mostrino più alcuna reale volontà di rispettare gli standard europei fondamentali.

Una volta superata la suddetta soglia critica occorre dunque passare a contromisure serie (escluso ovviamente il ricorso unilaterale alla forza), anche perché rinunciarvi scredita norme - e i valori che le sostengono - su cui (non dimentichiamolo) è stata (ri)costruita l’Europa del secondo dopoguerra.

Questo vale anche con riferimento alla Russia di Putin.

Antonio Bultrini è professore di Diritto Internazionale e Diritti Umani, Università di Firenze.
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mercoledì 12 marzo 2014

Un MOndo in Crisi VII Lo scenario afgano-pakistano, tutto un banco di prova



Occorre non nasconderselo: la situazione della sicurezza non è delle migliori nell’Afghanistan meridionale, nella parte sud occidentale del paese e nella zona orientale; nella capitale, Kabul, sono continuati gli attentati, in gran parte suicidi, anche “spettacolari” e, come sovrapprezzo,. nella capitale è stato registrato un incremento anche della criminalità.
Nel nord e nel centro del Paese la situazione è relativamente tranquilla, ma il dato più preoccupante è che 9/10 della popolazione è convinta che la

situazione peggiorerà, nei prossimi anni, con un aumento del controllo del Paese da parte dei Talebani e dei signori della droga rispetto al Governo centrale.
Questo è un bel banco di prova sulla tenuta delle forze impegnate, e in particolare della Nato. Il teatro afgano, quindi, presenta sfide e opportunità, che faranno uscire definitivamente dal limbo questo che fino a poco tempo fa era si poteva considerare un“fronte dimenticato” a causa dell’impegno americano in Iraq e di altri fattori legati alla dinamiche politiche interne degli alleati della NATO, ma che dalla fine del 2009 si stanno registrando i primi segnali  di maggiore  importanza con l’invio di rinforzi dei marines in Afghanistan e una rinata centralità sulla scena della sicurezza internazionale del conflitto al crocevia dell’Asia e con la decisione di inviare  oltre 30000 uomini da parte degli Stati Uniti e oltre 10000 da parte dei loro alleati presa sul finire del 2009.
In Afghanistan va focalizzata l’attenzione sul tema cruciale della sicurezza, gli appuntamenti elettorali nel 2010, la difficile situazione economica collegata al mancato sviluppo e gli scenari regionali con la spina nel fianco del poroso confine pachistano, la tenuta delle forze armate afgane, soprattutto le forze di sicurezza,  e l’incognita Iran. Anche in questo scenario, quindi, l’incertezza è la base e ogni previsione appare impossibile.[1]

In Pakistan le sfide che sono sul tappeto e continuano nel brevissimo futuro sono la crisi con l’India, la tenuta del Governo civile, la minaccia dei neo Talebani nelle aree tribali e la grave crisi economica.
Per i due Paesi confinanti  la crisi pachistana rischia di riflettersi con ancora più forza su quella afgana e viceversa. Il vero nocciolo del conflitto si concentrerà sempre più nelle instabili aree tribali, dove il rinnovato impegno americano in Afghanistan, esigerà interventi sempre più incisivi da parte pachistana. Un compito non facile per Islamabad con un Governo ed un presidente sotto pressione all’interno, da parte di un’opposizione sempre più ardita e anti-americana, oltre che per la crisi economica e dall’esterno a causa della crisi con l’India in seguito agli attacchi terroristici di Mumbai nel novembre 2008..

(Situazione nel 2010, ottobre)


[1] Robbis S.J., Afghanistan back to basics, in The Journal of International Security Affairs, n. 15, 2008

