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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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giovedì 26 dicembre 2019

Clima e Pianeta Terra 1


Fonte Limes Rivista di geostrategia

giovedì 19 dicembre 2019

Materiali per l'Analisi Parametrale 9


Popolazione

Valentina Trogu

Il parametro in questione tiene conto della difficoltà di gestione delle popolazioni numerose. In Africa la difficoltà maggiore, più che riferirsi al numero di abitanti, si rivela essere quella di gestire il multiculturalismo della popolazione. Come già detto le etnie presenti nel continente sono tantissime e presentano tradizioni, culture, lingue differenti. Queste diversità incidono sullo sviluppo sociale di uno Stato soprattutto se alla base della maggior parte delle minoranze etniche troviamo povertà, accesso inadeguato all’istruzione, alla salute e ai servizi igienico sanitari. La capacità di sviluppo sociale di uno Stato si può paragonare a quella che la psicologia sociale definisce come la capacità di un individuo di far emergere,  modificare ed instaurare relazioni competenti con le altre persone, ossia la capacità di socializzazione. Gli individui entrano a far parte del contesto socio-culturale attraverso due processi. Un primo processo di apertura e partecipazione alle relazioni con gli altri ed un secondo di mantenimento della propria differenziazione dall’altro. Per lo svolgimento del processo di sviluppo sociale, devono esserci le condizioni affinché si sviluppi la competenza sociale, la consapevolezza sociale e la conoscenza sociale. La competenza si riferisce alla capacità di interagire adeguatamente ai diversi contesti, di elaborare informazioni e risolvere problemi di natura sociale; la consapevolezza è riferita alla capacità di riconoscersi come parte di un gruppo ma anche come membro indipendente e la conoscenza riguarda l’acquisizione dei principi e delle regole che governano il complesso sistema delle relazioni interpersonali. Se uno stato non dovesse riuscire a creare le condizioni adatte affinché ogni individuo raggiunga un sufficiente sviluppo sociale, la numerosa popolazione (in più multietnica) può diventare un fattore di squilibrio rilevante.

domenica 15 dicembre 2019

Materiali per l'Analisi Parametrale 8


DISASTRI NATURALI

Valetina Trogu



La capacità dello stato è messa a dura prova dai disastri naturali che aggravano problematiche già presenti. Shocks esterni come la siccità conducono, per esempio, all’insicurezza alimentare e alla malnutrizione, già abbondantemente presente in Africa. Basti pensare che oltre 3,5 milioni di persone muoiono all’anno per la malnutrizione e che il 35% delle morti riguarda bambini sotto i 5 anni. Una dieta senza il giusto apporto di calorie, proteine e micronutrienti, poi, aumenta il rischio di sviluppare gravi ritardi mentali e di contrarre malattie quali polmoniti e dissenteria.
Le stime della Fao sui dati dell'International Disaster Database relativi ai disastri naturali nel continente africano riportano danni economici in 10 anni per 1.500 miliardi di dollari. Sono state colpite oltre 2 miliardi di persone e ne sono morte 1,5 milioni. Nello specifico, il settore primario subisce il 22% del totale dei danni e delle perdite causate dai disastri naturali in paesi in cui l’agricoltura è la principale fonte di reddito per il 60% della popolazione. La percentuale dei danni sale al 25% se si contano solo quelli legati al cambiamento climatico.
Nel 2017, l’Africa è stata colpita duramente dalla colata di fango in Sierra Leone che ha travolto interi villaggi causando 400 morti, dal ciclone Enawo in Madagascar, con 80 decessi e 247 mila persone senza tetto, da pesanti siccità che hanno sterminato le coltivazioni e colpito duramente la popolazione. Nel Malawi, nonostante la presenza di notevoli bacini idrici (pensate che il Lago Malawi è il nono più grande del mondo) la temperatura ha superato i 46°, portando milioni di persone a sopravvivere solamente attraverso agli aiuti alimentari internazionali. Nello stesso tempo il governo ha denunciato un aumento dei periodi di forte siccità e un aumento del numero di inondazioni, quadro di un clima in mutazione (dati del National Climate Change Policy, Government of Malawi).
Le zone dell'Africa subsahariana sono le più a rischio del mondo per perdite economiche causate da fenomeni di siccità acuta (come riportato dagli studi Dilley and others del 2005 e Fao 2006). Parliamo di zone in cui l'agricoltura raggiunge il 25% del prodotto interno lordo, il 50% se si include l'agro-business, e in cui oltre 264 milioni di persone hanno sofferto la siccità nel periodo compreso tra il 1980 e il 2014. Ogni siccità causa un calo del settore agricolo pari al 3,5% del suo valore all’interno dei Paesi colpiti al di sotto del Sahara.
In generale, i disastri naturali sono per il 90% legati all'acqua con la conseguenza che il 70% delle morti totali causate dai disastri naturali è dovuto ad eventi catastrofici che hanno a che fare proprio con l'acqua. Non si tratta solo di danni diretti alle persone e alle coltivazioni, ma anche dei danni provocati ai sistemi di irrigazione, di stoccaggio, agli animali, ai trasporti e molto altro.


