Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

Cerca nel blog

venerdì 24 febbraio 2017

La sicurezza militare e l'Europa

#EU60 e difesa europea
L’Europa della difesa vista da Parigi, Berlino e Roma
Alessandro Marrone
24/02/2017
 più piccolopiù grande
La difesa europea è un po’ come la bellezza: sta in parte negli occhi di chi guarda. Ovvero, non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace. E a Parigi, Berlino e Roma piacciono aspetti diversi di una possibile Europa della difesa/difesa europea.

Infatti, come evidenziato in un recente studio IAI per il Parlamento italiano, in questo settore sono abbastanza diversi gli approcci nazionali dei tre Stati membri più importanti di un’Ue alle prese con l’uscita della Gran Bretagna.

Parigi, à la guerre comme à la guerre
La Francia apprezza della difesa europea soprattutto l’aspetto operativo militare, cioè la conseguente maggiore capacità e disponibilità degli alleati europei nel partecipare a operazioni di gestione delle crisi, antiterrorismo o stabilizzazione, nel Sahel e nei teatri africani/mediorientali più importanti per Parigi.

La Francia ha significativamente aumentato il proprio impegno militare in patria e all’estero in risposta agli attentati subiti, rafforzando una presenza operativa già robusta. Nel fare ciò, ha chiesto agli altri Paesi europei di seguirla, spesso dopo avere definito su base nazionale la strategia della missione. L’appoggio ricevuto è variato a seconda del partner, ad esempio con un forte contributo tedesco in Mali e altrove, e una certa freddezza italiana causata principalmente dall’azione francese in Libia dal 2011 in poi.

Se la difesa europea oggi è vista da Parigi come un modo per mobilitare i partner quanto a sviluppo ed impiego di capacità militari, tale esigenza operativa si combina con un duplice obiettivo costante dell’approccio francese: tutelare i propri interessi nazionali e rivestire un ruolo di guida a livello europeo ed internazionale.

A tal fine, per Parigi è tuttora necessario mantenere l’autonomia strategica, ovvero quel combinato di capacità militari-industriali e di struttura politica che permette un’indipendenza decisionale sul piano internazionale - combinato peraltro riflesso nel sistema presidenziale francese.

Per la Francia, oggi la dimensione europea continua ad essere il completamento delle capacità di sicurezza e difesa nazionali, assicurando una maggiore autonomia strategica alla stessa Ue rispetto ad esempio agli Stati Uniti: l’Europa della difesa è vista quindi come una collaborazione intergovernativa tra un nucleo di Stati sovrani, in cui sia le capacità militari sia le volontà politico-strategiche siano forti e allineate.

Berlino: regole, efficienza, inclusività
Varcando oggi il Reno, l’approccio alla difesa europea cambia. Il Libro Bianco del 2016 ha di certo segnato una maggiore e più esplicita assunzione di responsabilità da parte di Berlino nel settore della difesa, già dimostrata sul campo come partner affidabile delle missioni internazionali (650 truppe solo in Mali, e poi Sudan, Corno d’Africa, Libano, Afghanistan) e rispondente a una forte industria nazionale di aerospazio, sicurezza e difesa.

Restano forti i limiti legali, istituzionali, politici e culturali all’impiego delle forze armate all’estero ed in patria, limiti che pongono la Germania quasi all’opposto della Francia: ma proprio per questo vincolo di fondo i passi in avanti di Berlino sono stati apprezzati da Parigi, rafforzando un legame bilaterale che poggia sulle costanti consultazioni e sugli scambi di personale militare, diplomatico e civile, a vari livelli, previsto dal Trattato dell’Eliseo del 1963.

Nel guardare alla difesa europea, forte dei suoi 37 miliardi di euro investiti nel 2017 nella difesa (a fronte dei 32,7 francesi), Berlino apprezza l’integrazione Ue, e non solo la cooperazione intergovernativa, in linea con un approccio attento agli aspetti istituzionali e legali. La Germania insiste inoltre su misure per razionalizzare e rendere più efficienti le capacità militari esistenti, ad esempio con un comando medico europeo, nella consueta logica economica di costo-efficacia.

