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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

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lunedì 31 gennaio 2022

Lapo Loris. UN’AREA STRATEGICA VULNERABILE. Le linee difensive nel Friuli-Venezia Giulia durante la Guerra Fredda II Parte

 

             II Parte. La I Parte è stata pubblicta cil 20 gennaio 2022 su questo blog 

Può essere utile a questo punto citare come il problema della difesa statica di una regione o addirittura di una nazione, fu affrontato nel corso del ‘900.Citeremo per questo tre esempi molto noti. Il primo, forse il più famoso, fu quello della linea Maginot. Fortemente voluta dal ministro della guerra francese André Maginot, che appoggiò le idee del generale Petàin a seguito delle esperienze avute da quest’ultimo durante la I G.M., la cui teoria per una linea difensiva pesantemente fortificata prevalse su quella più aggressiva e meno statica del generale Joffre. Come sappiamo l’opera fu gigantesca, con forti e casematte di cemento e acciaio ospitanti nelle viscere del terreno migliaia di uomini di guarnigione e dotata di cupole corazzate e armate con pezzi di calibro variabile dai 37 ai 135mm4. Dotata di nidi di mitragliatrici corazzati, ostacoli anticarro e barriere di filo spinato, realizzata tra il 1928 e il 1935, fu paragonata dal Daily News alla Grande Muraglia cinese. Tuttavia, come sappiamo, la convinzione degli alti comandi francesi che un'offensiva tedesca attraverso le Ardenne fosse di difficile attuazione o se non altro di lento svolgimento a causa del terreno impervio, consigliò di non prolungare la linea al confine belga. Il vulnus della Maginot fu quindi più un errore di valutazione strategica, che non tenne conto della evoluzione dei nuovi mezzi a disposizione e delle nuove tattiche applicate dagli aggressori, che un difetto concettuale di costruzione.

Un’ altro interessante sistema difensivo fu quello adottato dai tedeschi nella campagna d’Italia tra il 1943 e il 1945. Si trattò in effetti della applicazione di una strategia difensiva basata su una serie di linee (circa 50) che si susseguirono via via che le precedenti venivano superate dal nemico e che Kesselring5 mise in atto ben conscio di potersi permettere di cedere terreno lentamente. Queste linee vennero approntate basandosi sul principio Regelbau studiato dall’organizzazione Todt per la costruzione di sistemi fortificati campali e sulla dottrina adottata dalla Wehrmacht con il manuale Feldbefestigung des deutschen Heeres6. Le più famose di queste furono la Gustav e la Gotica. Fu però la linea Gustav a tenere in scacco le forze alleate tra l’inverno 1943 e la primavera 1944, negando loro possibilità di occupare rapidamente Roma. Questa linea si estese dalla foce del Garigliano sul Tirreno ad Ortona sull’Adriatico ed ebbe come fulcro strategico Cassino. Una sapiente combinazione di sfruttamento del terreno, coordinamento con l’artiglieria, dotata dei polivalenti pezzi da 88mm e dei lanciarazzi Nebelwerfer, oltre che dai nidi di mitragliatrici ben occultati e protetti, consentì ai difensori di mantenere le posizioni fino alla primavera del 1944. Si trattò in questo caso di una linea difensiva costruita in breve tempo con uno scopo strategico ben preciso, rallentare il più possibile l’avanzata alleata nella penisola nella visione di Kesselring, le basi dei bombardieri alleati lontane dalla Germania, ben sapendo che qualsiasi linea difensiva eretta lungo la penisola italiana sarebbe stata facilmente aggirabile con uno sbarco dal mare. Cosa che puntualmente avvenne con lo sbarco ad Anzio che però non fu la causa del collasso della Gustav che invece resse a tre massicce offensive alleate.