venerdì 13 dicembre 2019

Materiali per Analisi Parametrale 7


MALATTIA ENDEMICHE  HIV/AIDS e sanità

Valentina Trogu

Fattori di rischio che servono da parametri per valutare la capacità economica di uno Stato sono legati alla sanità. Malattie ed alta mortalità, infatti, influiscono notevolmente sullo sviluppo economico di una regione come ad esempio in Africa Sub-sahariana. Qui, il tasso di infezione HIV/AIDS è il più alto del mondo ed è una minaccia economica rilevante per la regione stessa. Dati relativi al 2016 riferiscono come il paese con il più alto tasso di prevalenza su un adulto sia lo Swaziland, seguito da Lesotho, Botswana, Sud Africa, Namibia, Zimbabwe, Zambia, Mozambico, Malawi, Uganda, Guinea Equatoriale, Kenya, Tanzania, Repubblica Centrafricana, Cameroon e Gabon. Le prime sedici posizioni di una classifica mondiale sono ricoperte da paesi africani ma la lista dei paesi afflitti dall’HIV e dall’AIDS in Africa è molto più lunga.
Cifre generali indicano la presenza di 19 milioni di persone con HIV/AIDS in Africa meridionale e orientale, 6 milioni e mezzo in Africa centrale e occidentale per una stima di 800 mila decessi nel 2015 solo in Africa Sub Sahariana. L’intervento da mettere in atto precede lo sviluppo dell’infezione di HIV che se supera specifiche soglie, poi, diventa AIDS, malattia che emargina e indebolisce progressivamente l’individuo. L’emergenza, per essere combattuta, necessita di trattamenti con farmaci antiretrovirali e campagne di informazione sui rischi dell’HIV/AIDS  e sulle modalità di prevenzione del contagio; soluzioni apparentemente semplici ma che i paesi più poveri del mondo non possono permettersi. Occorre strutturare strategie per portare i servizi sanitari alle persone e tentare di distruggere definitivamente l’HIV. Il primo passo è procedere con uno screening per l’HIV ma non è semplice convincere i locali a recarsi nelle poche strutture sanitarie presenti. In Tanzania, il 5% della popolazione è sieropositivo ma solo il 70% sa di esserlo perché ha effettuato il test. La riluttanza nel fare lo screening deriva dal fatto che, mentre nei paesi cosiddetti occidentali parlare di HIV e AIDS non è più un tabù e si è arrivati alla consapevolezza che non bisogna averne paura, in Africa, soprattutto nelle zone più rurali, essere sieropositivi comporta l’esclusione sociale per ragioni antropologiche e culturali. In altri casi la scelta è determinata dalla considerazione che, volendo evitare di fare il test nel centro più vicino al luogo in cui si vive per paura della reazione della comunità difronte al rischio di essere malati, si dovrebbe intraprendere un viaggio che comporterebbe una spesa economica difficile da sostenere. Ecco perché bisogna portare i servizi ai cittadini e coinvolgerli direttamente nella prevenzione. Le organizzazioni internazionali stanno fornendo un importante aiuto collaborando, dove possibile, con le autorità e i governi. Una delle problematiche più rilevanti riguarda l’incapacità di autonomia del continente africano della gestione dell’HIV e delle malattie in generale a causa del fragile sistema sanitario.
Il tema della sanità, per quanto gli ultimi anni abbiano visto un’evoluzione nel campo, rimane, infatti, una questione scottante in Africa. Le risorse richieste per l’assorbimento di malattie come l’AIDS, l’ebola, la tubercolosi, sono ingenti e difficilmente sanabili autonomamente. Intanto il numero dei morti è elevato. Nel 2015, secondo i dati riportati dal “Global tuberculosis report”, la Nigeria è stato uno dei paesi più colpiti dalla tubercolosi, malattia che causa ogni anno in Africa circa 281 nuovi casi di tubercolosi ogni 100 mila abitanti. La malaria è un’altra malattia che conta 214 milioni di casi e 438 mila decessi in un anno. La zona del mondo più colpita da questa malattia è stata l’Africa subsahariana; si sono registrati l’88 per cento dei casi di malaria e il 90% dei decessi.
Oltre alle malattie citate, nel continente africano ne sono presenti molte altre a fronte della presenza, invece, di pochi medici. In Africa si stima che operi solo il 3%di tutto il personale sanitario mondiale pur essendo caratterizzata dal maggior numero di malattie del mondo intero. In Liberia, nella Guinea e in Sierra Leone si trova un sistema sanitario con 4,5 medici ogni 100 mila abitanti; rapportando alla media italiana di 376 medici ogni 10 mila persone la differenza è eclatante. L’accesso alle cure, poi, è limitato dalle capacità economiche dell’individuo con la conseguenza che 4 persone su 5 non possono accedere al sistema sanitario. E’ chiaro, adesso, come mai il 40% della popolazione africana muore a causa di malattie infettive quando in occidente la stima è dell’1%. Un cambiamento dei dati si potrà avere solo attraverso una forte volontà politica del governo degli stati africani. Un esempio positivo è dato dall’Etiopia, uno dei pochi paesi che ha preso seriamente in considerazione la problematica della salute ottenendo importanti risultati nella prevenzione delle malattie infettive. La maggior parte dei governi, invece, predilige altri interessi e spende i soldi non per la salute dei cittadini (diritto universale) ma per seguire altre strade. Parliamo di paesi “ricchi” come l’Angola (2 milioni di barili di petrolio al giorno), la Nigeria (1,75 milioni di barili al giorno), il Gabon (1,7 milioni di barili) e il Congo (300 mila barili).