A livello politico, il nuovo impegno tedesco verso forme di integrazione differenziata quali la Permanent Structured Cooperation (Pesco), più vicine all’idea francese di un nocciolo duro, viene tuttora combinato con la volontà di tenere la Pesco il più possibile aperta ed inclusiva verso altri Stati membri.

Roma: l’occasione da non perdere
Roma si colloca in una posizione mediana tra Parigi e Berlino rispetto all’Europa della difesa. Da un lato, le forze armate italiane hanno svolto missioni ben più combat di quelle tedesche negli ultimi 30 anni e potrebbero ben lavorare a fianco di quelle francesi se Francia e Italia si parlassero seriamente a livello strategico sul “che fare” con le crisi a Sud del Mediterraneo, a partire dalla Libia.

Dall’altro, Roma condivide con Berlino l’apprezzamento per una forte componente istituzionale della difesa europea, non solo per motivi ideali a favore dell’integrazione Ue, ma perché ciò fornisce quel framework multilaterale che assicura ad una media potenza come l’Italia (che spende nella difesa metà della Germania) di non essere tagliata fuori da un direttorio a due franco-tedesco.

L’attuale dibattito sulla difesa europea, e in particolare il lancio della Pesco, rappresenta dunque un’occasione da non perdere per l’Italia, che ha buone carte politiche, diplomatiche, militari e industriali da giocare di sponda con Francia e Germania, nonché in liason con istituzioni Ue che nel 2016 sono state molto attive sulla difesa e vedono al loro interno una forte presenza italiana.

Il problema è che queste carte dovrebbero essere giocate da un giocatore unico, evitando che presidenza del Consiglio, ministero della Difesa e ministero degli Esteri agiscano in modo scoordinato considerando la difesa europea come solo una questione diplomatica, solo una questione militare, o solo una questione politica.

La sfida per l’Italia nel tutelare i propri interessi nazionali è in primo luogo, come spesso accade, interna al proprio sistema politico-istituzionale. È la sfida di portare avanti con costanza una proposta condivisa, approfondita e realistica, che comprenda sia la visione politica, sia le technicalities militari e industriali, sia la rete di rapporti diplomatici. Chi bello vuole apparire, un po’ deve soffrire.

Alessandro Marrone, Responsabile di Ricerca Programma Sicurezza e Difesa; Twitter @Alessandro__Ma.

lunedì 20 febbraio 2017

Gestione delle Crisi

Gestione delle crisi
Ue: come migliorare gli strumenti civili
Tommaso De Zan, Bernardo Venturi
07/02/2017
 più piccolopiù grande
Con la nuova Strategia Globale e il Piano di Implementazione, l’Ue continua a dare rilevanza e priorità agli strumenti civili per la gestione delle crisi a livello internazionale.

L’Unione ha un potenziale civile da primato mondiale, in particolare nel suo vicinato e in Africa, grazie alle possibilità offerte dalla presenza sul terreno delle sue Delegazioni, dal dispiegamento di missioni civili in ambito Psdc e dai programmi di sviluppo e cooperazione dalla Commissione europea, senza dimenticare i possibili interventi in campo umanitario e di protezione civile in caso di disastri naturali e non.

L’Ue ha già sviluppato strumenti e infrastrutture per la promozione della pace, ma, come emerso da una recente ricerca condotta dallo IAI nel contesto del progetto EU-CIVCAP, per raggiungere i propri obiettivi in questo campo l’Ue deve migliorare in procedure, personale e tecnologie.

Le sfide della formazione e del reclutamento 
La disponibilità di personale adeguatamente formato è cruciale per rendere pienamente effettive le capacità civili dell’Ue, per esempio in compiti specifici come il confidence buiding o la riforma del settore di sicurezza.

