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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

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mercoledì 26 aprile 2017

Energia: prospettive positive

Da Mediterraneo a Ue via Italia
Gas: una visione strategica paga
Valeria Termini
20/04/2017
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Un accordo storico è finalmente giunto a maturazione, in un clima di disattenzione generale, per il gasdotto East Med che potrà collegare il Mediterraneo orientale all’Europa. Attingerà dalle enormi risorse di gas off shore del Leviatano, a nord di Israele (circa 530mmc), e ne trasporterà una parte verso l’Unione europea passando per Cipro, la Grecia e l’Italia

All’inizio di aprile è stata firmata l’intesa dal commissario europeo per l’energia Miguel Canete, dal ministro Carlo Calenda e dai ministri corrispondenti degli altri Paesi, nella distrazione causata dall’esito deludente del G7 Energia.

Il percorso viene da lontano. East Med è stato incluso già nel 2015 tra i Progetti di Comune Interesse (PCI) della Commissione europea; è stato compreso nel Piano decennale di investimenti per rafforzare il mercato unico dell’energia; ha beneficiato del fondo Connecting Europe Facility (CEF), con due milioni di euro che hanno co-finanziato lo studio di fattibilità di IGI-Poseidon (società ad oggi 50% Edison e 50% Depa).

L’esito positivo ha quindi aperto alla progettazione di un gasdotto di circa 1.300 km off-shore per il collegamento tra Israele, Cipro, Creta e il Peloponneso e circa 600 km in superficie per attraversare la Grecia, e poi l’Italia, dopo l’Accordo di aprile. Una capacità di trasporto di 10 miliardi di mc di gas, estendibile a 20, con un costo previsto di sei miliardi di euro.

Un accordo di rilevanza straordinaria
È un accordo di rilevanza straordinaria, poiché ripropone le risorse del Mediterraneo orientale al centro degli interessi economici e politici dell’Ue, in un momento delicatissimo per quella regione in cui l’Europa stenta a marcare il protagonismo che le compete nell’area. Si pone come rotta complementare alle forniture esistenti e programmate del gas russo: non è quindi un’azione diretta contro la Russia, che l’Italia non avrebbe potuto sottoscrivere.

Da anni, chi ha a cuore il ruolo dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo, e si occupa di energia, auspica e si adopera per la conclusione di un accordo di questa natura: un tassello concreto per la costruzione di un hub mediterraneo del gas in cui l’Italia potrebbe riacquisire il peso costruito ai tempi di Enrico Mattei, al quale si è di nuovo predisposta in questi anni rafforzando le infrastrutture e disponendo regole necessarie e chiare per dare certezza agli investimenti.

I benefici di una strategia di lungo periodo
Il valore del progetto sta nei molti elementi che contribuiscono a una strategia di lungo periodo, economica e geopolitica, basata sull’energia, che trascendono i confini dell’Ue e dei Paesi del Mediterraneo orientale. Con le necessarie precauzioni per l’incertezza futura, anche l’Italia potrebbe trarne vantaggi importanti. Posso solo richiamare qui i benefici principali.

1. Per l’Ue il gasdotto rappresenta un evidente passo avanti nella strategia dell’Energy Union (2016), volta a diversificare le fonti di importazione di gas e petrolio. L’Ue, si sa, importa 70% del gas che consuma di cui il 40% dalla Russia. Il nuovo gasdotto vede il Mediterraneo tornare al centro della sicurezza energetica.
In termini di politica interna il transito del gas dal Mediterraneo verso il Nord riequilibra la geografia europea e rafforza la posizione dei Paesi della faglia Sud, troppo spesso indicati solo come elemento di debolezza nella contabilità dell’Unione. Aggiunge inoltre un elemento di sicurezza per l’Unione, consolidando la capacità di approvvigionamento attraverso corridoi meridionali che non dipendono direttamente dal transito attraverso la Turchia.