giovedì 6 marzo 2014

Il costo globale della violenza

Il costo economico della violenza contenimento,
l'ultimo rapporto dell'Istituto di Economia e della Pace,
calcola il costo della violenza in oltre 150 paesi in tutto il mondo.
Pubblicato  28 Feb 2014
L'impatto economico della violenza ha superato
 il PIL combinato di Giappone e Germania.
Secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto di Economia e della Pace
, il costo economico globale di violenza
nel 2012 è stato di US 9.460 miliardi dollari ,
che rappresenta il 11% del lordo mondiale del prodotto.
Il rapporto,  il costo economico della violenza contenimento
 , calcola il costo della violenza contenimento
in oltre 150 paesi in base a 13 diversi
tipi di spesa violenza legate.
La violenza di contenimento della spesa si intende
qualsiasi attività economica che è legato
 alla prevenzione o le conseguenze
 della violenza, ma include i costi diretti,
il costo medico di una vittima,
 e costi indiretti, come la perdita
di capitale umano quando qualcuno
 viene spostato a seguito di violenza.
Per mettere questo in prospettiva: la spesa violenza contenimento è di oltre 2,4 volte la dimensione del PIL totale dell'Africa.
Mentre alcune spese in materia
 di violenza di contenimento è necessario,
la spesa in eccedenza sui programmi
inefficienti può essere dannoso
 per la crescita economica di un paese
e il benessere.Spese eccessive
sulla violenza contenimento limita
 le risorse che possono essere assegnati
ad altre istituzioni produttivi come
l'istruzione e la sanità.
Alcuni dei paesi che hanno la più
alta spesa violenza contenimento,
sono anche tra i più poveri, con il
costo della violenza nanismo aiuti esteri.
I tre paesi con il più alto livello di
spesa violenza contenimento
in percentuale del PIL sono la Corea del Nord,
 Siria e Liberia. I conti militare per il
70% delle spese violenza contenimento
della Corea del Nord, che equivale al 20%
 del PIL totale del paese.
Per saperne di più e per vedere quanta
violenza costa ogni paese,
scaricare il costo economico della violenza 
Contenimento relazione .

Il costo dei conflitti

Immigrazione: Il Protocollo di Palermo

Immigrazione
L’Odissea della guerra alla tratta
Enza Roberta Petrillo
27/02/2014
 più piccolopiù grande
“Reclutare, trasferire, custodire o accogliere persone, per sfruttarle lavorativamente o sessualmente, ricorrendo ad azioni illecite quali inganno, minacce o coercizione”. A mettere nero su bianco, per la prima volta, gli elementi distintivi della tratta di esseri umani è stato il Protocollo di Palermo, il documento addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale. Correva l’anno 2000. Quattordici anni dopo, la guerra alla tratta non è stata ancora vinta.

Mappa delle criticità
“Malgrado tutti i progressi economici e politici, non siamo riusciti a contenere questa nuova forma di schiavitù”. Parola di Thorbjørn Jagland, Segretario generale del Consiglio d’Europa, istituzione che insieme all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ha di recente promosso una conferenza volta a mappare criticità e prospettive della lotta alla tratta di esseri umani. Difficile dissentire: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, a livello mondiale, sono almeno 20,9 milioni gli uomini, le donne e i bambini vittime di lavoro forzato o sottomessi all’arbitrio di datori di lavoro o di intermediari che procacciano i contratti.

Sebbene nella gran parte dei casi il percorso migratorio inizi volontariamente, è il debito contratto con i trafficanti a trasformare i migranti in lavoratori forzati e a ridurli in schiavitù. Di questi, 4,5 milioni subiscono forme di sfruttamento sessuale. Mentre i restanti 16,4 milioni sono costretti a lavorare in settori come agricoltura, pastorizia, edilizia o lavoro di cura, dove e più alta la domanda di lavoro a basso costo e sono più radicati i processi di informalizzazione.

Il profilo sociale ed economico dell’umanità che finisce nella spirale della tratta restituisce fedelmente la geopolitica della disuguaglianza globale: l’81% dei trafficati è rappresentato da donne e minori reclutati in paesi gravati da disoccupazione, povertà, fragilità dei sistemi di welfare, transizioni istituzionali e debolezza dello stato di diritto. Europa orientale e sud-orientale, Africa, Asia, America latina. Da qui parte il grosso dei lavoratori forzati che finiscono nei cicli produttivi e nelle economie illecite dei paesi a sviluppo avanzato.

Flussi di persone che si differenziano in base alla tipologia di sfruttamento, alla provenienza delle vittime e alle esigenze logistiche dei gruppi criminali coinvolti. C’è l’est europeo, bacino di reclutamento di donne e minori trafficati per sfruttamento sessuale e accattonaggio organizzato. E ci sono l’Asia e l’Africa da cui partono i migranti cooptati nel lavoro forzato.

Giro d’affari
Il giro d’affari, ovvio a dirsi, è enorme. Secondo la Commissione europea, la tratta, con i suoi 32 miliardi di dollari di fatturato annuo, è la seconda fonte di utili per le organizzazioni criminali dopo il traffico di stupefacenti. Cifra, ovviamente al ribasso, perché l’unico dato certo ad oggi, è che della struttura criminale del traffico di esseri umani e dei suoi attori chiave se ne sa ancora troppo poco.