martedì 10 dicembre 2019

Materiali per Analisi Parametrale 6

CORRUZIONE

Valetnina Trogu 


Uno dei vincoli più seri allo sviluppo delle società civili è la corruzione. In Africa il livello di corruzione su vasta scala è tra le minacce più grandi alla sicurezza e allo sviluppo del continente. I numeri che vi proporremo sono stati prodotti da Trasparency International, un’organizzazione non governativa che si pone l’obiettivo di combattere la corruzione su scala mondiale enfatizzando un cambiamento globale che dia al mondo la libertà dalla corruzione. Le prime dieci posizioni relative ai paesi con più corruzione sono coperte dalla Somalia, Sud Sudan, Siria, Corea del Nord, Yemen, Afghanistan, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau, Sudan e Burundi. La corruzione sembra, dunque, dilagare nei paesi in cui non c’è la presenza di un governo centrale stabile oppure dove vige un regime poco democratico e tende ad alimentare questa instabilità minando le fondamenta del sistema sociale. Quali sono le motivazioni alla base della corruzione? Vi è l’avidità e il desiderio di ricchezza e di potere, la possibilità di un guadagno facile, un rischio limitato di venire scoperto e una pena esigua nel momento in cui il reato dovesse essere scoperto. La corruzione rompe le regole sociali e le norme di uno Stato contrapponendosi al termine “integrità” che tiene unito il sistema di valori di un individuo. In Africa, è possibile legare la corruzione dilagante ad una teoria detta Broken Windows Theory (teoria delle finestre rotte) elaborata dai criminologi Wilson e Kelling secondo cui la criminalità (inclusa la corruzione) è l’inevitabile risultato del degrado e del disordine. L’esempio è quello di una fabbrica o un ufficio con una finestra rotta. I passanti guardandola arriveranno alla conclusione che nessuno se ne cura, che nessuno ne ha il controllo. Presto tutte le finestre saranno rotte e l’edificio sarà occupato da vandali e criminali e i passanti penseranno che non solo nessuno controlla l’edificio ma anche che nessuno controlla la strada su cui si affaccia. Solo bande di giovani sbandati e criminali sconsiderati possono avere qualcosa da fare in una strada non controllata, così sempre più cittadini abbandoneranno quella strada a coloro che vi agiranno in cerca di prede. Si evince, così, che la diffusione del disordine ambientale contribuisce al disordine sociale, l’ambiente degradato degrada il comportamento portando alla corruzione e che il degrado ambientale, poi, influenza la percezione della sicurezza. In linea generale quella che ha luogo in Africa è la teoria del potere del contesto secondo la quale il comportamento è in funzione del contesto sociale. Contesti di instabilità, criminalità e poche opportunità sono alla base della dilagante corruzione nei paesi africani. Non per altro la Somalia, definito Stato Fallito,  è in cima alla lista dei paesi corrotti con circa l’80% di tassi di corruzione. Il punteggio attribuito al Paese (si fa riferimento ad una scala che assegna un punteggio da 0 -altamente corrotto - a 100 - per niente corrotto) è di 10 punti seguito dal Sud Sudan con 13 punti. La Nigeria ha un punteggio di 27 mentre i paesi meno corrotti in Africa risultano essere le isole Seychelles con 66 punti su 100 e Botswana, Capo Verde, Rwanda e Namibia, che hanno ottenuto rispettivamente 61, 57, 56 e 53 punti. Restano situazioni critiche, invece,  in otto paesi sub-sahariani: Repubblica democratica del Congo, Angola, Ciad, Repubblica del Congo, Burundi, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau e Sudan. Altri paesi, come Burkina Faso, eSwatini e Costa d’Avorio, hanno migliorato i loro punteggi ma rimangono caratterizzati da alcune criticità.  Qual è la differenza tra questi paesi? Le Seychelles e il Botswana (quindi i paesi con il 
punteggio più alto rispetto ad altri paesi della regione) hanno saputo realizzare sistemi democratici e di governance relativamente ben funzionanti mentre l’Africa sub-sahariana è rimasta una regione in cui prevalgono  forti contrasti politici e socio-economici e dove si trovano paesi ancora dominati da leader autoritari e semi-autoritari. E, come abbiamo appurato, i regimi autocratici, insieme ai conflitti civili, alle deboli istituzioni e a sistemi politici poco interessati alla risoluzione del problema, minano qualunque sforzo intrapreso a livello regionale per contrastare la corruzione.