2. Per l’Italia il transito del gas integra e rafforza la posizione del Paese in Europa, offrendo un contributo positivo sul terreno delicatissimo della sicurezza energetica. In termini economici, l’indotto delle nuove infrastrutture creerà reddito e occupazione, oltre a valorizzare gli investimenti di Snam Rete Gas, già attuati in conformità con la regolazione europea per consentire il flusso bidirezionale del gas.
Nella stessa ottica il nuovo Accordo si colloca nella prospettiva dell’impegno italiano nel Mediterraneo, che vede l’Eni protagonista delle grandi scoperte di gas in Egitto (la riserva di Zohr). L’Italia è storicamente un grande importatore del gas russo e continuerà ad esserlo nella transizione energetica; il gasdotto del Mediterraneo è dunque complementare alla fonte russa.

3. Per le due sponde del Mediterraneo, infine, East Med si configura come una strategia di mutuo interesse economico e politico. In un’ottica geopolitica, la costruzione di interessi comuni non può che essere vincente nello scenario drammatico del Mediterraneo orientale. Dopo la “pace dell’acqua”, stretta tra Rabin, Peres e re Hussein di Giordania nel 1994 sulla quale è stato costruito un percorso duraturo di cooperazione e non belligeranza, l’energia costituisce un secondo tassello nella stessa direzione di accordi regionali.
Non è ancora chiaro come Donald Trump imposterà alla fine la politica di esportazione del gas non convenzionale; per l’Ue e per l’Italia i passi perché si avvii in concreto un hub del gas nel Mediterraneo con l’Accordo firmato in aprile costituisce un elemento di sicurezza e crescita.

Contrasti e ostacoli per venditori e compratori
I contrasti da tenere sotto controllo sono sembrati di volta in volta insormontabili per varie ragioni. Il produttore, Israele, ha superato con difficoltà nel 2015 lo scoglio del consenso del Parlamento all’esportazione del gas, facendo salvo l’uso per il consumo futuro interno; ha poi tenuto aperta per lungo tempo l’opzione della via verso il Pacifico, da privilegiare poiché il differenziale di prezzo significativo con l’Europa (7 $/mmBtu in Europa a fronte di 11 $/mmBtu in Giappone, 2015 fonte BP) rendeva più conveniente la vendita del gas a questa regione.

È prevalsa infine la strategia di dirigere il gas anche in Europa, data l’entità delle riserve disponibili e l’arco temporale di lungo periodo coinvolto. Ma la Turchia prima, i Balcani poi, sono parsi allora i candidati favoriti per il transito verso l’Europa, mentre restava aperta la via del GNL da trasportare in Europa, possibilmente attraverso i rigassificatori spagnoli. Tutti progetti che avrebbero escluso il passaggio dall’Italia

. Anche da parte dei compratori gli ostacoli erano di complessa soluzione. Infatti l’Ue esprime una storica diffidenza nei confronti di Israele, aggravata dalle recenti politiche di Benjamin Nethanyau nei confronti dei palestinesi. E nel contempo la strategia europea dell’Energy Union (2016) volta a diversificare fonti, Paesi e rotte di approvvigionamento del gas, non ha prodotto politiche conseguenti, in particolare per la valorizzazione delle riserve del Mediterraneo orientale.

Le cause sono complesse: le rotte meridionali sono state di fatto congelate dalla dialettica tra i programmi di Putin sui nuovi gasdotti e le regole dell’Unione volte a contenere il potere di mercato e la strumentalità politica del gas russo; un aspetto nel quale a tratti si è intromessa la voce sotto traccia degli Stati Uniti, oltre all’incertezza politica causata dagli eventi in Turchia.

Nel 2016 si è poi aggiunto il progetto bilaterale tra Germania e Russia per la costruzione del gasdotto North Stream 2 che raddoppierebbe la capacità di trasporto del gas russo verso l’Ue, facendo della Germania lo snodo centrale delle importazioni di gas verso l’Europa e rendendo di fatto ridondanti investimenti in infrastrutture nel corridoio sud; il progetto russo-tedesco è ancora in stallo, bloccato dalla verifica del rispetto della concorrenza e dalle regole frapposte dall’Ue per la salvaguardia degli impegni comuni europei, ma l’esito della trattativa politica non è affatto scontato.

La distrazione del G7 ha creato le condizioni straordinarie per cogliere il momento e firmare l’Accordo: un beneficio inatteso dell’era Trump!