La difficile mappatura del fenomeno non è data soltanto dalla sua natura sommersa, ma dall’assenza di informazioni relative al pulviscolo di organizzazioni di piccola e media taglia, passeur, intermediari e datori di lavoro conniventi che operano nel settore: una combinazione di soggetti disparati che tratteggiano una geografia criminale fluida, flessibile e ad alta capacità di infiltrazione e mimetismo, difficile da identificare per gran parte delle polizie internazionali.

In questo contesto, non stupisce che il numero di arresti, processi e condanne ai trafficanti sia da anni, drasticamente al di sotto di quello delle vittime accertate. La Commissione europea ha calcolato che all’interno dell’Unione tra il 2008 e il 2010, le condanne dei trafficanti sono diminuite del 13%, a fronte di un aumento del 18% delle persone trafficate. Un cortocircuito ascrivibile anche all’applicazione disomogenea e parziale della “protezione sociale” accordata alle vittime in tutta l’area comunitaria dalla direttiva anti-tratta del 2011.

Nonostante Bruxelles abbia più volte richiamato la centralità della loro tutela, in molti stati membri, le vittime solo di rado sono riconosciute come tali. Condannate o espulse per le attività illecite commesse durante il periodo di lavoro forzato, queste si ritrovano a dover fronteggiare un processo di criminalizzazione che scoraggia la collaborazione giudiziaria e mina alle radici le strategie di contrasto.

Intanto, questa economia criminale continua a espandersi. L’ultimo rapporto Europol parla chiaro: il traffico transnazionale di esseri umani non risparmia nessuno. Tantomeno l’Ue, dove il Parlamento europeo ha stimato nel 2013, 880 mila lavoratori forzati. Un contesto in cui l’Italia primeggia per numero di vittime: 2.381 i casi accertati nel 2010 rispetto ai 1.624 del 2008.

Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc presso l’Università La Sapienza di Roma, esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri (enzaroberta.petrillo@uniroma1.it)
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G8: Le priorità della Federazione Russa

