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giovedì 28 luglio 2016

Economia Europea

Aiuti alle banche
Bail-in: legittimo, ma non obbligatorio
Gian Luigi Tosato
26/07/2016
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In una recentissima sentenza (del 19 luglio scorso, in causa C-526/14), la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) ha fornito alcune importanti precisazioni in tema di bail-in. Lo ha fatto in riferimento a misure di salvataggio a favore di talune banche slovene e avuto riguardo alla Comunicazione della Commissione sugli aiuti al settore bancario del 2013.

Corte innovativa
Come si sa, il bail-in ha fatto la sua prima comparsa in questa Comunicazione, nella forma più contenuta del burden-sharing (condivisione del rischio): vale a dire, unbail-in che limita ad azionisti e creditori subordinati il coinvolgimento nelle perdite di una banca, prima che subentri l’aiuto statale.

La Corte ha fissato tre punti: il burden-sharing non è obbligatorio, deve ritenersi però legittimo e può essere applicato retroattivamente.
Sul primo punto, la sentenza precisa che la Comunicazione del 2013 è vincolante per la Commissione, ma non per gli Stati membri. La Commissione è tenuta a considerare compatibili con il Trattato aiuti conformi ai requisiti da essa posti nella Comunicazione. Ma gli Stati membri hanno la facoltà di notificare misure che non soddisfano questi requisiti e la Commissione deve motivare un eventuale rifiuto di autorizzarli.
È una precisazione innovativa rispetto a decisioni precedenti. In passato, la Corte aveva attribuito alle Comunicazioni della Commissione una portata vincolante nei due sensi: non solo nel senso di obbligarla ad autorizzare aiuti conformi a tali Comunicazioni, ma anche di rigettare misure che non lo fossero.

Questo sviluppo giurisprudenziale, in parte anticipato da una sentenza di poco precedente (dell’8 marzo scorso, in causa C-431/14), va accolto senz’altro con favore.
In effetti, è la stessa Comunicazione a precisare che il burden-sharing si applica “di norma” e “in linea di principio”; e che è possibile derogarvi se mette “in pericolo la stabilità finanziaria” o determina “risultati sproporzionati”. Non solo: è sempre possibile appellarsi direttamente all’art. 107.3.b del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, Tfue (“grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”); e chiedere quindi un’esenzione anche per ragioni diverse da quelle previste nella Comunicazione.

Resta fermo, peraltro, che l’esclusione del burden-sharing costituisce un’eccezione alla regola; come tale, va interpretata restrittivamente, e da ammettere solo in presenza di circostanze propriamente eccezionali.

Legittimità del burden sharing
Secondo punto della sentenza in esame: il requisito del burden-sharing deve considerarsi legittimo. Per la verità, questo requisito non è esplicitamente richiesto dal Trattato. Ma la Corte lo ritiene conforme allo scopo perseguito dall’art. 107.3.b, essenzialmente per due ragioni: perché consente di limitare l’aiuto al minimo necessario, riducendo in tal modo il pregiudizio alla concorrenza; e perché scoraggia l’“azzardo morale” di decisioni rischiose le cui conseguenze negative finiscono a carico della collettività.
La Corte esclude, d’altra parte, indebite lesioni del diritto di proprietà: è normale che gli azionisti concorrano a ripianare le perdite (e conseguente carenza di capitale) di una banca in crisi. Quanto ai creditori subordinati, la Corte osserva che i loro titoli presentano caratteristiche sia delle obbligazioni sia degli strumenti di partecipazione al capitale. Un loro coinvolgimento nel burden-sharing, peraltro in seconda battuta, risulta pertanto giustificato.

Anche questa posizione della Corte è da condividere, a condizione tuttavia che la legittimità del burden-sharing si accompagni ad elementi di flessibilità e proporzionalità.