mercoledì 4 dicembre 2019

Materiali per Anasili Parametrale 5





L’analisi effettuata prende in considerazione tre tipi di regime politico: democrazia, “anocracy”[1] e autocrazia.Si intende per “anocracy” un regime politico che non risulti né completamente democratico né completamente autocratico, essa comporta l’instaurazione di sistemi di governo variamente “ibridi” in Paesi caratterizzati da una fase di transizione verso la democrazia. Alcuni Paesi, come  Messico, Nicaragua, Senegal, e Taiwan, sono riusciti a creare un regime democratico uscendo da una fase autocratica attraverso l’“anocracy”. Un certo numero di Paesi africani, Burkina Faso, Gibuti, Guinea, e Tanzania, ha dato l’avvio recentemente ad una cauta transizione verso una maggiore apertura dei propri regimi politici,.I tre tipi di regime già menzionati sono stati analizzati in base alle relative istituzioni politiche, in particolare:
-    le modalità di selezione della classe dirigente (per esempio: elezione, colpi di Stato, successione ereditaria);
-    le pressioni esercitate sul ruolo dell’élites (per esempio: controlli forniti dal potere legislativo e giudiziario);
-    il livello di coinvolgimento del popolo nel processo politico (per esempio: tramite i partiti politici);
-    il livello di accesso della popolazione al potere politico (per esempio: il livello di rappresentanza delle minoranze);
-    la neutralità e la professionalità dell’apparato burocratico.
Il controllo dell’esecutivo e la partecipazione della popolazione alle istituzioni hanno un consistente e positivo effetto sulla stabilità politica. Se l’esecutivo è controllato da altri livelli governativi e se la competizione politica è istituzionalizzata ed efficace, l’instabilità politica è notevolmente bassa.

In assenza di controlli sull’esecutivo e di effettiva partecipazione della popolazione alle istituzioni, anche in un contesto di notevole crescita, l’instabilità è notevole.
In democrazia questi fattori tendono ad esaltarsi reciprocamente. Attraverso le elezioni ed i partiti politici la popolazione è coinvolta nella scelta della classe dirigente, il cui potere è limitato dalla legge, dall’operato di una burocrazia autonoma e dalle iniziative degli altri organi dello Stato.
Nell’autocrazia la partecipazione è limitata ad una ristretta élite che sceglie l’esecutivo, rimuovendo le eventuali limitazioni al relativo potere,  impiegando la burocrazia in funzione strumentale, favorendo il clientelismo ed l’assegnazione mirata delle risorse.
La labilità delle istituzioni rende le “anocracies”  meno stabili e resistenti. In presenza di un sistema parzialmente democratico, con scarsi controlli sull’esecutivo e modesta  partecipazione popolare, l’instabilità politica è circa 10 volte superiore a quella associata a fattori socio-economici (mortalità infantile, mercati chiusi, ecc.) : ciò è frequente  in Africa.
In Africa (e nel resto del mondo), le “anocracies” sono spesso prossime alla crisi completa dello Stato. Le libere elezioni per un presidente o per un primo ministro non sono sufficienti a garantire una piena democrazia, infatti le elezioni possono essere di per se pericolose. Forti controlli sulla classe dirigente e /o la regolare partecipazione popolare sono necessarie per creare stabilità.
Dunque i Paesi completamente democratici sono più stabili; i sistemi autocratici, particolarmente nei Paesi con bassi livelli di reddito, sono relativamente stabili; le “anocracies” sono esposte ad un più alto rischio di instabilità.



[1] Il termine inglese “Anocracy” può essere tradotto in italiano con il termine anocracy , in maniera letterale, oppure con il termine concettuale, con la parola “intercrazia”. Nell’uno e nel’altro caso sono termini non di uso comune e corrente, come democrazia e autocrazia. Si adotta, per questo lavoro, il termine inglese “anocracy” onde evitare possibili confusioni o male interpretazione, inviando per il termine“anocracy” alla definizione di cui sopra.