"Gestione del rischio per una crescita sostenibile in un mondo sicuro"
Le priorità della presidenza russa del G8: sviluppo economico e sicurezza
Dopo aver coordinato i lavori del G20 nel 2013 e ospitato il vertice di San Pietroburgo, dal 1° gennaio 2014 la Federazione Russa ha assunto la presidenza del G8 e si occuperà della definizione dell’agenda politica ed economica del gruppo dei “Paesi avanzati”. I lavori culmineranno, il 4 e 5 giugno, con ilsummit dei Capi di Stato e di Governo che si terrà a Soči, in alcune delle strutture realizzate per i Giochi olimpici invernali in programma in questi giorni nella località russa.
Il motto della presidenza russa, “Gestione del rischio per una crescita sostenibile in un mondo sicuro” indica chiaramente su quali priorità Mosca incentrerà le maggiori attenzioni, delineate dal Ministro degli Esteri Lavrov: lotta al traffico di droga e al terrorismo, cooperazione per la risoluzione dei conflitti regionali, attenzione ai disastri naturali e a quelle causate dall’intervento dell’uomo, nonché alle questioni legate alla sicurezza sanitaria a livello globale1.
Il presidente russo Vladimir Putin, nell’assumere la presidenza, ha affermato che l’agenda economica sarà comunque al centro dei lavori del Gruppo degli Otto. In particolare l’attenzione sarà rivolta alla crescita, alla riduzione della disoccupazione e alla promozione degli investimenti e degli scambi internazionali2. Nelle parole di Presidente russo emerge la consapevolezza che i risvolti della crisi non solo hanno prodotto enormi problemi da un punto di vista economico-sociale, ma anche generato instabilità politica, creando possibili fattori di tensione.
I temi della ripresa economica e della disoccupazione erano già state portate avanti dalla Russia in occasione dei lavori del G203. Mosca ha avuto il merito di dar voce alle esigenze di numerosi Stati europei che, in attesa di una ripresa che tarda ad arrivare, da tempo chiedono di ricalibrare una politica di austerità che, sebbene voluta dalle istituzioni europee, pare non aver fatto altro che aggravare i disagi sociali causati dall’attuale crisi. Va ricordato inoltre che, proprio dal punto di vista economico, un’importante funzione della Federazione Russa sarà quella di rappresentare anche le istanze e le sensibilità dei Paesi dell’area BRICS e degli altri Paesi emergenti, i quali pur avendo affrontato la crisi meglio di molti Paesi “avanzati”, rimangono esclusi dai lavori data la particolare composizione del forum.
I lavori del G8 non potranno non tener conto di quanto avverrà all’interno dei Paesi membri dell’Unione Europea. I cittadini del Vecchio Continente alla fine di maggio saranno chiamati alle urne per eleggere i nuovi rappresentanti del Parlamento Europeo e, ad oggi, le previsioni lasciano presagire una netta avanzata delle formazioni più critiche nei confronti dell’Unione Europea e dei governi nazionali. La possibilità concreta è che al vertice di Soči prendano parte rappresentati delle istituzioni comunitarie e dei paesi membri (ovviamente esclusa la Germania) fortemente ridimensionati da un punto di vista politico. Ciò potrebbe avere ulteriori conseguenze negative riguardo il peso dei Paesi europei, ma potrebbe essere anche l’inizio di un’inversione di tendenza per quanto concerne l’individuazione delle priorità in economia.
La presidenza del G8 sarà un ottimo test per la Federazione Russa per ribadire nuovamente un ritrovata centralità nel contesto politico internazionale4. Sebbene alcuni analisti tendano a mettere in discussione il ruolo della Russia quale contraltare degli Stati Uniti, le ultime crisi internazionali hanno dimostrato come la Federazione Russa, in questa fase di passaggio dall’unilateralismo all’epoca del multilateralismo, sia stato l’unico attore sulla scena internazionale in grado di confrontarsi con gli Stati Uniti, spesso moderandone gli eccessi in politica estera. Di fatto, la collaborazione tra i due Paesi è tornata ad essere un elemento indispensabile in merito ad alcuni delicati dossier. Infatti, dopo aver fatto segnare il livello più basso nei rapporti tra la Russia e i principali Paesi occidentali, il 2013 potrebbe aver prodotto una svolta importante con l’inizio dei colloqui sullo smantellamento dell’arsenale chimico siriano e sul programma nucleare iraniano. I buoni risultati raggiunti negli ultimi mesi hanno dimostrato che la collaborazione e la diplomazia possono portare a risultati apprezzabili.
L’ambasciatore USA a Mosca, Michael McFaul, uno dei principali sostenitori della politica del reset voluta da Obama nei confronti della Russia, ha ipotizzato l’organizzazione di un incontro bilaterale tra il Presidente statunitense e Putin, da tenersi prima del summit di Soči. McFaul, proprio in relazione ai recenti sviluppi tra i due Paesi, ha sottolineato come per il prossimo futuro si siano aperte “nuove aree di cooperazione”5. Segno evidente che, nonostante rimangano alcune divisioni (come nel caso della crisi ucraina), è cresciuta la consapevolezza che la cooperazione e il dialogo possono essere uno strumento valido per garantire la sicurezza a livello globale. A questo proposito, un altro tema caldo sarà quello della lotta al terrorismo internazionale. I recenti attentati avvenuti in terra russa e la di molte milizie radicali islamiche che combattono in Siria e in Iraq, lasciano presagire che le forze più estremiste abbiano ritrovato nuova linfa. Il 2014 è infatti anche l’anno del ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan e non è da escludere che questo Paese possa essere il prossimo obiettivo della lotta armata dell’estremismo islamico, con il conseguente rischio di destabilizzazione dell’area centroasiatica.
Il G8 di quest’anno, inoltre, analogamente alla precedente esperienza della Russia quale presidente del Gruppo degli Otto nel 2006, si arricchisce di una serie di iniziative collaterali finalizzate a coinvolgere i principali attori economici e politici, nonché i protagonisti della società civile. Un modo per ampliare la partecipazione, “democratizzando” il dibattito sulle sfide che attendono il mondo contemporaneo e che saranno oggetto di discussione da parte dei leader dei governi. L’idea di fondo è che una maggiore partecipazione possa garantire anche un supporto adeguato al vertice tra i Capi di Stato e di Governo del prossimo giugno. Soprattutto, si tratta di una risposta a chi ha visto il G8 come un forum troppo esclusivo per poter essere legittimato ad assumere impegni che riguardano questioni di portata globale.
Nel mese di maggio Mosca ospiterà i lavori del G8 Youth (il primo evento si tenne in occasione del vertice G8 russo nel 2006), al quale aderiranno i giovani leader dei Paesi partecipanti, che si confronteranno sia sui temi proposti dalla presidenza russa che su quelli di maggiore interesse per le nuove generazioni. Quella del 2014 sarà inoltre la settima edizione del G8 Business, forum che raduna i principali esponenti della comunità economica, le cui discussioni verteranno su un ampio spettro di questioni, che vanno dai temi della crescita e del lavoro a quelli della sicurezza alimentare e sanitaria, all’immigrazione, per arrivare al tema dell’open governance. Altro strumento di partecipazione previsto è, infine, quello del G8 Civil (anch’esso istituito per la prima volta nel 2006) che raduna le principali organizzazioni non governative con il fine di sottoporre ai Governi degli otto Paesi raccomandazioni in tema di sviluppo globale, cooperazione, e crescita interna. A conclusione dei lavori del gruppo di lavoro, formato dalle ONG aderenti, verrà stilato un report che, prima del summit di giugno, sarà trasmesso agli otto Governi che in tal modo avranno la possibilità di inserire nel documento conclusivo del vertice alcune delle indicazioni suggerite6.