In estrema sintesi, l’intesa stretta tra i quattro Paesi del Mediterraneo e l’Europa mostra in tutta evidenza la valenza strategica di lungo periodo, in cui la convergenza di interessi economici tra Ue e sponda orientale del Mediterraneo può e deve giocare un ruolo politicamente strategico. La costruzione in tempi brevi del gasdotto East Med potrebbe segnare una svolta decisiva anche per il ruolo dell’Italia nella strategia energetica europea. Il condizionale è d’obbligo, poiché si tratta di un passo importante nell’ambito di un lungo percorso travagliato, dove ogni ostacolo rischia di bloccare la traiettoria di lungo periodo.

Valeria Termini è Commissario dell’Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il Sistema Idrico (Aeegsi); Vice Presidente del Council of European Energy Regulators (Ceer). L'autrice esprime opinioni proprie e non coinvolge le istituzioni di appartenenza.

sabato 8 aprile 2017

Siria: gli Stati Uniti rientrano in scena

Bombardando la Siria
Attacco con armi chimiche e reazione americana
Laura Mirachian
10/04/2017
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L’intervento americano del 7 aprile contro la base aerea siriana di Sheikhoum nei pressi di Homs, in risposta all’attacco con armi chimiche di due giorni prima nell’area di Idlib, lungo la traiettoria Aleppo-Damasco, sulla dorsale della cosiddetta ‘Siria utile’, chiarisce molte cose, e ne lascia aperte molte altre.

Chiarisce che gli Stati Uniti rientrano in scena, dopo anni di oscillazioni, tentativi di ‘leading from behind’ e in definitiva trasferimento del dossier siriano nelle mani dei russi e dei loro alleati iraniani; che le Nazioni Unite subiscono ancora una volta una sconfitta, nel mezzo di una sessione inconcludente del CdS; che d’ora in avanti, assumendo che gli Stati Uniti di Trump vogliano ora rivestire un ruolo primario nelle dinamiche future, la strategia americana torna per così dire alle origini.

Non più il riequilibrio delle influenze
Non più dunque, il “riequilibrio” di influenze tra Monarchie sunnite e Iran che è stato al centro della strategia di Obama, ma una ritrovata attenzione alle istanze delle prime e per contro un indiretto riscontro alle preoccupazione di “contenimento” di Teheran perorato da Israele.

Chiarisce che qualcosa si è spezzato nel rapporto con la Russia, a lungo coltivato dall’ Amministrazione Obama ancorché in termini problematici e poi prospettato addirittura come ‘amichevole’ nelle propensioni di Trump; e che, a giudicare dalle prese di posizione degli europei, Unione europea, Nato, l’Occidente è pronto a ricompattarsi pur con diverse sfumature dietro alla leadership americana unendosi al giudizio sulle responsabilità di Assad per questa e per le precedenti tragedie umanitarie.

Chiarisce che la Cina mantiene la tradizionale opposizione a interventi militari, pur non alzando i toni. Conferma infine lo stile decisamente unilaterale di Trump, che ha proceduto solo nell’imminenza dell’azione militare a darne informazione ‘tecnica’ agli alleati e parimenti alla Russia.

Una iniziativa estemporanea e umorale, secondo alcuni, ma certamente adottata su impulso di apparati militari e di intelligence che evidentemente ne hanno predisposto i contorni da tempo. Poco importa che le Forze Armate siriane siano riuscite a dislocare in tempo utile un gran numero di aerei e materiale militare. Importa che l’intervento sia stata appoggiato dagli altri occidentali e che abbia fatto saltare, almeno per ora, il tentativo di Mosca di costituire una Commissione di Inchiesta per determinare in via preliminarele responsabilità, e magari replicare grosso modo lo scenario seguito all’attacco di fine agosto 2013 nella zona di Goutha.

Allorché l’intervento armato fu evitato dopo che Damasco, con la mediazione di Mosca, e qualche aiuto di Papa Francesco, accettò di aderire alla Convenzione sulla Proibizione delle Armi Chimiche e trasferire il materiale chimico su due navi americane per la distruzione in alto mare. Forse, non tutto.