Ultima e altrettanto interessante fu la Linea Bar Lev, eretta da Israele dopo la conquista della penisola del Sinai con la Guerra dei 6 giorni del 1967. Il canale di Suez diventò così la nuova linea di confine tra Egitto e Israele. I generali Adan e Bar Lev proposero di erigere una linea difensiva statica lungo la riva del canale che fungesse anche da posto di osservazione ed Early Warning in caso di azioni offensive egiziane. A questa idea si opposero i generali Tal e Sharon che temevano che una linea statica privasse lo Tsahal7 del vantaggio della sua grande capacità di manovra. Alla fine, la spuntò Bar Lev, pertanto furono erette dal gennaio 1969 una serie di fortificazioni incentrate su 16 nuclei e collegati tra loro da forze mobili. Un alto muro di sabbia fu innalzato lungo la sponda orientale e speciali tubature furono allestite per versare combustibile nel canale e creare così una barriera di fuoco in caso di attacco. Il presupposto tattico di Tsahal fu comunque sempre basato sull’intervento risolutivo delle proprie forze corazzate da tergo della linea per ricacciare un eventuale attacco egiziano.

La Bar Lev fallì nel suo scopo. L’Early Warning venne del tutto a mancare e i capisaldi furono ben presto circondati e sopraffatti, mentre la reazione di Israele con le sue truppe corazzate e la sua aviazione fu messa a dura prova dai nuovi missili CC e CA forniti dall’Urss e magistralmente usati dagli egiziani.

Tornando alla situazione europea, che portò alla necessità di salvaguardare anche i confini nordorientali italiani, essa vide la formazione di due blocchi contrapposti, cosa evidente già nei mesi immediatamente successivi alla conclusione della II G.M. La definizione di Churchill di “cortina di ferro” ebbe immediata convalida con la creazione della NATO nel 1949, nata come organizzazione per una mutua difesa in caso uno dei paesi membri fosse stato attaccato. Questa iniziativa che coinvolse gli Usa e gran parte dei paesi dell’Europa Occidentale, Italia compresa, fu la risposta alla formazione del blocco comunista imposto dall’Urss ai paesi dell’Europa orientale liberati dall’Armata Rossa alla fine del conflitto.

Alla creazione del Comecon seguì quella del Patto di Varsavia nel 1955, quest’ultimo voluto dall’Urss come risposta all’entrata nella Nato di una riarmata Germania Occidentale. Ormai dalla contrapposizione politica si giunse a quella militare lungo una linea di frattura che correva dal circolo polare artico, passando per le pianure tedesche, per giungere fino all’Adriatico e alla Turchia.

La contrapposizione divenne presto equilibrio del terrore non appena anche l’Urss si dotò di armi nucleari. Non ci soffermeremo sulle varie fasi di questo confronto ma è importante sottolineare, al fine di comprendere meglio come si giunse allo sviluppo della linea difensiva edificata in Friuli, quale fosse il divario numerico delle forze contrapposte sul terreno. 

 

 


   ,

Tavola 2. Comparazione delle forze terrestri Nato/Patto di Varsavia.

https://www.nato.int/cps/fr/natohq/declassified_138256.htm 10.3.2

(continua la III parte sarà pubblicat in data 10 fennraio 2022 su questo blog)

giovedì 20 gennaio 2022

Lapo Loris. UN’AREA STRATEGICA VULNERABILE. Le linee difensive nel Friuli-Venezia Giulia durante la Guerra Fredda I Parte.

   

                                           

Il Friuli-Venezia Giulia occupa una posizione geografica e strategica di straordinaria importanza nel contesto dell’Europa centro-meridionale ed è un fondamentale punto di accesso alla penisola italiana. La catena alpina, che lo separa a Nord dai paesi del centro Europa, pone in realtà una barriera tutt’altro che insormontabile grazie a delle cime non particolarmente elevate e ai numerosi valichi, primo fra tutti quello di Sella di Camporosso. Da est invece la pianura friulana è facilmente raggiungibile grazie alla ampia valle del Vipacco, da sempre varco percorribile da e verso l’aerea danubiana e balcanica. Attraverso questa straordinaria posizione, che apre all’acceso al Mare Adriatico e alla pianura Padana, centro nevralgico di tutta la penisola, si sono sviluppati interscambi commerciali, culturali, politici, etnico-linguistici ma anche movimenti di eserciti in uscita ed in entrata, come le frequenti invasioni subite hanno dimostrato.