Sergei Lavrov on the Priorities of Russia’s G8 Presidency, 21/01/2014.
Address by President Vladimir Putin on Russia Assuming the G8 Presidency, 01/01/2014.
3 Cfr. Quaderni di Geopolitica n. 2, 2013, supplemento a Geopolitica, vol II, 2013.
4 Tiberio Graziani on the Russian G8 Presidency, 01/01/2014.
Washington eyeing Russia-US summit in Sochi this summer - McFaul, 05/02/2014.
Russia and G8.

Economist Intelligence Unit: A global upturn in 2014.


Una volta al mese, The Economist Intelligence Unit produce una previsione globale per l'economia globale. E 'popolare con i nostri clienti, e fornisce anche un'utile occasione per me di fare un passo indietro e guardare il quadro generale. Che cosa sta guidando la crescita, o impedire vero? Quali sono i rischi a cui prestare attenzione? In previsione di questo mese , appena pubblicato, abbiamo identificato due forze opposte ma correlati come la chiave per le prospettive economiche nel 2014. Da un lato, la ripresa nel mondo ricco, in particolare negli Stati Uniti, promette di stimolare la crescita economica globale nel 2014. I consumatori americani stanno spendendo di più, e le economie europee sono anche pronti a svolgere meglio quest'anno. D'altra parte, la volatilità dei mercati finanziari emergenti ironicamente innescati in parte dalla risposta politica degli Stati Uniti per il miglioramento delle condizioni-viene colata una sorta di drappo in una prospettiva altrimenti promettenti.  
Come è la combinazione della ripresa del mondo ricco e le turbolenze dei mercati finanziari interessando il vostro business o regione?  P locazione fammi sapere a  simonjbaptist@eiu.com  o via Twitter a  @ Baptist_Simon .
Cordiali saluti, Simon Battista Chief Economist e Direttore Regionale Asia


