Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

Cerca nel blog

martedì 21 maggio 2019

Il Fenomeno del Terrorismo



Fabio Mariano



a.    Cenni sul terrorismo

Il terrorismo è un fenomeno complesso e difficile da definire. Quello contemporaneo è una forma di conflittualità non convenzionale perché da un lato esula dalla contesa civile-ordinata-democratica, dall’altro è estraneo al campo di battaglia dominato dalle norme del diritto internazionale di guerra. Esso è caratterizzato da quattro elementi essenziali, che devono essere tutti presenti: violenza criminale; movente politico; politico religioso o politico sociale; clandestinità; azioni poste di attori non statali.
Le fonti della minaccia terroristica sono differenti: tra le aggregazioni più note ricordiamo quelle di matrice politico-religiosa, prevalentemente radicale islamica, il cosiddetto “jihadismo”. La causa non è la religione, ma le degenerazioni interpretative di essa. Al Qaeda può essere definita come un fenomeno più ristretto del jihadismo. Tale fenomeno non è debellabile ma soltanto contenibile con misure ordinarie e straordinarie; ne è riprova l’onerosa e non ancora risolutiva campagna, non solo militare, di contrasto allo Stato Islamico (ISIS/Daesh), di cui si approfondirà nei paragrafi successivi.
In sintesi, dopo l’11 settembre 2001 il mondo e le organizzazioni internazionali, inclusa l’Italia, hanno reagito creando dedicate organizzazioni e strategie di contrasto al terrorismo che, tuttavia, continua a costituire un fenomeno di forte pericolosità e di difficile repressione.

b.   Il terrorismo transnazionale

Il modello della guerra tipica dell’età moderna è costituito da un nemico preciso e identificabile (Stato contro Stato), si svolge in spazi precisi (i campi di battaglia) e ha una fine (la vittoria o la sconfitta).
L’attività terroristica transnazionale, invece, presenta una non-identificabilità, nutrendosi di segretezza e imprevedibilità (non è ignoto soltanto il terrorista, ma anche il suo bersaglio) ed una de-territorializzazione, in virtù del fatto che qualunque area può essere scelta come teatro delle azioni terroristiche.
I nuovi gruppi terroristici transnazionali sono attori globali in concorrenza a Stati e istituzioni, agiscono come organizzazioni non governative della violenza[1]. Ad esempio, mentre Greenpeace trae visibilità dalle crisi ambientali e Amnesty International dalle crisi umanitarie, nei confronti degli Stati, le “ONG terroriste” si pongono in competizione diretta sul terreno del monopolio statale della violenza.

c.    Evoluzione del terrorismo jihadista

Dopo la fine della Guerra Fredda gli analisti avevano predetto un periodo di stabilità geopolitica da cui trarre dividendi di pace e lo stesso concetto sembrava potersi applicare anche alla lotta al terrorismo con l’eliminazione di Osama bin Laden. Tuttavia, così non è stato ed a seguito del fallimento della strategia di Guerra Globale al Terrore del Presidente americano Bush (ricordiamo l’insuccesso in Iraq a partire dal 2003 e la guerra infinita in Afganistan), oggi assistiamo ad una costante e più pericolosa evoluzione del fenomeno jihadista che ha invece assunto una connotazione da rete in franchising, che utilizza un marchio per rivendicare attentati. L’evoluzione del terrorismo jihadista e la minaccia qaedista[2] con i relativi scenari di riferimento hanno richiesto l’attuazione di strategie di contrasto al fenomeno, tuttavia, dimostratesi insufficienti con “l’innovazione del terrore” portata da Daesh.  
Le primavere arabe hanno comportato il crollo di regimi che in qualche modo riuscivano a garantire un contenimento dei gruppi terroristici, creando così nuovi santuari nell’area mediterranea. Ormai non si parla più di una struttura verticistica, ma di un vero e proprio terrorismo spontaneo che genera imprevedibilità e difficoltà per l’intelligence nell’ individuazione di cellule o di singoli individui che, senza più collegamenti con gruppi strutturati, entrano in azione anche in assenza di direttive a livello gerarchico. Un altro pericolo è quello della saldatura nell’area sub-sahariana con fattori di minaccia comuni a quella magrebina, lungo una fascia che attraversa il continente in senso longitudinale dal Senegal al Golfo di Guinea ed al Corno d’Africa e che trova aree di criticità in Nigeria e nelle zone di confine tra Kenya e Somalia. Si tratta di una vastissima area di instabilità, in cui si stanno creando dei santuari del terrorismo, zone fuori controllo al cui interno troviamo volontari di diversa provenienza, anche occidentale, che si sono insediati per organizzarsi e addestrarsi a condurre azioni terroristiche di ampia portata.
Le organizzazioni terroristiche hanno mostrato di fare spesso ricorso agli IED, normalmente ricordati per gli attacchi subiti dalle truppe Occidentali principalmente in Iraq ed Afganistan, condotti da gruppi di insorgenti appartenenti a reti, il cui contrasto è divenuto da anni una delle strategie di punta della NATO. Si tratta della strategia Counter-Improvised Explosive Device (C-IED) il cui pilastro principale è l’Attack the Network (AtN), ovvero la combinazione di misure di contrasto, militari e non, alle reti insorgenti che impiegano IED.
L’impiego degli ordigni improvvisati quale arma principale per condurre attacchi terroristici, peraltro, si è consolidata anche in Europa, manifestandosi prepotentemente negli attentati compiuti mediante l’utilizzo di ordigni esplosivi improvvisati, fuoco con fucili mitragliatori[3] e negli ultimi anni, soprattutto con l’impiego di auto e camion lanciati contro persone inermi (elenco degli attentati in Europa dal 2004 al 2018 in Allegato A).  