Non par dubbio che la condivisione degli oneri da parte di azionisti e creditori subordinati appaia in principio conforme alle finalità della disciplina sugli aiuti. Valgono in primo luogo le motivazioni della Corte in tema di riduzione delle distorsioni alla concorrenza e freno agli azzardi morali. Occorre, però, anche pensare al legame perverso fra debiti bancari e debiti sovrani. Il burden-sharing serve a evitare (o quantomeno limitare) il trasferimento sulla collettività di perdite maturate in ambito privato.

La legittimità del burden-sharing è tuttavia condizionata agli elementi di flessibilità segnalati in precedenza, e cioè alla possibilità di deroghe in presenza di circostanze eccezionali. Deve inoltre attuarsi nel rigoroso rispetto del principio di proporzionalità. Questo significa che il ricorso al burden-sharing deve risultare necessario, in assenza di altri rimedi per supplire alle carenze di capitale; e non deve eccedere quanto richiesto per conseguire tale risultato.

Retroattività
Il terzo punto della sentenza riguarda la retro-attività. Per la Corte non vi è lesione del principio di tutela del legittimo affidamento, se il burden-sharing viene applicato in via retroattiva. È vero che prima della Comunicazione del 2013 questo requisito non era stabilito. Ma – osserva la Corte - nessuna assicurazione è stata data da una competente autorità circa la conservazione della situazione esistente. Una modifica è dunque sempre ipotizzabile, specie in tema di aiuti, di riflesso alle variazioni del contesto economico.

Anche questa posizione della Corte è condivisibile, ma nel quadro degli elementi di flessibilità e proporzionalità sopra ricordati. Rientrano nella discrezionalità della Commissione eventuali distinzioni fra investitori. I titoli subordinati, non essendo pienamente assimilabili alle partecipazioni azionarie, potrebbero legittimare un loro trattamento differenziato. E, anche nell’ambito dei creditori subordinati, si può giustificare una gradazione fra investitori professionali e piccoli risparmiatori. Non appare quindi censurabile la speciale tutela di piccoli risparmiatori apprestata dal nostro governo a seguito del noto salvataggio di quattro banche (legge di stabilità 2016 e d.l.59/2016). Né risulta, allo stato, che la Commissione abbia sollevato obiezioni al riguardo.

Un’ultima considerazione: nella sentenza in esame, la Corte si è pronunciata sul bail-in, versione burden-sharing della Comunicazione del 2013; entro certi limiti, le sue valutazioni dovrebbero valere anche per il più esteso (e più esplicitamente denominato) bail-in di cui alla direttiva del 2014 sul risanamento e risoluzione degli enti creditizi (la cosiddetta direttiva Brrd).

Gian Luigi Tosato è Professore Emerito di Diritto dell’Unione Europea, Università “Sapienza” di Roma.

giovedì 21 luglio 2016

Europa: dalla strategia all'azione

Alto Rappresentante dell’Unione Europea
Ue, una strategia per un agire comune
Nathalie Tocci
16/07/2016
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Il 28 giugno l’Alto Rappresentante dell’Unione europea, Ue, Federica Mogherini ha presentato la Strategia Globale dell'Unione europea (Eugs) per la politica estera e di sicurezza al Consiglio europeo.

L’Eugs segue, a distanza di tredici anni, il primo ed unico documento sul tema, l’European Security Strategy promosso da Javier Solana. Il Consiglio europeo ha accolto con favore la presentazione dell’Eugs, in uno degli ultimi atti dei 28 paesi membri seduti intorno al suo tavolo.

Nonostante Brexit
Mogherini ha deciso di proseguire con la EU Global Strategy il 24 giugno, a poche ore dal drammatico risultato del referendum della Gran Bretagna che ha visto prevalere i voti del Leave. Tale decisione non era scontata.

Alcuni possono aver pensato che si sia trattato dell’ennesimo caso della distanza dell’Ue dalla realtà politica del momento. A dire il vero, nei mesi che hanno preceduto il referendum in Uk, avevamo pensato che nel caso in cui il voto di uscita fosse prevalso, avremmo dovuto fare un passo indietro e rimandare la presentazione dell’Eugs nel futuro.