Economia mondale: previsione annuncia miglioramento


(traduzione automatica dall'inglese)
Due forze opposte ma legate stanno guidando le prospettive per l'economia globale nel 2014. Da un lato, il recupero del mondo ricco continua (con battute d'arresto intermittenti) da consolidare. Spettacoli più forti negli Stati Uniti e la zona euro, in particolare, aumenterà la crescita del PIL globale di quest'anno. D'altra parte, la volatilità dei mercati finanziari, ironicamente innescato in parte dalla risposta politica degli Stati Uniti a migliori condizioni, è colata una cappa su una prospettiva altrimenti promettenti. Turbolenze nei mercati emergenti è aumentato. Tuttavia, The Economist Intelligence Unit continua ad attendersi una crescita del PIL mondiale per accelerare ad un massimo di quattro anni nel 2014.
Misurato a tassi di cambio di mercato, l'economia globale si espanderà del 2,9% nel 2014, rispetto al 2,1% dello scorso anno. Ciò segnerebbe la sua migliore performance dal 2010, anno in cui la crescita è stata amplificata da stimolo monetario e fiscale e da un rimbalzo dalla crisi finanziaria e la Grande Recessione. Tale previsione riflette in gran parte positivi sviluppi nelle economie avanzate, che sono stati più duramente colpiti durante la Grande Recessione e hanno avuto la più lunga di riprendersi. In particolare, abbiamo questo mese ha sollevato la nostra previsione di crescita del PIL degli Stati Uniti nel 2014. La ripresa degli Stati Uniti sta cercando di incoraggiamento ad ampia base, ed è stata sostenuta da una combinazione di fattori di spesa dei consumatori alla creazione di posti di lavoro sano.
L'outlook continua a migliorare in Europa, anche se le condizioni in molte parti della zona euro rimangono fragili. Sei-quarto-lunga recessione del unione monetaria si è conclusa nel secondo trimestre del 2013. I tassi di interesse di mercato sono scesi nei paesi più deboli della periferia, e molte misure di attività e le prestazioni dei consumatori continuare a migliorare. Il Regno Unito sta godendo di un sorprendentemente forte ripresa, nonostante le preoccupazioni circa la sostenibilità di un boom immobiliare debito-alimentato. Giappone, nel frattempo, continua a beneficiare del cocktail della politica di rilancio di "Abenomics", così soprannominato dopo il primo ministro del paese, Shinzo Abe. Gli Stati Uniti, la zona euro e in Giappone insieme rappresenteranno poco meno della metà della produzione mondiale nel 2014, e la prospettiva che questi tre grandi economie potranno godere il loro primo ripresa sincronizzato dal 2010 di buon auspicio per la crescita del PIL mondiale.
La ripresa congiunturale nelle economie avanzate sarà anche sentire nel resto del mondo. Si incrementare le esportazioni dai mercati emergenti. Infatti, segni di miglioramento flussi commerciali erano evidenti alla fine del 2013. Tuttavia, i mercati emergenti hanno anche sentito il peso della shake-up nei mercati finanziari da gennaio. I prezzi delle attività sono stati spinti in basso da una serie di fattori, tra cui l'inizio della Federal Reserve statunitense defaticante del suo "quantitative easing" (QE3) il programma di acquisto di obbligazioni e di alcuni dati economici più morbidi.Un'altra causa della pressione sui mercati finanziari è stata problemi nazionali nelle economie emergenti stessi, agitazione soprattutto politici e delle scelte politiche povere in paesi come la Turchia, l'Ucraina, Tailandia e Sud Africa. Questo li ha lasciati indebitamente vulnerabile al pullback inevitabile liquidità globale implicita l'inizio dell'uscita della Fed di QE3.
Mentre noi aspettiamo ulteriori periodici sell-off nei mercati emergenti nel corso del 2014, una disfatta sostenuta e diffusa non è affatto inevitabile, i problemi più gravi sono suscettibili di affliggere i mercati con specifiche carenze politiche o economiche.Infatti, recenti turbolenze dei mercati finanziari non modifica sostanzialmente la nostra previsione per accelerare la crescita economica globale nel 2014, punteggiato da pullback mercato periodiche come la Fed si snoda QE3.
Mondo sviluppato
Ci sono poche forze più potenti dell'economia globale che il consumatore americano, in modo da recenti dati ufficiali sul PIL sono incoraggianti. L'economia è cresciuta di un vivace 3,2% nel quarto trimestre ad un tasso annuo, sostenuta dal più veloce aumento della spesa dei consumatori in tre anni. Livelli sani di creazione di posti di lavoro, riduzioni di debito delle famiglie e tassi di interesse bassi hanno incoraggiato i consumatori americani ad aprire i loro portafogli. Come risultato, stiamo aumentando la nostra previsione di crescita reale del PIL al 3% per l'intero anno 2014, dal 2,6% precedente. Ci sono rischi per questo scenario luminoso, in particolare un rallentamento abitazioni e gli investimenti delle imprese deboli, ma l'economia americana è innegabilmente più forte di quanto non lo è stato per alcuni anni.