d. La minaccia ibrida

Sebbene non esista una definizione universale di “minaccia ibrida”, la NATO[4] utilizza questo termine per descrivere “avversari capaci di impiegare contemporaneamente mezzi convenzionali e non-convenzionali adattandoli alle caratteristiche dei propri obiettivi”.
 La nozione di minaccia ibrida è stata molto controversa da quando è entrata a far parte del lessico della Difesa. Parte della dottrina la definisce, semplicisticamente, come l’ultimo termine utilizzato per identificare i metodi irregolari o asimmetrici per combattere contro una forza convenzionale superiore. Invero, nel corso degli anni, sia insurgents che stati-nazione hanno impiegato combinazioni molto creative di capacità convenzionali e non per raggiungere i propri obiettivi.
 I critici restano però dell’idea che la locuzione “minaccia ibrida” sia troppo astratta, correndo il rischio di utilizzarla come termine generale per descrivere tutte le minacce non lineari e convenzionali. Tuttavia il termine “ibrido” è stato utilizzato per descrivere formazioni amiche, come per esempio ha fatto il Comando delle Special Forces USA, per descrivere strutture e organizzazioni che mettono a sistema l’impiego delle forze speciali con le forze convenzionali. I sostenitori del concetto di minaccia ibrida affermano che gli attori che utilizzano questo nuovo tipo di minaccia stiano creando un nuovo modo di fare la guerra utilizzando le tecnologie del 21° secolo, i social network, alcuni degli strumenti propri delle guerre convenzionali e non convenzionali, che però sono impiegati secondo metodologie che non ricalcano quelle comunemente utilizzate in guerra. Frank G. Hoffman[5], uno dei teorici più attivi nello sviluppo di nuovi concetti strategici capaci di contrastare la “minaccia ibrida”, è stato il primo a proporre un elenco di quelle che possono essere definite le caratteristiche proprie di questo tipo di minaccia:
a.    insieme di tattiche di combattimento - la minaccia ibrida usa un insieme di tattiche convenzionali e non convenzionali unite con attività criminali e terroristiche;
b.    simultaneità - avversari ibridi utilizzano metodologie differenti di conflitto simultaneamente ed in maniera coerente e coordinata;
c.    fusione - la minaccia ibrida vede l’impiego contemporaneo di militari professionisti, terroristi, guerriglieri, e organizzazioni criminali;
d.    criminalità - la minaccia ibrida usa attività criminali per sostenere le proprie operazioni e, talvolta, le utilizza palesemente come metodo di conflitto.
e.    Lo Stato Islamico: origini, ragioni e modus operandi
La proclamazione dello Stato Islamico (IS) nel Giugno del 2014 ha segnato una nuova fase delle crisi che dagli inizi del 2011 hanno coinvolto la gran parte del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente. Una fase in cui la componente radicale, estremista e violenta dell’Islam ha trovato un elemento di catalizzazione e riconoscimento globale.
 Sfruttando tecniche militari, strategie comunicative, tattiche di penetrazione nel tessuto sociale ed economico dei territori controllati, l’Islamic State si è progressivamente radicato, nella fase centrale della sua azione (2011-2017), non solo negli Stati che lo hanno visto nascere come movimento terroristico (Iraq e Siria) ma anche presso aree ormai sfuggite al controllo imposto dall’Occidente (Libia) o che si stanno apprestando verso un cammino di indipendenza ed autonomia reso difficile dalle continue crisi interne (Afghanistan e, con caratteristiche peculiari, Pakistan).
 In questo senso, l’Islamic State si presenta come una minaccia che, in modo globale ed estremamente efficace, l’Occidente ha difficoltà a caratterizzare in modo corretto. Tale incapacità di comprensione si riflette ad oggi in una situazione di “apparente sconfitta” di IS, dal punto di vista sostanzialmente militare che, tuttavia, rappresenta solo un parziale rimedio ad un fenomeno che ha avuto dalla sua parte:
       il fattore tempo (se si considerano gli effetti devastanti che la capillare opera di indottrinamento al radicalismo religioso ed odio etnico, avviata dall’IS in tutti i territori da esso controllati a favore di bambini e ragazzi, ha avuto e potrebbe ancora avere in altre aree/forme);
       l’appoggio, più o meno aperto, di Nazioni vicine alle aree di crisi che hanno cercato di sfruttare l’azione dell’IS per ottenere vantaggi di carattere politico e/o economico;
       la necessità che alla coalizione occidentale si affianchi, in modo deciso e chiaro, una coalizione di Stati Islamici moderati superando millenarie divisioni (nell’ambito Islamico tra sunniti e sciiti) e decennali inimicizie (USA/Israele ed Iran).  
