L’analisi effettuata prende in
considerazione tre tipi di regime politico: democrazia, “anocracy”[1]
e autocrazia.Si intende per “anocracy” un regime politico che non risulti né completamente
democratico né completamente autocratico, essa comporta l’instaurazione di
sistemi di governo variamente “ibridi” in Paesi caratterizzati da una fase di
transizione verso la democrazia. Alcuni Paesi, come Messico, Nicaragua, Senegal, e Taiwan, sono
riusciti a creare un regime democratico uscendo da una fase autocratica
attraverso l’“anocracy”. Un certo
numero di Paesi africani, Burkina Faso, Gibuti, Guinea, e Tanzania, ha dato
l’avvio recentemente ad una cauta transizione verso una maggiore apertura dei
propri regimi politici,.I tre tipi di regime già menzionati
sono stati analizzati in base alle relative istituzioni politiche, in
particolare:
- le modalità di selezione della classe dirigente
(per esempio: elezione, colpi di Stato, successione ereditaria);
- le pressioni esercitate sul ruolo dell’élites (per
esempio: controlli forniti dal potere legislativo e giudiziario);
- il livello di coinvolgimento del popolo nel
processo politico (per esempio: tramite i partiti politici);
- il livello di accesso della popolazione al potere
politico (per esempio: il livello di rappresentanza delle minoranze);
- la neutralità e la professionalità dell’apparato
burocratico.
Il controllo dell’esecutivo e la
partecipazione della popolazione alle istituzioni hanno un consistente e
positivo effetto sulla stabilità politica. Se l’esecutivo è controllato da
altri livelli governativi e se la competizione politica è istituzionalizzata ed
efficace, l’instabilità politica è notevolmente bassa.
In assenza di controlli sull’esecutivo
e di effettiva partecipazione della popolazione alle istituzioni, anche in un
contesto di notevole crescita, l’instabilità è notevole.
In democrazia questi fattori tendono
ad esaltarsi reciprocamente. Attraverso le elezioni ed i partiti politici la
popolazione è coinvolta nella scelta della classe dirigente, il cui potere è
limitato dalla legge, dall’operato di una burocrazia autonoma e dalle
iniziative degli altri organi dello Stato.
Nell’autocrazia la partecipazione è
limitata ad una ristretta élite che sceglie l’esecutivo, rimuovendo le
eventuali limitazioni al relativo potere,
impiegando la burocrazia in funzione strumentale, favorendo il
clientelismo ed l’assegnazione mirata delle risorse.
La labilità delle istituzioni rende le
“anocracies” meno stabili e resistenti. In presenza di un
sistema parzialmente democratico, con scarsi controlli sull’esecutivo e
modesta partecipazione popolare,
l’instabilità politica è circa 10 volte superiore a quella associata a fattori
socio-economici (mortalità infantile, mercati chiusi, ecc.) : ciò è
frequente in Africa.
In Africa (e nel resto del mondo), le “anocracies” sono spesso prossime alla
crisi completa dello Stato. Le libere elezioni per un presidente o per un primo
ministro non sono sufficienti a garantire una piena democrazia, infatti le
elezioni possono essere di per se pericolose. Forti controlli sulla classe
dirigente e /o la regolare partecipazione popolare sono necessarie per creare
stabilità.
Dunque i Paesi completamente
democratici sono più stabili; i sistemi autocratici, particolarmente nei Paesi
con bassi livelli di reddito, sono relativamente stabili; le “anocracies” sono esposte ad un più alto
rischio di instabilità.
[1] Il termine inglese “Anocracy” può
essere tradotto in italiano con il termine anocracy , in maniera letterale,
oppure con il termine concettuale, con la parola “intercrazia”. Nell’uno e
nel’altro caso sono termini non di uso comune e corrente, come democrazia e
autocrazia. Si adotta, per questo lavoro, il termine inglese “anocracy” onde evitare possibili
confusioni o male interpretazione, inviando per il termine“anocracy” alla definizione di cui sopra.
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