Nella zona euro il senso di crisi economica ha facilitato, come la minaccia di un break-up della moneta unica si è ritirato. I dati per il secondo semestre del 2013 e l'inizio del 2014, generalmente supportano la nostra visione che la recessione è finita e che la ripresa-mentre tiepido-sta ampliando. Molte misure di attività e le prestazioni dei consumatori continuano a migliorare, suggerendo che il tentativo di ripresa economica sta guadagnando un certo slancio dopo un rallentamento della crescita del PIL in termini reali nel corso del terzo trimestre. Tuttavia, i mercati del lavoro rimangono deboli, soprattutto nella periferia della zona euro. Il recente ritorno alla crescita economica, in ultima analisi, hanno un effetto positivo sulla fiducia delle famiglie e imprese, aumentare la spesa dei consumatori e gli investimenti, anche se deleveraging da parte delle banche nella periferia rimarrà un vincolo. Prevediamo la crescita reale del PIL nella zona euro del 1,1% nel 2014, raccogliendo una media del 1,4% all'anno nel 2015-18.
In Giappone Abenomics continua ad avere un impatto generalmente positivo sull'economia. Pressioni-accolto Lieve inflazionistiche in Giappone, dopo molti anni di deflazione intermittente-stanno cercando più radicata e utili societari rimangono forti.Tuttavia, l'approccio di un previsto aumento dell'imposta sui consumi nel mese di aprile introduce maggiore incertezza per le prospettive economiche del Giappone nel 2014, in quanto interesserà i dati sia per la crescita del PIL e l'inflazione. Infatti, ci aspettiamo che l'aumento fiscale per causare una contrazione trimestre su trimestre del Pil nel secondo trimestre del 2014. Per l'intero anno si prevede una crescita del PIL reale del 1,7%, lo stesso tasso nel 2013.
I mercati emergenti
I mercati emergenti sono stati sotto pressione a causa di una serie di fattori, tra cui la US Fed di "tapering" del QE3, le preoccupazioni sulla crescita cinese e la consapevolezza che le riforme economiche in alcuni paesi sono stati trascurati per troppo tempo. La crescita della Cina si sta lentamente più basso e la produzione è stata più morbida del previsto. Abbiamo pertanto taglio ribasso la nostra previsione per il 2014 la crescita del PIL reale in Cina al 7,2% dal 7,3%. Le autorità continueranno a scoraggiare eccessivi prestiti e sovra-investimento in un tentativo di trovare un tasso più stabile di crescita e riequilibrare l'economia verso un più alto livello di spesa dei consumatori. L'India è pronta a continuare il suo recupero, dopo un paio di anni difficili. Si prevede una crescita del PIL del 6% nell'anno fiscale 2014/15 (aprile-marzo), dal tasso di 4,9% e 3,3% nei due anni precedenti.
Le economie in transizione dell'Europa orientale vissuto un altro anno difficile nel 2013. Stimiamo che la crescita del PIL virata al 1,5% come un marcato rallentamento in Russia aggravato le condizioni ancora deboli orientale e l'Europa centrale. Ma una larga base, se disattivato, il miglioramento in tutta la regione è in prospettiva nel 2014, a condizione che l'attuale sentimento negativo nei confronti dei mercati emergenti non sopportare. Prevediamo una crescita reale del PIL complessivo nella regione di transizione del 3% nel 2014, sale al 3,4% il prossimo anno.
America Latina anche lottato nel 2013, con una crescita regionale inumidito da condizioni meno favorevoli sui mercati dei capitali globali e debolezza della domanda in Europa e in Cina. La fuga di capitali richiesto dalla rastremazione della US Fed del suo programma di acquisto di bond ha intensificato la pressione sulle valute regionali, in particolare il peso argentino (anche se la cattiva gestione economica ha reso la valuta particolarmente vulnerabili). Tuttavia, la maggior parte dei responsabili politici della regione possono visualizzare un periodo di debolezza della valuta come rettifica di benvenuto. Anche se il tono dei recenti dati economici rimane debole, manteniamo la nostra previsione che la crescita in America Latina accelererà al 3,2% nel 2014, sollevato da una crescita globale più forte.
L'instabilità politica continuerà ad ostacolare la performance economica in Medio Oriente e Nord Africa (MENA), tre anni dopo l'inizio della primavera araba. La guerra civile in Siria approfondimento si trascinerà, con conseguente danno economico permanente e potenziale frattura del paese. Inoltre, la guerra in Siria agirà come un crogiolo di violenza settaria regionale e ha scatenato un giro elevato di violenza in Iraq e in Libano. Andamento economico in MENA nel suo complesso sarà comunque migliorare nel 2014-15 come Iran, tra i più grandi economie regionali, torna a crescere dopo due anni di contrazione causati da un calo della produzione di petrolio e sanzioni internazionali. Spese in conto capitale pesante tra i paesi del Golfo continuerà a spingere i tassi di crescita regionali verso l'alto la spesa in infrastrutture e industriale continua.