Quando mi sono giunti i sconvolgenti risultati il 24 giugno, ho pensato che sarebbe stato tutto annullato. E infatti nell’immediato l’Alto Rappresentante era proprio propensa a farlo. Tuttavia, con il passare delle ore, è diventato chiaro che rimandare la presentazione dell’Eugs non sarebbe stato realistico.

Nei mesi a venire, l’Ue sarebbe stata così occupata nella Brexit, le cui conseguenze saranno probabilmente molto profonde, da portare all’abbandono dell’Eugs se non fosse stata pubblicata. È stata proprio la comprensione della portata della crisi interna all’Ue che ha convinto l'Alto Rappresentante ad andare avanti sulla politica estera.

Mogherini ha ritenuto che abbandonare la presentazione dell’Eugs avrebbe significato fare un gran torto all’Unione. Il documento è il frutto di quasi due anni di un sostanzioso lavoro di riflessione e confronto che ha visto l’attiva partecipazione di tutti gli stati membri e istituzioni Ue, oltre a tutta la comunità che si occupa di politica estera.

Conferenze e dibattiti, online e offline, sono stati organizzati in tutte le capitale europee, e non solo. Il processo ha beneficiato del contributo di accademici e studenti, Ong che si occupano di diritti umani e associazioni dell’industria della difesa, think tank, sindacati, associazioni d’impresa e la Chiesa Cattolica, fra i tanti. E tutti i 28 paesi membri erano soddisfatti del risultato.

Una visione di lungo periodo
Come mi ha detto l’Alto Rappresentante il 24 giugno: “Il lavoro è finito”. Quindi perché accantonare il documento? Non è un atto dovuto di responsabilità politica dimostrare proprio in un periodo di crisi come questo che l’Europa può ancora essere unita?

È vero: a giugno 2016 l’Eugs non avrebbe ricevuto l’attenzione da parte del Consiglio europeo o dai media che molti pensano avrebbe meritato. Tuttavia, sarebbe stato ingenuo pensare che un documento strategico con una visione di lungo periodo potesse raggiungere le prime pagine o essere oggetto di profonde riflessioni da parte dei capi di Stato e di governo. E comunque, non era lo scopo con il quale era stato scritto.

Lo scopo dell’Eugs era ambivalente. In primo luogo si voleva raggiungere, attraverso un ampio e approfondito processo di discussione strategica, l’unità di tutti gli attori coinvolti. Il contenuto dell’Eugs non sarebbe cambiato a causa della decisione dell’Uk di lasciare l’Ue.

Ciò che dobbiamo fare in Medio Oriente e Africa, in America Latina o presso l’Onu, ciò che ci dobbiamo prefissare di ottenere nel campo della difesa, del commercio, dello sviluppo, del clima o sul tema delle migrazioni è rimasto sostanzialmente inalterato dopo la Brexit.

Dalla strategia all’azione
Ciò che è cambiata è la nostra capacità di azione. La decisione dell’Uk di abbandonare l’Ue ha assestato un duro colpo prima di tutto all’Uk stesso, ma anche all’Ue. Perdendo l’Uk, la Ue ha perso uno dei suoi più importanti paesi membri, forse quello con il più alto profilo globale, sia in termini di commercio, sviluppo, difesa o diplomazia.

Senza l’Uk, l’Ue rischia di essere meno capace di raggiungere gli obiettivi che si è posta. Nonostante ciò, quegli stessi obiettivi e interessi restano vitali. L’Ue ha quindi oggi ancor più il dovere di garantire un futuro di sicurezza, libertà e prosperità ai propri cittadini e deve farlo rimanendo unita e agendo in maniera responsabile sullo scacchiere globale. E questo è precisamente ciò che l’Eugs si propone di fare.

Tuttavia, la Strategia resta solo un documento che tratteggia una narrativa comune per l’Unione. In secondo luogo, infatti, l’Eugs si propone di andare oltre a questa visione condivisa, in favore di un’effettiva azione comune.