Per questo, negli ultimi anni l’Unione ha incrementato il numero di corsi online e in aula per il proprio personale a Bruxelles e nelle Delegazioni con compiti collegati alla prevenzione dei conflitti ed al peace building. Per esempio, in collaborazione con alcune Ong e centri di formazione del settore, l’Ue sta organizzando corsi e training su analisi dei conflitti e conflict sensitivity.

Un discorso diverso vale per le missioni civili in ambito Pesc/Psdc. Il sistema di formazione ha fatto passi avanti in termini di coordinamento e qualità dei corsi, grazie soprattutto al lavoro della rete ENTRi, ma alcune lacune appaiono ancora da colmare, come i corsi pre-missione, con più attenzione ai contesti locali o un’attenzione più spiccata all’ownership locale.

In aggiunta, la standardizzazione delle procedure di formazione e reclutamento tra gli Stati membri è ben lontana dall’essere realizzata e dallo studio dello IAI emerge che Paesi come Svezia e Germania hanno un’organizzazione decisamente più strutturata e standardizzate di Francia e Italia.

Il sistema unificato di formazione e reclutamento Goalkeeper, lanciato nel lontano 2007, ha visto un parziale rilancio lo scorso anno e potrebbe essere lo strumento privilegiato per avvicinarsi a questo ambizioso obiettivo, per quanto non l’unico. Sempre che le recenti reticenze della Germania non nascondano un suo passo indietro, nel qual caso tutto diventerebbe più difficile.

Tecnologia ancora da sfruttare a pieno
Connettività e strumenti ICT possono essere strumenti formidabili al servizio della pace, come già scritto in un precedente articolo. In particolare la ricerca IAI si è soffermata sulle possibilità che questi offrono nel contesto dei sistemi di “early warning”, meccanismi che hanno lo scopo di prevenire conflitti sulla base dell’analisi di diversi indicatori.

Grazie ad una serie di interviste con alcuni attori nazionali, lo studio IAI ha scoperto che, fortunatamente, i principali Paesi dell’Ue in campo civile (Francia, Germania, Italia e Svezia) possiedono importanti risorse tecnologiche.

Tuttavia, il problema è che i vari addetti nazionali non sembravano essere a conoscenza di come queste risorse possano essere utili all’Ue nelle sue attività di promozione della pace. Quindi, di conseguenza, non si capisce fino a che punto questi strumenti tecnologici nazionali vengano poi sfruttati a Bruxelles e per lo specifico scopo della prevenzione dei conflitti e del consolidamento della pace.

Ci siamo dati tre spiegazioni: 1) a livello nazionale si contribuisce prevalentemente alle missioni civili di Psdc, mentre non è chiaro fino a che punto gli Stati membri contribuiscano al sistema di early warning europeo; 2) è possibile che gli Stati membri utilizzino i suddetti strumenti nella raccolta dati per raggiungere i proprio obbiettivi di sicurezza nazionale e non siano disposti a condividerli; 3) prevenzione dei conflitti e consolidamento della pace non sono priorità assolute rispetto a difesa e sicurezza nazionale.

Un gran peccato, visto che sono numerosi i documenti ufficiali in cui si considera il rafforzamento del sistema di early warninge una maggiore condivisione dei dati a livello europeo come obiettivi prioritari.

Le sfide future
Training e reclutamento possono essere migliorati attraverso un crescente coordinamento e un’adeguata standardizzazione tra gli Stati dell’Unione. Il sistema di formazione ha bisogno di un coordinamento unico, procedure comuni per tutti gli Stati, maggiori sinergie tra le componenti civili, militari e di polizia, un aumento delle risorse finanziarie e maggiore attenzione alla specifica formazione per ciascun contesto di dispiegamento.

Il sistema di reclutamento, da parte sua, deve andare verso una maggiore uniformità. Il sistema Goalkeeper può rappresentare uno strumento valido per questo, ma, a dieci anni dal suo lancio, deve diventare pienamente operativo entro l’anno, altrimenti è meglio lasciare spazio ad altre soluzioni che ricevano adeguato sostegno politico.