Un breve accenno agli eventi storici, specificamente quelli militari connessi al territorio della regione, è doveroso. Partendo dalla dominazione romana, il Friuli fu un’aerea fondamentale per difendere la penisola dalle incursioni di popolazioni barbariche. Sin dal II secolo a.C. Roma, ormai padrona del nord-est peninsulare, respinse vari assalti, come quello dei Gallo-Carni del 186 a.C. Allo stesso tempo il Friuli fu trampolino di lancio per le campagne delle legioni contro popolazioni balcaniche come i Giapidi e gli Istri. Cesare poi svernò con le sue legioni presso Aquileia, città divenuta centro strategico e snodo fondamentale della rete viaria romana verso nord-est. Nacquero altri centri difensivi e commerciali come Cividale e Zuglio mentre una linea fortificata lungo le Alpi Carniche e Giulie fu istituita sotto Marco Aurelio.

Dal III secolo d.C. il territorio regionale fu la vera porta d’ingresso delle varie ondate barbariche che si succedettero, culminando con le invasioni dei Visigoti di Alarico nel 410 e poi con gli Unni di Attila nel 452, che portarono alla definitiva distruzione di Aquileia. A Goti e Longobardi seguirono Franchi e Ungari fino al periodo patriarcale, durante il quale furono rafforzate le difese ed i castelli del territorio friulano. Dal 1420 la Repubblica di Venezia pose fine alle guerre fra feudatari e rafforzò la difesa dei propri territori edificando la fortezza di Palmanova. Con il tramonto di Venezia, le campagne Napoleoniche, che attraversarono il Friuli durante la lotta con l’Austria, portarono alla annessione del Friuli stesso nel Lombardo-Veneto asburgico.

Le Guerre di Indipendenza prima nel 1848 poi nel 1866 stabilizzarono la situazione del confine orientale, lasciando in mano all’Austria Ungheria fino al 1915 le aree di Gorizia e Trieste.
La Prima Guerra Mondiale, che si svolse esclusivamente nel nord est della penisola, vide il territorio friulano teatro principale delle operazioni belliche. Il fronte dell’Isonzo e le appendici carsiche furono scenario delle reiterate offensive italiane che tentarono di sfondare il fronte austro ungarico. In questa situazione il Friuli fu anche retrovia e base logistica di uno sforzo bellico mai visto fino ad allora, che coinvolse centinaia di migliaia di uomini e grandissime quantità di materiali. Tuttavia, la pianura friulana patì le maggiori sofferenze dopo lo sfondamento avvenuto a Caporetto nell’ottobre del 1917. Molto è stato scritto sul disastro di Caporetto, dagli errori di sottovalutazione da parte italiana, alle nuove tattiche usate dai reparti tedeschi giunti sul fronte italiano per cercare di risolvere una situazione che per l’Austria-Ungheria si stava ormai deteriorando. Dopo il ritiro ordinato il 27 ottobre del 1917 alla 2a e alla 3a armata italiana, il Friuli rimase alla mercé dell’invasore e questo causò danni e sofferenze indicibili alla popolazione civile rimasta. Il trauma di questa invasione rimase impresso per decenni nel popolo friulano.

Durante la II G.M. il Friuli fu teatro, a partire dal settembre 1943, dell’occupazione tedesca e della conseguente cruenta lotta partigiana che vide protagoniste anche formazioni iugoslave.
Finita la guerra, si sviluppò lungo il confine un periodo di forte attrito con la Iugoslavia di Tito per le pretese territoriali di quest’ultimo su Trieste e parte del Friuli. Vi fu, in seguito alla minaccia di una prova di forza iugoslava, la prima grande mobilitazione postbellica del nuovo esercito italiano.