E questo è precisamente il motivo per cui la presentazione dell’Eugs non poteva essere rimandata. L’Eugs doveva essere pubblicato per dare avvio al suo sviluppo. Da più punti di vista, è qui che inizia il vero lavoro. I cittadini europei meritano una visione condivisa e un’azione comune.

Articolo pubblicato da El País.
Traduzione a cura di Matteo Garnero, stagista dell’area Europa dello IAI
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Nathalie Tocci è vicedirettore dello IAI.

giovedì 14 luglio 2016

Prospettive nuove peer la UE

Brexit
Ora di mettere in salvo le istituzione Ue
Cesare Merlini
09/07/2016
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Il quadro dell’Unione Europea, Ue, profondamente scosso dall’esito del referendum inglese del 23 giugno scorso, è quasi quotidianamente reso ancor più oscuro da nuovi sviluppi, fra i quali abbiamo registrato di recente l’annuncio di due altre consultazioni popolari, entrambe per la data del 2 ottobre: una in Ungheria contro l’immigrazione e contro le regole europee per organizzarla e una in Austria per la ripetizione del ballottaggio onde eleggere il Presidente della Repubblica, così riaprendo l’accesso alla carica ad una personalità dell’estrema destra xenofoba.

Il dibattitto sul futuro dell’integrazione europea
Ma non meno preoccupante è il contenuto dell’intervista a Wolfgang Schaeuble, apparsa sul Corriere della sera di lunedì scorso. In essa il Ministro dell’economia tedesco, dopo aver ribadito la sua sostanziale opposizione agli investimenti per la crescita, afferma che questo “non è certo il momento giusto di lavorare a una maggiore integrazione dell’eurozona”.

Per aggiungere che, “se la Commissione non collabora” e poiché non “preoccupa la gente se il Parlamento europeo abbia o meno un ruolo decisivo”, è bene che “risolviamo noi questi problemi tra i governi, al di fuori delle istituzioni”. È la consacrazione del dominio dell’approccio intergovernativo che, forzando i Trattati in vigore, discende dal vertice della piramide geopolitica reintrodotta nel Vecchio Continente.

In tale contesto non sorprende che il dibattito sul futuro dell’integrazione europea assuma un carattere esistenziale, vagando fra un estremo, quello del “ritorno ad Altiero Spinelli” per risuscitare ipotesi di unità federale, e l’estremo opposto, quello della restituzione della piena sovranità agli stati che in numero finora crescente hanno aderito al processo integrativo, ora dato per prossimo al coma terminale.

È certo poco ragionevole, e per alcuni potenzialmente controproducente, attribuire molte chance al primo scenario, e ciò non solo per la suddetta indisponibilità, o incapacità di leadership, del maggiore stato membro dell’Unione.

Nelle mani esclusive delle “nazioni”
Quanto al secondo, l’idea di rimettersi nelle mani esclusive delle “nazioni” in sostituzione delle istituzioni comuni sembra trarre nuovo alimento non tanto da nazionalismi tradizionali, quanto dalla spinta composita, se non contraddittoria, di percezioni di declino e di impotenza, nonché di xenofobie, separatismi e paure identitarie, alimentate da tabloid e social media, senza che però si delineino schemi politici e sociali, nazionali e internazionali, alternativi.

Quel che sta succedendo nell’agone politico e nel complesso economico e finanziario della Gran Bretagna al solo delinearsi di una procedura di exit futura dall’Unione anticipa e aiuta a comprendere quello che sarebbe l’esito di un dilagante ciascun per sé. Stati nominalmente sovrani e indipendenti infatti non tornerebbero semplicemente a un’Europa libera dall’apparente guazzabuglio brussellese di corpi istituzionali, politici e giuridici, ma a una situazione di nuovo, grave rallentamento economico e di ulteriore perdita di peso geopolitico di tutti e di ciascuno, forse anche a una democrazia che rischia la morte per indigestione.