L’Ue dovrebbe poi aumentare la propria consapevolezza sui benefici che determinate tecnologie potrebbero avere nella promozione della pace. Tenuto conto della fattibilità tecnica e delle inevitabili limitazioni economiche, l’Ue potrebbe aspirare alla creazione di un sistema comprensivo di early warning/situational awareness che integri dati da vari sistemi ICT e diverse fonti.

Anche alla luce dell’Approccio Comprensivo, la volontà dell’Ue di sapere gestire un conflitto o potenziale tale in tutti le sue varie fasi, tale sistema porterebbe a dei vantaggi innegabili. Infine, si dovrebbe dare un’accelerata ad una maggiore integrazione delle strutture per la raccolta dati all’interno dell’Ue e fare in modo che la timidezza degli Stati membri nella condivisione di informazioni si trasformi in audacia al servizio della promozione della pace.

Tommaso De Zan è ricercatore presso l'Area Sicurezza e Difesa dello IAI (Twitter @tdezan21); Bernardo Venturi è ricercatore dello IAI (Twitter: @bervent).

lunedì 13 febbraio 2017

L'adozione del reddito minimo

Economia
Finlandia, reddito minimo per il centenario
Gianfranco Nitti
08/02/2017
più piccolopiù grande
Il 2017 rappresenta per la Finlandia un anno molto particolare, in cui ricorre il centenario dell’indipendenza del Paese dall’impero russo: un anniversario che Helsinki “festeggerà” sperimentando - primo paese dell’Unione europea, Ue - il reddito minimo garantito.

L’avvicinamento del centenario coincide con l’emersione di segnali positivi per un’economia che negli ultimi anni ha subito i colpi della recessione internazionale. Secondo una recente analisi previsionale del Ministero delle Finanze, il Pil nazionale fa registrare una crescita dell’1,6% nel 2016 e una previsione di più 0,9% nel 2017 e di più 1% nel 2018.

Nell’anno appena trascorso, la crescita è stata agevolata dalla domanda interna, in particolare grazie all’incremento dei consumi privati; gli investimenti nel settore delle costruzioni sono aumentati rapidamente, mentre la situazione del mercato del lavoro è migliorata, portando a una riduzione del tasso di disoccupazione all’8,6%.

Nel 2017, l’aumento dei consumi privati dovrebbe subire una battuta d’arresto, in risposta all’accelerazione dell’inflazione ed al conseguente rallentamento della crescita del reddito reale. La crescita degli investimenti privati diminuirà temporaneamente nell’anno corrente, con l'inversione di tendenza nella crescita degli investimenti in costruzioni.

Nei prossimi mesi, il volume dei consumi pubblici scenderà dello 0,5% e la spesa per gli stessi calerà a causa di tagli su bonus vacanza, riduzioni dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro e prolungamenti degli orari di lavoro annuali concordati dalle parti sociali nel patto di competitività. La crescita delle esportazioni accelererà nel 2017 e nel 2018, guidata da consegne di mezzi di trasporto già programmate.

Ma il patto di competitività prevede anche modifiche ai contributi previdenziali e tagli fiscali che comporteranno un deterioramento a breve termine delle finanze pubbliche. Il governo centrale e quelli locali sono saldamente in deficit, il settore delle pensioni legate al reddito è in surplus ed altri fondi di previdenza sociale marginalmente in deficit. Il debito pubblico in rapporto al Pil continuerà inevitabilmente a crescere nel prossimo futuro.

Se, da una parte, l’intesa fra le parti sociali rafforza la fiducia nella politica economica interna; dall’altra, ci vorrà tuttavia del tempo perché i benefici derivanti dal patto si trasformino in vero e proprio sviluppo economico.

Crescita e cauto ottimismo
Le prospettive dell’export restano significative, nonostante il rallentamento della crescita: anche se non ci sarà una forte domanda per le esportazioni finlandesi, la situazione appare migliorata rispetto agli ultimi anni.

Il patto stimolerà la competitività dei prezzi misurati in termini di costi unitari del lavoro, il che faciliterà la crescita delle esportazioni. Tuttavia, ci sarà un ritardo prima di vedere gli effetti positivi dell’intesa sui risultati economici; e il patto potrebbe finire per indebolire sia i consumi privati sia quelli pubblici nel 2017.