I confini settentrionali italiani furono già al centro della attenzione dei nostri vertici, politici e militari, durante gli anni più critici della storia europea del ‘900. Si trattò infatti di aumentare le possibilità di difesa già in parte facilitate dalla catena alpina. Le minacce non riguardarono solo il settore orientale, ma visto il fermento che agitò le cancellerie europee principalmente durante la prima parte del secolo, in maniera estensiva, anche tutto l’arco montano settentrionale.

Per questa ragione nacque la prima vera linea difensiva statica italiana, chiamata linea Cadorna ed edificata a ridosso del confine svizzero nel 1915. Lunga 72 Km. fu eretta per timore di un attacco tedesco attraverso la Svizzera. Costata l’equivalente di 150 milioni di euro, fu dotata di 88 postazioni per cannoni, di cui 11 in caverna, decine di chilometri di trinceramenti e centinaia di chilometri di strade1. Venne dismessa nel 1919 ma alcune sue fortificazioni furono inglobate nella nuova imponente serie di sbarramenti che presero il nome, nella loro totalità, di Vallo Alpino del Littorio.

Iniziato nel 1931, questo nuovo ridotto difensivo fu edificato per volontà di Mussolini al fine di difendere il confine con la Francia, ma fu poi esteso a tutta la chiostra alpina fino al confine iugoslavo. Fu un’opera enorme e costosa. Sviluppata su una linea di resistenza principale con una profondità di 3/400mt. con centri di resistenza in cemento o in caverna, prevedeva anche una linea antistante per l’osservazione e una serie di postazioni di artiglieria a tergo della linea principale.

Vi furono tutta una serie di direttive per la realizzazione di quest’opera titanica comprese quelle per un efficace mascheramento, mentre il Vallo fu diviso un 28 settori numerati a partire dal più occidentale. Per dare un’idea della grandiosità dell’opera basti ricordare che a supporto di essa furono aperti 1978 Km. di strade e furono utilizzati 40.000 operai. I cantieri furono chiusi nell’ottobre 1942. L’opera fu edificata tra alti e bassi, problemi tecnici di costruzione e dubbi di natura strategica. Effettivamente non ebbe modo di dimostrare la sua validità, visto che dopo il settembre 1943 iniziò un’opera di saccheggio da parte dei civili e poi sporadicamente partigiani e tedeschi la utilizzarono come rifugio o deposito. Fu parzialmente smantellata dopo la guerra, in ossequio al Trattato di Parigi del 1947, ma solamente ad ovest e unicamente per le opere di difesa attiva, non quelle riguardanti un uso logistico. Alcune opere, vista la mutata linea di confine postbellica, passarono sotto la Francia. Ad est invece le opere del Vallo disposte in montagna ripresero vita, venendo adeguate ed integrate nelle difese Nato. È interessante ricordare che per il presidio di quest’opera fu creato nel 1934 un apposito Corpo chiamato Guardia di Frontiera (GaF). Suddivisa in 28 settori di copertura era composta da 8 comandi con 63.000 uomini, poteva contare su 1000 fortificazioni, 7000 mitragliatrici, 1000 mortai, 2000 pezzi di artiglieria (2). Sciolta dopo la guerra i compiti della GaF passarono prima ai battaglioni di posizione e poi alla fanteria d’arresto.

Dopo la guerra, con l’entrata dell’Italia nella Nato, il confine nordorientale italiano assunse nuova importanza e le opere del vallo furono riadattate e modernizzate adeguandole con protezioni NBC3 e armamenti più recenti. Le opere furono divise in 2 gruppi, quelle di Tipo A presidiate e pronte e quelle di tipo B non presidiate ma mantenute efficienti.





Tavola 1. Il Vallo Alpino.

https://www.associazionenazionalefantiarresto.itopere-e-armiarmindividualiopere.jpg 15.03.202

(continua  La II parte sarà pubblicata il 31 gennaio 2022 su questo blog)

domenica 9 gennaio 2022

LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica Dicembre 2021

 


Dal cosmo incantato alle orbite contestate. Cina e Russia insidiano il dominio USA. Homo Sapiens può diventare cosmicus?