Iniziativa estemporanea, che suscita interrogativi
Altrettanto numerosi sono per contro gli interrogativi che l’iniziativa di Trump suscita. Primo fra tutti, se essa si limiterà a questo episodio oppure sarà l’avvio di una vera e propria campagna militare, che tuttavia i precedenti di Iraq e Libia dovrebbero scoraggiare. In secondo luogo, se e come Mosca intenderà rispondere.

Le prime reazioni declaratorie sono per uno stretto richiamo alla “legalità internazionale”: Trump ha violato la sovranità di uno Stato, ha attribuito responsabilità non comprovate, l’azione americana rischia di pregiudicare la lotta ai jihadisti che dovrebbe invece essere la causa comune, incoraggiandoli nelle loro azioni terroristiche. Parole dure, che evocano un clima da guerra fredda.

Ma non è escluso che, nel concreto, a Mosca prevalga il pragmatismo, tenendo conto che Putin ha finora ben calcolato le sue mosse, che l’appoggio ad Assad è funzionale a specifici interessi, in primis l’acquisizione di uno status internazionale e la preservazione delle basi aereo-navali nel Mediterraneo, e che da tempo la Russia è alla ricerca di un disimpegno militare che la sollevi dai pesanti oneri di una presenza così massiccia.

La mobilitazione di navi russe e l’invio in Siria di nuovi dispositivi di difesa anti-aerea è il minimo che ci si poteva aspettare, e l’auspicio di Lavrov che l’episodio non costituisca “nulla di irreparabile” nelle relazioni con gli americani parrebbe andare nello stesso senso.

Negoziato, sopravvivenza a rischio
Un terzo, non minore, interrogativo riguarda i seguiti del negoziato che tecnicamente è in corso a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite. Se cioè opposizione interna e relativi sostenitori regionali vorranno utilizzare l’insperato spazio di manovra ora apertosi a loro favore per rispettare la tregua e perseguire una soluzione politica che preveda in via transitoria la partecipazione di Assad, come peraltro previsto fin dal 2012 nel Piano Kofi Annan, oppure insisteranno, come stanno facendo da anni, per un’uscita immediata dei governativi di Damasco dal tavolo negoziale e dalla scena. E se sapranno reperire la necessaria unitarietà di intenti nel frammentato scenario, isolando i jihadisti.

Un quarto interrogativo investe Israele, che finora ha limitato le sue iniziative militari in Siria mostrando un intelligente auto-controllo, ma è allarmato per l’ingombrante presenza in area di un Iran riabilitato dopo l’intesa nucleare conclusa dal gruppo 5+1 nell’estate 2015.

Un quinto interrogativo riguarda la Turchia di Erdogan che, assieme a una ritrovata sintonia con Washington e all’immediato riflesso di una missione a Mosca per non disperdere i vantaggi delle intese di Astana, ha subito rilanciato l’idea di una no-fly zone e di aree di sicurezza a ridosso dei propri confini per allontanare il paventato pericolo di sinergie tra curdo-siriani e Pkk.

L’incertezza regna. Resta poi in tutta evidenza all’ordine del giorno il tema dell’impunità dei responsabili dei crimini di guerra, per ora bloccato dalle contrastanti visioni degli attori regionali e internazionali.

È chiaro a tutti che nessun intervento militare può risolvere i problemi della Siria. Che una metastasi l’hanno già prodotta in termini di terrorismo e di masse di rifugiati. Una stabilizzazione democratica si impone, e questa non può che maturare per via negoziale.

Spetta ora all’Europa, che della crisi siriana è la prima a fare le spese, il compito di fare tutto il possibile per rilanciare le trattative. E contribuire attivamente a contemperare gli interessi in campo dei protagonisti interni, regionali, internazionali. L’Italia in questo può avere un ruolo molto importante, in omaggio alle sue tradizioni e capacità di mediazione. Le occasioni non mancano, a partire dalla Presidenza del G7 e dalle programmate missioni preparatorie del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio a Mosca. Solo così l’intervento militare di Trump avrà avuto un senso.

Laura Mirachian, Ambasciatore, già Rappresentante permanente presso l’Onu, Ginevra.