Nonostante un contesto esterno difficile, ci aspettiamo una crescita dell'Africa sub-sahariana per accelerare in 2014-15. Tuttavia, le prestazioni varierà sostanzialmente tutti sottoregioni e dei singoli Stati. Paesi colpiti da disordini politici o elezioni potenzialmente controverse potrebbero registrare un'espansione inferiore al 2,5%, o addirittura contrazione. Sul lato positivo, il forte investimento degli ultimi anni nelle industrie estrattive vedrà la produzione di merci continuano a crescere fortemente, anche se la crescita della produzione di petrolio e di gas non convenzionale negli Stati Uniti è probabile avere un effetto negativo sul settore degli idrocarburi dell'Africa occidentale. Più in generale, la crescita del PIL regionale nei prossimi anni sarà sostenuta dalla spesa in infrastrutture tanto necessaria e l'espansione della classe medio-bassa. Si prevede una crescita del PIL reale del 4,5% nel 2014, sale al 5,7% entro il 2017.
I tassi di cambio
Una varietà di sollecitazioni esterne e interne spinto verso il basso il valore di molte valute dei mercati emergenti rispetto al dollaro USA nel mese di gennaio, portando a timori di un vasto sell-off. Sebbene la maggior parte di tali monete recuperato modestamente ai primi di febbraio, le pressioni al ribasso sono suscettibili di riemergere periodicamente nel corso del 2014. Mentre le recenti svalutazioni nei mercati emergenti sono stato doloroso per alcuni paesi, che probabilmente rappresentano un adeguamento necessario che contribuirà a ripristinare la competitività perduta a causa dei grandi flussi di capitale che si riversavano in questi mercati. Continuiamo a sottolineare che un aumento effettivo del tasso ufficiale di politica della Fed non accadrà fino alla fine del 2015, questo lungo ritardo anche ridurre la probabilità di una scossa per le valute dei mercati emergenti. Il fatto che la politica monetaria degli Stati Uniti si sta muovendo fuori dalla sua posizione ultra-loose in una fase di serraggio significa che il dollaro USA dovrebbe, nel tempo, salire contro le principali valute come l'euro, dove il blocco moneta unica sta crescendo lentamente, e contro Yen come la Banca del Giappone persegue il proprio programma di acquisto di obbligazioni. In questo contesto, si prevede che il dollaro si rafforzerà contro l'euro a un tasso medio annuo di US $ 1,29: 1 € nel 2014, da US $ 1,33: 1 € l'anno scorso.
Commodities
Mercati delle materie prime indeboliti nel 2013, riflettendo le preoccupazioni circa il rallentamento economico in Cina e la prospettiva di cono della US Fed (mercati delle materie prime sono percepiti come beneficiari della liquidità generata dalla QE). Le nostre attuali previsioni suggeriscono che i prezzi delle materie prime industriali pick up leggermente nel 2014 come ripresa economica prendere piede, soprattutto nel mondo sviluppato. Prezzi delle materie prime agricole mostreranno un altro anno di declino, a causa di una immagine sana alimentazione e grandi scorte. Sul fronte energetico, fornitura di petrolio si riprenderà con forza nel 2014, sostenuta da una robusta crescita della produzione non-OPEC. Abbiamo quindi aspettiamo ancora un modesto allentamento dei prezzi, nonostante un po 'meglio la foto richiesta. Un barile di Brent costerà una media di US $ 105,5 quest'anno, passando da US $ 108,9 nel 2013.
Economia mondiale: riassunto Forecast
 2009201020112012201320142015201620172018
Crescita reale del PIL (%)          
Mondiale (PPA) un  -0.75.03.82.92.93.63.83.93.94.0
Mondiale (tassi di cambio di mercato)-2.33.92.62.22.12.92.92.82.82.9
  Stati Uniti-2.82.51.82.81.93.02.62.52.42.6
  Giappone-5.54.7-0.41.41.71.71.61.11.21.3
  Zona euro-4.41.91.6-0.6-0.41.11.41.41.41.6
  Porcellana9.210.49.37.77.77.27.06.96.46.0
  Europa dell'Est-5.63.43.92.11.53.03.43.74.34.3
  Asia e Australasia (IVA escl Giappone)5.18.56.55.35.55.65.75.85.65.6
  America Latina-1.55.84.42.92.73.23.53.83.83.8
  Medio Oriente e Nord Africa1.95.32.63.62.53.74.34.64.75.0
  Africa sub-sahariana1.34.64.74.03.74.54.85.55.75.2
L'inflazione mondiale (%; av)1.63.04.23.43.13.43.53.43.43.6
Crescita del commercio mondiale (%)-11,714.16.52.52.95.25.05.35.45.4
Prezzi delle materie prime         
  Olio (US $ / barile, Brent)61.979.6110,9112.0108,9105.5107.3103.897.593.0
  Materie prime industriali (US $; Variazione%)-25,644.821.7-20,3-5.91.66.22.4-0.23.7
  Prodotti alimentari, mangimi e bevande (US $; Variazione%)-20,310.730.1-3.5-7.4-10.20.6-0.63.42.1
I tassi di cambio (av annuale)
  ¥: EUR93.687.879.879.897.6103.1103.2102.0101.0100.0
  US $: €1.391.331.391.291.331.291.261.261.271.27
un PPP = parità di potere d'acquisto
Fonte: The Economist Intelligence Unit.