Travaglio del sistema liberal democratico
Come infatti già notato in precedenti commenti apparsi su AffarInternazionali, la crisi dell’Unione europea rientra in un più esteso e spesso non meno profondo travaglio dell’intero sistema liberal democratico. Non ne è esente la stessa nazione leader di tale sistema, come lo svolgimento delle elezioni primarie in vista della scelta del nuovo Presidente statunitense ha dimostrato. Né lo sono paesi lontani come l’Australia, o pretesi avamposti mediorientali come Israele, o sperate nuove acquisizioni come la Turchia.

Anche per questo lo stato del multilateralismo transatlantico (come dimostra il Ttip periclitante), della governance globale a influenza occidentale (come dimostra l’impasse del G20) e del controllo della sicurezza internazionale a guida americana (come dimostra il moltiplicarsi di minacce “ibride”) non è solo molto insoddisfacente, ma in via di deterioramento, così come si è sopra detto dello stato dell’integrazione europea. Fermare questa deriva generale, rovesciarla se possibile, è compito che appare spesso e scoraggiantemente al di sopra delle capacità delle attuali leadership.

Tuttavia le possibilità residue di adempirvi traggono beneficio dal riconoscimento dei vantaggi restanti degli istituti in essere, a cominciare da quelli europei, e dall’utilizzo dei margini esistenti di salvare il salvabile più che dalle ipotesi di buttare tutto alle ortiche, come certi ibridi politici di finte sicurezze passatiste e di improvvisazioni nuoviste sembrano volere, magari col supporto di scuole politologiche ammantate diRealpolitik.

Può sembrare una ricetta da vecchi, ma quei giovani che, guardando al futuro, hanno votato in maggioranza per il Remain nell’Unione europea potrebbero averci dato una lezione di saggezza.

Cesare Merlini è Presidente del Comitato dei Garanti dello IAI.

sabato 9 luglio 2016

UE: verso un libro bianco europeo

Strategia globale Ue
Un rilancio della difesa europea
Alessandro Marrone
30/06/2016
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La sicurezza e difesa dell’Europa ricevono una forte attenzione dalla Strategia Globale dell’Ue approvata il 28 giugno, con un significativo rilancio politico che fissa delle priorità, promette delle risorse, e avvia un processo di attuazione delle linee guida stabilite dal documento per le politiche europee in questo settore.

Proteggere l’Europa, fronteggiare le crisi, assistere i Paesi partner
La European Union Global Strategy, Eugs, mette al primo posto tra le priorità dell’azione esterna dell’Ue “la sicurezza della nostra Unione”, con l’obiettivo di contribuire maggiormente alla “sicurezza collettiva” dell’Europa.

Pur riconoscendo il ruolo della Nato per la difesa collettiva, la Eugs afferma che gli europei devono attrezzarsi sia per contribuire all’Alleanza atlantica sia per agire autonomamente se e quando necessario. Vengono quindi fissati tre compiti per l’Ue, da svolgere cooperando con altri soggetti: “proteggere l’Europa, fronteggiare crisi esterne, assistere i Paesi partner nello sviluppare le loro capacità di sicurezza e difesa”.

Si tratta di un livello di ambizione politico piuttosto elevato, in quanto affianca al ruolo di gestione delle crisi, ormai acquisito dopo tredici anni e più di trenta missioni Ue all’estero dalla European Security Strategy del 2003, un compito di deterrenza e difesa simile a quello Nato.

Compito in parte già inserito nel Trattato di Lisbona attraverso la clausola di solidarietà e quella di mutua assistenza - quest’ultima invocata dalla Francia dopo gli attentati del 2015 - ma che riceve dalla Eugs una veste nuova e più ampia, ed un forte mandato politico per essere attuato dalle istituzioni Ue e, si spera, dagli stati membri.

Ovviamente il ventaglio attuale di sfide alla sicurezza europea è molto ampio e va ben oltre quelle strettamente militari, tanto che la Eugs cita terrorismo, minacce ibride, sicurezza cibernetica ed energetica, criminalità organizzata e gestione dei confini esterni - quest’ultima con un esplicito riferimento ad operazioni militari Ue in cooperazione con la Guardia costiera e di confine europea per la sicurezza marittima, tema quanto mai importante nel Mediterraneo.

Anche in quest’ottica va considerato il terzo compito fissato per l’Ue, sostenere le capacità militari e di sicurezza dei Paesi partner: stati falliti,fragilio non in grado di controllare il proprio territorio e spazio marittimo, facilitano il diffondersi del terrorismo islamista e del traffico di esseri umani in Nord Africa e Medio Oriente, con effetti negativi evidenti sulla sicurezza europea - e non solo.

Le priorità per le capacità militarie europee, dalle parole ai fatti
Se il livello di ambizione politico è giustamente elevato per fronteggiare i tempi difficili in cui viviamo, secondo la Eugs per poterlo raggiungere gli stati membri devono spendere a sufficienza nella difesa, devono farlo in modo più efficiente, e devono dedicare il 20% delle proprie spese militari all’acquisizione di equipaggiamenti e alle relative attività di ricerca e sviluppo tecnologico.

Il tutto, assicurando il massimo di interoperabilità tra le forze armate in modo da poterle mettere a disposizione di operazioni Ue, Nato, Onu o svolte in altri formati. Non si tratta di linee guida nuove rispetto a dichiarazioni adottate dal Consiglio europeo negli ultimi anni, ma il fatto che siano sancite nella Eugs lascia sperare che trovino ora una maggiore attuazione pratica.

Non a caso il documento afferma chiaramente che una strategia settoriale dovrà essere adottata dal Consiglio per specificare i livelli di ambizione militare e civile, i compiti, i requisiti e le priorità per le capacità militari europee sulla base delle indicazioni fornite dalla Eugs: insomma, per attuare quest’ultima nel campo della difesa.

La Eugs stabilisce diverse linee guida al riguardo, tra le quali tre sono particolarmente importanti. In primo luogo, viene data priorità alle capacità militari per l’intelligence e la sorveglianza (in particolare velivoli a pilotaggio remoto e satelliti), alle tecnologie cibernetiche per aumentare la resistenza delle reti e delle infrastrutture critiche rispetto a cyber attacchi, ed in generale agli equipaggiamenti necessari perché le forze armate siano in grado di compiere lo spettro completo delle operazioni militari (full spectrum) incluse quelle di combattimento ad alta intensità.

In secondo luogo, la cooperazione europea nella difesa deve diventare la norma perché programmi nazionali non sono più sufficienti per mantenere le suddette capacità, e secondo la Eugs una revisione annuale a livello europeo della spesa militare incoraggerebbe tale cooperazione.

Il documento assegna alla European Defence Agency (Eda) un ruolo chiave al riguardo, sia tramite il rafforzamento del suo Capability Development Plan (Cdp) sia nell’assistere gli stati membri nello sviluppo delle capacità militari derivanti dagli obiettivi politici fissati dalla Eugs.

In terzo luogo, si afferma chiaramente che l’Ue finanzierà la ricerca tecnologica nel campo della difesa, prima attraverso la revisione di medio termine dell’attuale bilancio settennale, e poi attraverso una linea di spesa a tutti gli effetti nel prossimo settennato.

Verso un libro bianco della difesa europea
Nel complesso, gli elementi della Eugs maggiormente dedicati alla difesa forniscono un insieme coerente e significativo di linee guida, perché indicano le priorità quanto a capacità militari, le responsabilità delle istituzioni Ue e degli stati membri al riguardo, e le risorse economiche (e non solo) messe sul tavolo dall’Unione.

Ovvero i tre elementi - obiettivi, modalità e mezzi - costitutivi di una strategia nel vero senso del termine. Servirà ora elaborare in tempi certi il documento attuativo previsto dalla Eugs, una sorta di libro bianco della difesa europea, per andare avanti sulla difficile strada coraggiosamente indicata.

Alessandro Marrone è responsabile di ricerca del Programma sicurezza e difesa dello IAI (Twitter @Alessandro__Ma).
 
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