Nell’attuale panorama internazionale, il fenomeno IS continua a destare preoccupazione per l’indiretto coinvolgimento dell’Occidente e dell’Europa in un conflitto che si è avvicinato ai suoi confini meridionali, manifestando azioni estreme in Europa: la “minaccia IS”, sostenuta dalle sue avanzate tecniche di propaganda, ha mostrato di essere un efficace elemento di catalizzazione e radicalizzazione anche per quella fascia di immigrati in Europa, sfruttando il malcontento basato sulla parzialmente integrazione da parte dei Paesi ospitanti, sebbene a volte ci siano nati.
Ulteriori approfondimenti sul fenomeno IS e sulla sua strategia di comunicazione saranno affrontati nel capitolo 4.     
f.       La radicalizzazione
Lo Stato Islamico si differenzia dal terrorismo “tradizionale” perché agisce come un’organizzazione capace di produrre alti profitti e che dispone di un esercito numeroso, composto da uomini addestrati a combattere in guerra. Un ruolo fondamentale è giocato anche dalla competenza con cui l’ISIS riesce ad utilizzare i media attraverso la manipolazione e la capacità dell’organizzazione terroristica di adattarsi ai cambiamenti geo-politici attuali e alla globalizzazione.  La strategia dello Stato Islamico è condizionata da una forte campagna mediatica al fine di favorire la formazione di nuovi nuclei jihadisti e volta al reclutamento. Per quanto riguarda le città colpite da attacchi terroristici, sono stati preferiti i luoghi simbolo nei paesi antagonisti, mediante azioni condotte dagli stessi jihadisti membri dell’organizzazione o da singoli individui (i cosiddetti “lupi solitari”). Il modus operandi con cui i jihadisti realizzano gli attentati si è ripetuto negli attacchi a Parigi del 2015 e in quelli a Bruxelles del 2016. In entrambi i casi, infatti, sono stati usati fucili mitragliatori AK-47 (Kalashnikov) e l’esplosivo TATP[6], con l’aggiunta di chiodi e bulloni.  I protagonisti di questi attentati sono per la maggior parte residenti o originari dei paesi colpiti dall’attacco, di varia estrazione sociale, attratti dalla causa per cui l’ISIS combatte e nella quale si identificano. I foreign fighters che provengono dall’estero sono addestrati alla violenza e a fare propaganda una volta tornati in patria. La maggior parte dei foreign fighters ha appreso capacità militari combattendo in Siria, come ad esempio i fratelli Said e Cherif Kouachi, responsabili della strage nella sede di Charlie Hebdo a Parigi il 7 gennaio 2015, o anche gli attentatori di Bruxelles nel marzo del 2016 Ibrahim El Bakraoui e Najim Laachraoui.  I luoghi dove avviene solitamente la radicalizzazione più comuni sono le moschee, come ad esempio la moschea di Finsbury Park a Londra, frequentata da numerosi terroristi e da uno dei piloti degli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e le carceri. Importanti sono anche i rapporti parentali e d’amicizia che legano i terroristi tra loro e li portano ad organizzare attacchi multipli e coordinati: ad esempio, Salam Abdeslam e suo fratello Brahim, autori degli attentati di Parigi del 2015, erano amici di infanzia dell’ideatore dell’attacco, Abdelhamid Abaaoud.  Il Prof. Alessandro Orsini[7] parla di un vero e proprio modello denominato DRIA, il quale riassume le tappe che portano un individuo a radicalizzarsi o a entrare in una setta o in un gruppo specifico. L’acronimo DRIA sta per le prime lettere delle parole “disintegrazione sociale”, “ricostruzione dell’identità sociale”, “integrazione in una setta rivoluzionaria” e infine “alienazione dal mondo circostante”.  Secondo questo modello, se un individuo cade nella marginalità sociale e quindi si trova a non riconoscersi più nei valori della società in cui vive, si trova in una fase di disorientamento e spesso finisce per abbracciare e seguire un’ideologia radicale nella speranza che restituisca un significato alla propria esistenza, attraverso una ridefinizione di sé stesso. L’individuo finisce per cercare altre persone con le sue stesse idee, entrando in una sorta di setta “rivoluzionaria”, come appunto può essere considerata la comunità jihadista.  L’ingresso in tale comunità porta l’autoesclusione di chi è entrato a farne parte dal mondo esterno e a prendere le distanze dalla società in cui vive, soprattutto dagli usi e i costumi occidentali.  Si conclude così il processo che spesso porta a diventare jihadisti, attraverso l’alienazione dal mondo circostante. Appare allora molto difficile elaborare un piano generale di contrasto alla radicalizzazione, dal momento che le strategie di prevenzione e repressione dovrebbero essere modellate in base alle caratteristiche dei singoli terroristi. Già nei primi anni Sessanta lo psicologo Everett Hagen[8] (1962) aveva cercato di analizzare quei meccanismi psichici che in situazioni di frustrazione collettiva, come per esempio nel caso di minoranze sfavorite o individui marginalizzati dalla società, possono portare al desiderio di rivolta e di rinnovamento di se stessi.
 

