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martedì 21 maggio 2019

Il Fenomeno del Terrorismo



Fabio Mariano



a.    Cenni sul terrorismo

Il terrorismo è un fenomeno complesso e difficile da definire. Quello contemporaneo è una forma di conflittualità non convenzionale perché da un lato esula dalla contesa civile-ordinata-democratica, dall’altro è estraneo al campo di battaglia dominato dalle norme del diritto internazionale di guerra. Esso è caratterizzato da quattro elementi essenziali, che devono essere tutti presenti: violenza criminale; movente politico; politico religioso o politico sociale; clandestinità; azioni poste di attori non statali.
Le fonti della minaccia terroristica sono differenti: tra le aggregazioni più note ricordiamo quelle di matrice politico-religiosa, prevalentemente radicale islamica, il cosiddetto “jihadismo”. La causa non è la religione, ma le degenerazioni interpretative di essa. Al Qaeda può essere definita come un fenomeno più ristretto del jihadismo. Tale fenomeno non è debellabile ma soltanto contenibile con misure ordinarie e straordinarie; ne è riprova l’onerosa e non ancora risolutiva campagna, non solo militare, di contrasto allo Stato Islamico (ISIS/Daesh), di cui si approfondirà nei paragrafi successivi.
In sintesi, dopo l’11 settembre 2001 il mondo e le organizzazioni internazionali, inclusa l’Italia, hanno reagito creando dedicate organizzazioni e strategie di contrasto al terrorismo che, tuttavia, continua a costituire un fenomeno di forte pericolosità e di difficile repressione.

b.   Il terrorismo transnazionale

Il modello della guerra tipica dell’età moderna è costituito da un nemico preciso e identificabile (Stato contro Stato), si svolge in spazi precisi (i campi di battaglia) e ha una fine (la vittoria o la sconfitta).
L’attività terroristica transnazionale, invece, presenta una non-identificabilità, nutrendosi di segretezza e imprevedibilità (non è ignoto soltanto il terrorista, ma anche il suo bersaglio) ed una de-territorializzazione, in virtù del fatto che qualunque area può essere scelta come teatro delle azioni terroristiche.
I nuovi gruppi terroristici transnazionali sono attori globali in concorrenza a Stati e istituzioni, agiscono come organizzazioni non governative della violenza[1]. Ad esempio, mentre Greenpeace trae visibilità dalle crisi ambientali e Amnesty International dalle crisi umanitarie, nei confronti degli Stati, le “ONG terroriste” si pongono in competizione diretta sul terreno del monopolio statale della violenza.

c.    Evoluzione del terrorismo jihadista

Dopo la fine della Guerra Fredda gli analisti avevano predetto un periodo di stabilità geopolitica da cui trarre dividendi di pace e lo stesso concetto sembrava potersi applicare anche alla lotta al terrorismo con l’eliminazione di Osama bin Laden. Tuttavia, così non è stato ed a seguito del fallimento della strategia di Guerra Globale al Terrore del Presidente americano Bush (ricordiamo l’insuccesso in Iraq a partire dal 2003 e la guerra infinita in Afganistan), oggi assistiamo ad una costante e più pericolosa evoluzione del fenomeno jihadista che ha invece assunto una connotazione da rete in franchising, che utilizza un marchio per rivendicare attentati. L’evoluzione del terrorismo jihadista e la minaccia qaedista[2] con i relativi scenari di riferimento hanno richiesto l’attuazione di strategie di contrasto al fenomeno, tuttavia, dimostratesi insufficienti con “l’innovazione del terrore” portata da Daesh.  
Le primavere arabe hanno comportato il crollo di regimi che in qualche modo riuscivano a garantire un contenimento dei gruppi terroristici, creando così nuovi santuari nell’area mediterranea. Ormai non si parla più di una struttura verticistica, ma di un vero e proprio terrorismo spontaneo che genera imprevedibilità e difficoltà per l’intelligence nell’ individuazione di cellule o di singoli individui che, senza più collegamenti con gruppi strutturati, entrano in azione anche in assenza di direttive a livello gerarchico. Un altro pericolo è quello della saldatura nell’area sub-sahariana con fattori di minaccia comuni a quella magrebina, lungo una fascia che attraversa il continente in senso longitudinale dal Senegal al Golfo di Guinea ed al Corno d’Africa e che trova aree di criticità in Nigeria e nelle zone di confine tra Kenya e Somalia. Si tratta di una vastissima area di instabilità, in cui si stanno creando dei santuari del terrorismo, zone fuori controllo al cui interno troviamo volontari di diversa provenienza, anche occidentale, che si sono insediati per organizzarsi e addestrarsi a condurre azioni terroristiche di ampia portata.
Le organizzazioni terroristiche hanno mostrato di fare spesso ricorso agli IED, normalmente ricordati per gli attacchi subiti dalle truppe Occidentali principalmente in Iraq ed Afganistan, condotti da gruppi di insorgenti appartenenti a reti, il cui contrasto è divenuto da anni una delle strategie di punta della NATO. Si tratta della strategia Counter-Improvised Explosive Device (C-IED) il cui pilastro principale è l’Attack the Network (AtN), ovvero la combinazione di misure di contrasto, militari e non, alle reti insorgenti che impiegano IED.
L’impiego degli ordigni improvvisati quale arma principale per condurre attacchi terroristici, peraltro, si è consolidata anche in Europa, manifestandosi prepotentemente negli attentati compiuti mediante l’utilizzo di ordigni esplosivi improvvisati, fuoco con fucili mitragliatori[3] e negli ultimi anni, soprattutto con l’impiego di auto e camion lanciati contro persone inermi (elenco degli attentati in Europa dal 2004 al 2018 in Allegato A).  


d. La minaccia ibrida

Sebbene non esista una definizione universale di “minaccia ibrida”, la NATO[4] utilizza questo termine per descrivere “avversari capaci di impiegare contemporaneamente mezzi convenzionali e non-convenzionali adattandoli alle caratteristiche dei propri obiettivi”.
 La nozione di minaccia ibrida è stata molto controversa da quando è entrata a far parte del lessico della Difesa. Parte della dottrina la definisce, semplicisticamente, come l’ultimo termine utilizzato per identificare i metodi irregolari o asimmetrici per combattere contro una forza convenzionale superiore. Invero, nel corso degli anni, sia insurgents che stati-nazione hanno impiegato combinazioni molto creative di capacità convenzionali e non per raggiungere i propri obiettivi.
 I critici restano però dell’idea che la locuzione “minaccia ibrida” sia troppo astratta, correndo il rischio di utilizzarla come termine generale per descrivere tutte le minacce non lineari e convenzionali. Tuttavia il termine “ibrido” è stato utilizzato per descrivere formazioni amiche, come per esempio ha fatto il Comando delle Special Forces USA, per descrivere strutture e organizzazioni che mettono a sistema l’impiego delle forze speciali con le forze convenzionali. I sostenitori del concetto di minaccia ibrida affermano che gli attori che utilizzano questo nuovo tipo di minaccia stiano creando un nuovo modo di fare la guerra utilizzando le tecnologie del 21° secolo, i social network, alcuni degli strumenti propri delle guerre convenzionali e non convenzionali, che però sono impiegati secondo metodologie che non ricalcano quelle comunemente utilizzate in guerra. Frank G. Hoffman[5], uno dei teorici più attivi nello sviluppo di nuovi concetti strategici capaci di contrastare la “minaccia ibrida”, è stato il primo a proporre un elenco di quelle che possono essere definite le caratteristiche proprie di questo tipo di minaccia:
a.    insieme di tattiche di combattimento - la minaccia ibrida usa un insieme di tattiche convenzionali e non convenzionali unite con attività criminali e terroristiche;
b.    simultaneità - avversari ibridi utilizzano metodologie differenti di conflitto simultaneamente ed in maniera coerente e coordinata;
c.    fusione - la minaccia ibrida vede l’impiego contemporaneo di militari professionisti, terroristi, guerriglieri, e organizzazioni criminali;
d.    criminalità - la minaccia ibrida usa attività criminali per sostenere le proprie operazioni e, talvolta, le utilizza palesemente come metodo di conflitto.
e.    Lo Stato Islamico: origini, ragioni e modus operandi
La proclamazione dello Stato Islamico (IS) nel Giugno del 2014 ha segnato una nuova fase delle crisi che dagli inizi del 2011 hanno coinvolto la gran parte del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente. Una fase in cui la componente radicale, estremista e violenta dell’Islam ha trovato un elemento di catalizzazione e riconoscimento globale.
 Sfruttando tecniche militari, strategie comunicative, tattiche di penetrazione nel tessuto sociale ed economico dei territori controllati, l’Islamic State si è progressivamente radicato, nella fase centrale della sua azione (2011-2017), non solo negli Stati che lo hanno visto nascere come movimento terroristico (Iraq e Siria) ma anche presso aree ormai sfuggite al controllo imposto dall’Occidente (Libia) o che si stanno apprestando verso un cammino di indipendenza ed autonomia reso difficile dalle continue crisi interne (Afghanistan e, con caratteristiche peculiari, Pakistan).
 In questo senso, l’Islamic State si presenta come una minaccia che, in modo globale ed estremamente efficace, l’Occidente ha difficoltà a caratterizzare in modo corretto. Tale incapacità di comprensione si riflette ad oggi in una situazione di “apparente sconfitta” di IS, dal punto di vista sostanzialmente militare che, tuttavia, rappresenta solo un parziale rimedio ad un fenomeno che ha avuto dalla sua parte:
       il fattore tempo (se si considerano gli effetti devastanti che la capillare opera di indottrinamento al radicalismo religioso ed odio etnico, avviata dall’IS in tutti i territori da esso controllati a favore di bambini e ragazzi, ha avuto e potrebbe ancora avere in altre aree/forme);
       l’appoggio, più o meno aperto, di Nazioni vicine alle aree di crisi che hanno cercato di sfruttare l’azione dell’IS per ottenere vantaggi di carattere politico e/o economico;
       la necessità che alla coalizione occidentale si affianchi, in modo deciso e chiaro, una coalizione di Stati Islamici moderati superando millenarie divisioni (nell’ambito Islamico tra sunniti e sciiti) e decennali inimicizie (USA/Israele ed Iran).  
Nell’attuale panorama internazionale, il fenomeno IS continua a destare preoccupazione per l’indiretto coinvolgimento dell’Occidente e dell’Europa in un conflitto che si è avvicinato ai suoi confini meridionali, manifestando azioni estreme in Europa: la “minaccia IS”, sostenuta dalle sue avanzate tecniche di propaganda, ha mostrato di essere un efficace elemento di catalizzazione e radicalizzazione anche per quella fascia di immigrati in Europa, sfruttando il malcontento basato sulla parzialmente integrazione da parte dei Paesi ospitanti, sebbene a volte ci siano nati.
Ulteriori approfondimenti sul fenomeno IS e sulla sua strategia di comunicazione saranno affrontati nel capitolo 4.     
f.       La radicalizzazione
Lo Stato Islamico si differenzia dal terrorismo “tradizionale” perché agisce come un’organizzazione capace di produrre alti profitti e che dispone di un esercito numeroso, composto da uomini addestrati a combattere in guerra. Un ruolo fondamentale è giocato anche dalla competenza con cui l’ISIS riesce ad utilizzare i media attraverso la manipolazione e la capacità dell’organizzazione terroristica di adattarsi ai cambiamenti geo-politici attuali e alla globalizzazione.  La strategia dello Stato Islamico è condizionata da una forte campagna mediatica al fine di favorire la formazione di nuovi nuclei jihadisti e volta al reclutamento. Per quanto riguarda le città colpite da attacchi terroristici, sono stati preferiti i luoghi simbolo nei paesi antagonisti, mediante azioni condotte dagli stessi jihadisti membri dell’organizzazione o da singoli individui (i cosiddetti “lupi solitari”). Il modus operandi con cui i jihadisti realizzano gli attentati si è ripetuto negli attacchi a Parigi del 2015 e in quelli a Bruxelles del 2016. In entrambi i casi, infatti, sono stati usati fucili mitragliatori AK-47 (Kalashnikov) e l’esplosivo TATP[6], con l’aggiunta di chiodi e bulloni.  I protagonisti di questi attentati sono per la maggior parte residenti o originari dei paesi colpiti dall’attacco, di varia estrazione sociale, attratti dalla causa per cui l’ISIS combatte e nella quale si identificano. I foreign fighters che provengono dall’estero sono addestrati alla violenza e a fare propaganda una volta tornati in patria. La maggior parte dei foreign fighters ha appreso capacità militari combattendo in Siria, come ad esempio i fratelli Said e Cherif Kouachi, responsabili della strage nella sede di Charlie Hebdo a Parigi il 7 gennaio 2015, o anche gli attentatori di Bruxelles nel marzo del 2016 Ibrahim El Bakraoui e Najim Laachraoui.  I luoghi dove avviene solitamente la radicalizzazione più comuni sono le moschee, come ad esempio la moschea di Finsbury Park a Londra, frequentata da numerosi terroristi e da uno dei piloti degli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e le carceri. Importanti sono anche i rapporti parentali e d’amicizia che legano i terroristi tra loro e li portano ad organizzare attacchi multipli e coordinati: ad esempio, Salam Abdeslam e suo fratello Brahim, autori degli attentati di Parigi del 2015, erano amici di infanzia dell’ideatore dell’attacco, Abdelhamid Abaaoud.  Il Prof. Alessandro Orsini[7] parla di un vero e proprio modello denominato DRIA, il quale riassume le tappe che portano un individuo a radicalizzarsi o a entrare in una setta o in un gruppo specifico. L’acronimo DRIA sta per le prime lettere delle parole “disintegrazione sociale”, “ricostruzione dell’identità sociale”, “integrazione in una setta rivoluzionaria” e infine “alienazione dal mondo circostante”.  Secondo questo modello, se un individuo cade nella marginalità sociale e quindi si trova a non riconoscersi più nei valori della società in cui vive, si trova in una fase di disorientamento e spesso finisce per abbracciare e seguire un’ideologia radicale nella speranza che restituisca un significato alla propria esistenza, attraverso una ridefinizione di sé stesso. L’individuo finisce per cercare altre persone con le sue stesse idee, entrando in una sorta di setta “rivoluzionaria”, come appunto può essere considerata la comunità jihadista.  L’ingresso in tale comunità porta l’autoesclusione di chi è entrato a farne parte dal mondo esterno e a prendere le distanze dalla società in cui vive, soprattutto dagli usi e i costumi occidentali.  Si conclude così il processo che spesso porta a diventare jihadisti, attraverso l’alienazione dal mondo circostante. Appare allora molto difficile elaborare un piano generale di contrasto alla radicalizzazione, dal momento che le strategie di prevenzione e repressione dovrebbero essere modellate in base alle caratteristiche dei singoli terroristi. Già nei primi anni Sessanta lo psicologo Everett Hagen[8] (1962) aveva cercato di analizzare quei meccanismi psichici che in situazioni di frustrazione collettiva, come per esempio nel caso di minoranze sfavorite o individui marginalizzati dalla società, possono portare al desiderio di rivolta e di rinnovamento di se stessi.
 

Ciclo della radicalizzazione - fonte: Global Coalition anti-Daesh Strategic Communications Cell di Londra

Un bisogno psichico altrettanto forte è quello individuato da McClelland[9], ossia quello del bisogno di affiliazione. Esso è caratterizzato dalla volontà e il desiderio “di stabilire, mantenere e ricostruire relazioni affettive positive con altre persone”.  Il bisogno di essere amati e accettati spinge gli individui ad entrare in una certa comunità e organizzazione, che promette fratellanza, unione e amore ai propri membri, promessa che l’ISIS non manca di ripetere mediante la propaganda. Il contesto familiare, economico e sociale e il proprio passato personale condizionano quindi fortemente i bisogni e i desideri soprattutto dei giovani adolescenti, ed è proprio un bisogno di accettazione e di sentirsi parte di una comunità che li spinge ad arruolarsi nelle file dello Stato Islamico o a convertirsi e a sostenerlo, anche senza necessariamente spostarsi in Siria.  Recentemente si è sviluppato un dibattito sulle strategie di contenimento del fenomeno dei foreign fighters. La soluzione più condivisa è stata quella di impossibilitare i combattenti dello Stato Islamico nel raggiungere i luoghi di guerra, dove apprendono le capacità militari da usare negli attentati. A chi torna in Europa, invece, viene offerto un programma di riabilitazione e de-radicalizzazione per favorirne il reintegro nella società, ma non sempre questi programmi risultano essere efficaci e sono principalmente caratterizzati da costi elevati. 


[1] Per certi aspetti assimilabili alle ONG – Organizzazioni Non Governative.
[2] La strategia qaedista, secondo l’ideologo Abu Musab Al Suri, non risponde direttamente ad al-Qaeda per l’esecuzione di attentati ma è piuttosto un appello ai musulmani nel mondo per portare avanti la jihad per una sorta di resistenza islamica contro l’Occidente e gli stati musulmani apostati (quelli che hanno governi filo-occidentali o che svolgono una politica contro il terrorismo).
[3] AK47 “kalashnikov”.
[4] www.nato.int, NATO Review Magazine, Hybrid war - Hybrid response?.

[5] Autore di numerosi testi sull’argomento, tra cui “Future thoughts on Hybrid Wars”, Small Wars Journal , e “Hybrid warfare and challanges”, Joint Force Qurterly, 2009.

[6] Si tratta di uno dei cosiddetti “Home Made Explosive – HME”, il perossido di acetone: è un perossido organico e un potente esplosivo primario. Il TATP puro è una polvere cristallina di colore bianco praticamente inodore. È altamente sensibile al calore, all'attrito e agli urti.
[7] (1975), professore di Sociologia del terrorismo, è direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS di Roma e del quotidiano online “Sicurezza Internazionale”. È stato membro della commissione per lo studio della radicalizzazione jihadista istituita dal governo italiano e dal 2011 è Research Affiliate al MIT di Boston.
[8] Everett Hagen (1906-1992), economista statunitense specializzato in antropologia, sociologia e scienze politiche.
[9] David McClelland (1917-1988), psicologo statunitense noto in particolare per i suoi studi di motivazione chiamati globalmente Teoria dei bisogni.

giovedì 16 maggio 2019

Principal Attacchi Terroristici in Europa dal 2004 al 2018


PRINCIPALI ATTACCHI TERRORISTICI IN EUROPA DAL 2004 AL 2018[1]

Fabio Mariano

Bruxelles – Dalle bombe a Madrid nel 2004 all’ultimo attentato terroristico al mercatino di Natale a Strasburgo, la lista degli attacchi avvenuti in Europa negli ultimi anni 14 anni è lunga. Ecco una fotografia cronologica dei fatti principali.
11 marzo 2004, Madrid (Spagna): una serie di bombe posizionate sui binari e sui treni regionali della capitale spagnola nelle stazioni metro di Atocha, El Pozo e Santa Eugenia uccidono 192 persone. L’attacco è rivendicato da Al Qaeda.
7 luglio 2005, Londra (Regno Unito): sono 52 i pendolari uccisi in 4 attentati suicidi che colpiscono tre diverse stazioni della metropolitana della capitale britannica sulle linee Circle e Piccadilly e un autobus che, partito da Marble Arch, si trovava a Tavistock Square. 700 i feriti. Gli attacchi sono rivendicati da un gruppo legato ad Al Qaida.
11-19 marzo 2012, Tolosa e Montauban (Francia): 7 morti, tra cui 3 militari e 3 bambini, e 6 feriti. Il terrorista franco-algerino Mohamed Merah uccide a tre riprese: prima un militare, poi altri due, e infine attacca una scuola ebraica. Viene ucciso dalle teste di cuoio francesi del Raid, asserragliato nel suo appartamento. Gli attacchi vengono rivendicati da un gruppo affiliato ad Al Qaeda.
22 maggio 2013, Londra (Regno Unito): due estremisti di Al Qaeda uccidono a colpi di machete un soldato di 24 anni reduce dell’Afghanistan nella capitale inglese.
24 maggio 2014, Bruxelles (Belgio): alla vigilia delle elezioni europee e legislative belghe, 4 persone sono uccise al Museo ebraico di Bruxelles per mano di un uomo armato di kalashnikov. L’accusato è Mehdi Nemmouche, un 32enne francese di origini algerine legato all’Isis.
7 gennaio 2015, Parigi (Francia): due uomini armati, i fratelli Kouachi, francesi di orgine algerina, attaccano la redazione del settimanale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi, uccidendo 12 persone e ferendone altrettante. Una poliziotta è uccisa appena fuori Parigi il giorno dopo da un altro uomo legato ai Kouachi, il francese di origine maliana Amédy Coulibaly,  che successivamente prende alcuni ostaggi all’interno di un supermercato kosher, 4 dei quali moriranno prima del blitz delle forze di sicurezza. Il bilancio finale delle vittime è di 17 morti e 22 feriti.
14 febbraio 2015, Copenhagen (Danimarca): 2 vittime e 5 feriti, nel corso di tre diverse sparatorie. In un centro culturale dove si teneva un dibattito su Islam e libertà di espressione, viene prima ucciso il regista Finn Norgaard, poi l’attentatore, un 22enne palestinese-giordano nato in Danimarca e simpatizzante dell’Isis,  si dà alla fuga per uccidere, nei pressi della Sinagoga grande nel centro della capitale danese, un giovane della comunità ebraica che festeggia una bar mitzvah. La polizia danese lo uccide in uno scontro a fuoco all’alba nei pressi della stazione Norrebro.
13 novembre 2015, Parigi (Francia): 130 morti (tra cui l’italiana Valeria Solesin) in attentati multipli in contemporanea, presso la sala concerti Bataclan, in diversi bar e ristoranti nel X e XI ‘arrondissement’ parigini e allo Stade de France. La serie di attacchi terroristici sono sferrati da una cellula belgo-francese dell’Isis. All’alba del 18 novembre, le forze speciali assaltano a Saint-Denis un appartamento occupato da alcuni dei terroristi coinvolti nell’organizzazione degli attentati e in procinto di organizzare un nuovo attacco alla Défense. Cinque persone vengono arrestate, altri due restano uccise tra cui Abdelhamid Abaaoud, il presunto organizzatore. Il 18 marzo 2017, nel corso di un’operazione della polizia belga a Bruxelles, viene arrestato l’unico sopravvissuto della cellula di Parigi, Salah Abdeslam, francese di origine tunisina ma cresciuto a Molenbeek, uno dei presunti coordinatori operativi degli attacchi di Parigi e di Bruxelles.
22 marzo 2016, Bruxelles (Belgio): 32 morti (tra cui la belgo-italiana Patricia Rizzo) e 340 feriti a seguito dell’esplosione di due bombe all’aeroporto di Zaventem e una alla stazione della metropolitana di Maelbeek, nel cuore del quartiere europeo. Gli attentati sono rivendicati dall’Isis. A compiere la strage, una cellula legata a quella di Parigi, composta dai fratelli belgi di origine marocchina Ibrahim e Khalid El Bakhraoui,  e da Najim Laachraoui, ‘l’artificiere’ già intervenuto per gli attacchi di Parigi, anche lui giovane belga di origini marocchine. L’8 aprile viene arrestata la ‘mente’ del gruppo, il cosiddetto ‘uomo col cappello’, Mohamed Abrini, ugualmente belga di origini marocchine e secondo uomo più ricercato, dopo Salah Abdeslam, per gli attentati di Parigi.
14 luglio 2016, Nizza (Francia): durante i festeggiamenti per la festa nazionale francese un camion si getta sulla folla lungo la Promenade des Anglais e provoca la morte di 86 persone (tra cui 6 italiani) ferendone altre 434. L’autista, il tunisino residente in Francia Mohamed Lahouaiej Bouhalel, viene bloccato e ucciso dalla polizia. Il 16 luglio l’Isis rivendica l’attentato.
26 luglio 2016, Rouen (Francia):  presso la chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, due uomini fanno irruzione durante la messa del mattino e prendono 5 ostaggi (tra cui 2 suore). Il sacerdote Jacques Hamel, 84 anni, muore sgozzato. Gli aggressori, entrambi cittadini francesi, vengono poi uccisi dalla polizia. L’Isis ha rivendicato l’attacco.
19 dicembre 2016, Berlino (Germania): un tir va a schiantarsi volontariamente contro la folla in un mercatino di Natale nel quartiere di Charlottenburg, vicino alla Chiesa del Ricordo, causando 12 morti (tra cui l’italiana Fabrizia Di Lorenzo) e 56 feriti. Nella serata di martedì 20 dicembre arriva la rivendicazione dell’Isis.
22 marzo 2017, Londra (Regno Unito): 4 morti e circa 40 feriti davanti al Parlamento di Westminster, nel cuore politico del Regno Unito. L’attentatore Khalid Masood, 52 anni nato in Inghilterra e abitante a Birmingham, falcia con un Suv diverse persone sul ponte di Westminster che attraversa il Tamigi davanti al Big Ben. Poi si dirige a piedi verso il Parlamento, dove aggredisce a morte con un coltello un poliziotto di guardia, prima di essere ucciso a colpi di pistola da due agenti in borghese.
7 aprile 2017, Stoccolma (Svezia): 5 morti e 15 feriti in pieno centro città, nella zona commerciale di Drottninggatan, dove un camion si è gettato sulla folla in una strada pedonale per schiantarsi contro la vetrina di una catena di supermercati. Alla guida del camion, rubato, un richiedente asilo uzbeko simpatizzante dell’Isis, il 39enne Rakhmat Akilov, la cui domanda era stata respinta ed era ricercato per essere espulso.
20 aprile 2017, Parigi (Francia): in tarda serata, sugli Champs-Élysées vicino all’Arco di Trionfo, un uomo armato di kalashnikov apre il fuoco contro degli agenti di polizia colpendo mortalmente uno di loro e ferendone altri 2. La sparatoria cade a pochi giorni dal primo turno delle elezioni presidenziali, mentre è in onda l’ultimo confronto fra i candidati in vista del voto della domenica successiva. L’autore dell’attacco terroristico, Karim Cheurfi, 39 anni, tenta di darsi alla fuga a piedi ma viene ucciso dalle forze dell’ordine. L’Isis rivendica l’attacco poche ore dopo. Il poliziotto ucciso è la 239esima vittima di attentati terroristici in Francia dal 2015.
22 maggio 2017, Manchester (Gran Bretagna): almeno 22 morti e 120 feriti, tra cui molti bambini e giovanissimi. Una bomba esplode al termine del concerto della pop star amata dai teenager Ariana Grande all’interno della sala concerti Manchester Arena. L’Isis rivendica l’attentato.
3 giugno 2017, Londra (Gran Bretagna): intorno alle 22 locali, tre uomini a bordo di un furgoncino prima investono i pedoni sul marciapiede del London Bridge, uno dei ponti più celebri della capitale britannica, in pieno centro, per poi schiantarsi contro il pub Barrowboy and Banker. I tre uomini, armati di coltelli, proseguono quindi a piedi verso Borough Market, a ridosso del London Bridge sulla riva meridionale del Tamigi, area affollata di bar e locali frequentata anche da molti turisti, accoltellando i passanti. I tre, che indossano cinture esplosive false, vengono poi uccisi dalla polizia. In totale si contano 8 morti, mentre i feriti sono 48. L’Isis ha rivendicato l’attentato tramite la sua agenzia di stampa, Amaq. Gli attentatori sono stati identificati: Khuram Butt, 27 anni, cittadino britannico di origine pachistana, residente nel quartiere londinese periferico di Barking, poi Rachid Redouane, marocchino-libico anch’egli residente a Barking, e il 22enne italo-marocchino Youssef Zaghba, già sotto osservazione dell’intelligence.
19 giugno 2017, Londra (Gran Bretagna):  poco dopo la mezzanotte un furgone piomba su un gruppo di fedeli musulmani a Finsbury Park a nord di Londra, vicino a una moschea dalla quale escono le persone radunate per le preghiere del Ramadan. Una vittima e almeno 10 feriti, tutti di fede islamica. Nella zona, Seven Sisters Road, ci sono almeno quattro moschee. L’attentatore, Darren Osborne, viene arrestato. Originario del Galles, dove viveva con la moglie e quattro figli in un sobborgo di Cardiff, era animato da odio per i musulmani.
19 giugno 2017, Parigi (Francia): Adam Loft Djaziri, trentenne francese conosciuto dai servizi segreti per sospetta radicalizzazione, si schianta con la macchina contro un furgone della polizia posteggiato sugli Champs Elysées di Parigi. Gli agenti hanno estratto l’assalitore privo di sensi dall’abitacolo prima che questo prendesse fuoco. Il terrorista è morto pochi minuti dopo.
17-18 agosto 2017, Barcellona e Cambrils (Spagna): nel pomeriggio un camioncino investe la folla sulle Ramblas, nel cuore della capitale catalana, mentre la sera verso mezzanotte un’Audi A3 si schianta contro i pedoni sul lungomare di Cambrils, prima che la polizia intervenga e uccida i terroristi in una sparatoria. In totale, si contanto 15 morti e un centinaio di feriti.  Tra le vittime anche 3 italiani, i giovani Luca Russo e Bruno Gulotta, e l’80enne Carmen Lopardo residente in Argentina. La cellula della strage, che preparava un attacco più grande contro la Sagrada Familia con 120 bombole di gas, è stata smantellata: uccisi dalla polizia l’autore della strage sulle Ramblas, Younes Abouyaaqoub, e i terroristi di Cambrils. Morti in un’esplosione accidentale mentre preparavano bombe la mente del gruppo, l’imam di Ripoll Abdelbaki Es Satty, e altre due persone, mentre sono finite dietro le sbarre ulteriori 4 membri del gruppo terroristico.
18 agosto 2017, Turku (Finlandia): un uomo armato di coltello, marocchino di 18 anni, colpisce alla cieca i passanti nella zona centrale del mercato, facendo 2 morti e 8 feriti tra cui un’italiana. La polizia riesce a fermarlo sparandogli alle gambe, e nella notte arresta altre 5 persone.
23 marzo 2018, Trèbes (Francia): l’assalitore, Redouane Lakdim, marocchino di 25 anni, ha preso in ostaggio numerose persone all’interno di un supermercato della cittadina dell’Occitania ed è stato ucciso dopo circa quattro ore dalle teste di cuoio. Alla fine, il bilancio dell’attentato è di tre morti e 16 feriti due dei quali gravi.
12 maggio 2018, Parigi (Francia): un uomo di 21 anni, Khamzat Azimov, ha accoltellato cinque passanti nel quartiere Opéra di Parigi, gridando «Allah Akhbar». Morto un ragazzo di 29 anni, ferite le altre quattro persone. Il terrorista è stato ucciso dalla polizia. Nato in Cecenia e poi naturalizzato francese, l’uomo era incensurato anche se schedato come a rischio radicalizzazione islamica (“S”) in quanto era in contatto con il marito di una donna partita per la Siri. I suoi genitori sono stati arrestati e interrogati per capire se abbiano avuto un ruolo nell’attentato; arrestato anche un amico a Strasburgo.
29 maggio 2018, Liegi (Belgio): il belga Benjamin Herman, 31 anni di Rochefort, ha ucciso due poliziotte e uno studente a Liegi al grido di ‘Allahu Akbar’, risparmiando un’altra donna che aveva preso in ostaggio perché di fede musulmana. L’attentatore è poi stato a sua volta ucciso dalla polizia. La sera prima il killer, uscito dal carcere di Marche-en-Famenne per un permesso di reinserimento, avrebbe ucciso anche un amico ex detenuto a colpi di martello. A distanza di ventiquattr’ore, l’Isis ha rivendicato la strage attraverso l’agenzia Amaq.
30 maggio 2018, Schiedam (Olanda), Flensburg (Germania): la psicosi dei lupi solitari, all’indomani del terrore in Belgio, si è diffusa anche in Olanda e in Germania. A Schiedam, vicino Rotterdam, la polizia ha ucciso un uomo che, con un’ascia in mano, urlava ‘Allahu Akbar’ dal balcone di casa, mentre a Flensburg un uomo ha ferito gravemente due persone con un coltello sul treno Intercity ed è stato poi ucciso dalla polizia tedesca.
14 agosto 2018, Londra (Regno Unito): un 29enne britannico di origine sudanese, Salih Khater, a bordo di una Ford Fiesta ha investito alcuni pedoni e ciclisti alla guida di un’auto prima di schiantarsi contro le barriere di protezione del palazzo del parlamento di Westminster. Il bilancio è di 3 feriti lievi. Scotland Yard ha formalizzato il sospetto di terrorismo nei confronti di Khater, che non collabora. Il presunto attentatore è residente a Birmingham, una della città più islamiche della Gran Bretagna, dove successivamente sono state perquisite due case, con un terzo blitz condotto nella vicina Nottingham. Era noto alla polizia locale delle Midlands, ma non agli 007 dell’MI5. Stando a Neil Basu, vicecomandante di Scotland Yard, la sua è stata “un’azione deliberata”, anzi premeditata: da cui l’accusa di terrorismo.
12 dicembre 2018, Strasburgo (Francia): 5 morti e 11 feriti, sei sono gravi: è il bilancio provvisiorio dell’attentato al mercatino di Natale di Strasburgo, messo a segno dal 29enne radicalizzato Cherif Chekatt, sfuggito alla cattura. Tra le vittime, anche il giovane giornalista italiano Antonio Megalizzi, di Europhonica.






[1] Fonte EDN HUB (https://www.ednh.news/it/cronologia-degli-attacchi-terroristici-in-europa-dal-2004-al-2017/).

venerdì 3 maggio 2019

Terrorismo Bibliografia

Testi e articoli

Fabio Mariano

Fabio Mariano


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-       Cavalcoli D., “Youtube lancia l’algoritmo anti-Isis”, in Corriere della Sera, 2017;
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-       Dacrema Eugenio, “La nuova guerra fredda mediorientale”, in ISPI online, gennaio 2019;
-       Europol, “EU Terrorism Situation and Trend Report TE-SAT”, 2018;
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-       Giannetti Cristina, “migrazioni il cambiamento climatico presenta il conto”, in Gnosis, 2018;
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-       Kingsley Patrick, “The New Odyssey: The Story of Europe's Refugee Crisis”, 2016;
-       Luppi Michele, “Il Lago Ciad rischia di scomparire: a rischio milioni di persone”, in Agenzia S.I.R., 2018;
-       Maggioni M., Magri P., “ Il marketing del terrore. Twitter e jahad: la comunicazione dell'Isis”, 2016;
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