La crescita in molte delle economie emergenti è rallentata in modo significativo. Nei Paesi industriali, il recupero è ancora modesto, perché i livelli di investimento sono bassi, gli utili aumentano ma lentamente e, di conseguenza, la domanda dei consumatori è debole.

I consumi privati cresceranno ad un tasso più lento in quanto ci sarà solo un moderato aumento del livello dei redditi e l'inflazione intensificherà la propria pressione. L'andamento dei consumi privati potrebbe rivelarsi più favorevole di quanto previsto se l’indebitamento delle famiglie continuasse a crescere al ritmo degli ultimi anni.

Ma vi sono rischi negativi associati a i consumi privati che possono materializzarsi se la tendenza occupazionale risultasse più debole del previsto. Gli effetti frenanti sui consumi sarebbero evidenti attraverso la formazione del reddito e delle aspettative dei consumatori, che potrebbero sviluppare cautela.

Debito e disoccupazione 
Lo scorso anno, la ripresa dell'economia finlandese ha sostenuto la finanza pubblica. Tuttavia, la lenta crescita economica dei prossimi anni non sarà sufficiente a correggere lo squilibrio tra entrate e spese, il che significa che le finanze pubbliche rimarranno in modo significativo in deficit.

Le misure di adeguamento, nell'ambito del programma di governo, rafforzeranno le finanze pubbliche durante il periodo di previsione; tuttavia, la crescita della spesa connessa continuerà ad essere rapida, ostacolando gli sforzi per raggiungere un equilibrio delle casse pubbliche, mentre i prossimi anni potranno far registrare al Helsinki un ulteriore aumento del rapporto debito pubblico-Pil.

Con la disoccupazione all’8,6% (e previsioni di lievi contrazioni), l’occupazione è in aumento, in particolare nel settore edile, e continuerà a migliorare; ma un suo ulteriore rapido miglioramento è impedito da problemi strutturali: i disoccupati in cerca di lavoro potrebbero non avere le competenze professionali necessarie per le offerte disponibili sul mercato, oppure i posti di lavoro potrebbero essere disponibili in luoghi diversi da quelli di residenza dei non occupati.

Reddito di base a sostegno della ripresa 
È in questo quadro economico che il governo di centrodestra ha avviato un periodo sperimentale di due anni per la concessione di un reddito di base che era fra i punti del programma del premier Juha Sipilä. L’esperimento è operativo dal 1° gennaio scorso.

A questa prima fase partecipano 2000 persone di età compresa tra 25 e 58 anni: un campione di disoccupati scelti a caso fra quelli che già ricevono sussidi pagati dal Kela, l’istituto nazionale per le assicurazioni sociali (omologo dell’Inps italiano).

L’esperimento prevede l’erogazione di 560 euro al mese, esentasse e ininfluenti sul reddito complessivo eventuale. L’obiettivo dichiarato è l’esplorazione degli effetti generali dell’istituzione di un reddito minimo garantito, e in particolare, delle conseguenze sullo status occupazionale dei partecipanti.

Secondo il Kela, il reddito di base incoraggia i beneficiari a cercare un’occupazione e riduce la burocrazia. Una particolarità di questo test è il fatto che l'importo del reddito di base rimarrà lo stesso per tutto il biennio: esso non viene ridotto da qualsiasi altro reddito da lavoro che i beneficiari possano avere; mentre i partecipanti che trovano lavoro durante l'esperimento continueranno a ricevere il reddito di base.

I guadagni saltuari, inoltre, non riducono l’importo del bonus, a sottolinearne la validità slegata dal lavoro, dipendente o autonomo: è questa l'idea chiave a sostegno del reddito minimo garantito finlandese, e la sua caratteristica innovativa rispetto alle tradizionali misure di sostegno ai disoccupati.

Gianfranco Nitti è giornalista, corrispondente di mass media finlandesi dall’Italia.