Ciclo della radicalizzazione - fonte: Global Coalition anti-Daesh Strategic Communications Cell di Londra

Un bisogno psichico altrettanto forte è quello individuato da McClelland[9], ossia quello del bisogno di affiliazione. Esso è caratterizzato dalla volontà e il desiderio “di stabilire, mantenere e ricostruire relazioni affettive positive con altre persone”.  Il bisogno di essere amati e accettati spinge gli individui ad entrare in una certa comunità e organizzazione, che promette fratellanza, unione e amore ai propri membri, promessa che l’ISIS non manca di ripetere mediante la propaganda. Il contesto familiare, economico e sociale e il proprio passato personale condizionano quindi fortemente i bisogni e i desideri soprattutto dei giovani adolescenti, ed è proprio un bisogno di accettazione e di sentirsi parte di una comunità che li spinge ad arruolarsi nelle file dello Stato Islamico o a convertirsi e a sostenerlo, anche senza necessariamente spostarsi in Siria.  Recentemente si è sviluppato un dibattito sulle strategie di contenimento del fenomeno dei foreign fighters. La soluzione più condivisa è stata quella di impossibilitare i combattenti dello Stato Islamico nel raggiungere i luoghi di guerra, dove apprendono le capacità militari da usare negli attentati. A chi torna in Europa, invece, viene offerto un programma di riabilitazione e de-radicalizzazione per favorirne il reintegro nella società, ma non sempre questi programmi risultano essere efficaci e sono principalmente caratterizzati da costi elevati. 


[1] Per certi aspetti assimilabili alle ONG – Organizzazioni Non Governative.
[2] La strategia qaedista, secondo l’ideologo Abu Musab Al Suri, non risponde direttamente ad al-Qaeda per l’esecuzione di attentati ma è piuttosto un appello ai musulmani nel mondo per portare avanti la jihad per una sorta di resistenza islamica contro l’Occidente e gli stati musulmani apostati (quelli che hanno governi filo-occidentali o che svolgono una politica contro il terrorismo).
[3] AK47 “kalashnikov”.
[4] www.nato.int, NATO Review Magazine, Hybrid war - Hybrid response?.

[5] Autore di numerosi testi sull’argomento, tra cui “Future thoughts on Hybrid Wars”, Small Wars Journal , e “Hybrid warfare and challanges”, Joint Force Qurterly, 2009.

[6] Si tratta di uno dei cosiddetti “Home Made Explosive – HME”, il perossido di acetone: è un perossido organico e un potente esplosivo primario. Il TATP puro è una polvere cristallina di colore bianco praticamente inodore. È altamente sensibile al calore, all'attrito e agli urti.
[7] (1975), professore di Sociologia del terrorismo, è direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS di Roma e del quotidiano online “Sicurezza Internazionale”. È stato membro della commissione per lo studio della radicalizzazione jihadista istituita dal governo italiano e dal 2011 è Research Affiliate al MIT di Boston.
[8] Everett Hagen (1906-1992), economista statunitense specializzato in antropologia, sociologia e scienze politiche.
[9] David McClelland (1917-1988), psicologo statunitense noto in particolare per i suoi studi di motivazione chiamati globalmente Teoria dei bisogni.

Nessun commento: