Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

Cerca nel blog

martedì 16 giugno 2015

Conseguenze delle politiche alimentari

Area euro-mediterranea
Le ricadute geopolitiche della crisi alimentare
Giovanni Canitano, Eugenia Ferragina
11/06/2015
 più piccolopiù grande
La crisi alimentare del 2008 e del 2011 ha ridato centralità al tema dell’alimentazione, ma soprattutto ne ha svelato l’importante dimensione geopolitica, mostrando come il cibo possa rappresentare un’arma di ricatto e di pressione in grado di influenzare gli equilibri politici interni dei paesi, diventando al contempo un fattore di superiorità strategica nelle relazioni internazionali.

Gli aiuti internazionali
La sicurezza alimentare è stata per alcuni decenni considerata un obiettivo raggiungibile dalla comunità internazionale, grazie agli effetti della rivoluzione verde che avevano condotto a un enorme aumento delle rese agricole.

Inoltre, le politiche di sussidi all’agricoltura da parte di alcuni grandi produttori come l’Europa e gli Stati Uniti avevano determinato tra il 1976 e il 2001 un crollo di circa il 53 per cento del prezzo dei prodotti agricoli di base, favorendo la loro importazione da parte di quei paesi le cui rese agricole non erano sufficienti a rispondere alla domanda interna.

Il caso dei paesi Mena è emblematico di come il mercato internazionale abbia consentito per alcuni decenni ai paesi afflitti da carenza strutturale di terra e di acqua di superare tali vincoli ambientali attraverso l’importazione di quella che Toni Allan ha definito “acqua virtuale”, ovvero la quantità di acqua utilizzata nella produzione e nella commercializzazione di alimenti e beni di consumo.

I primi segnali della precarietà di questo equilibrio si manifestano con le «rivolte del pane» scoppiate alla fine degli anni ’80 in molti paesi arabi. Le misure di rigore economico previste dai Programmi di Aggiustamento Strutturale costringono i governi a ridurre i sussidi sui beni di prima necessità in un momento in cui un lungo periodo di siccità porta al crollo delle rese agricole.

Crisi alimentare e instabilità politica 
La contemporanea rottura degli equilibri economici e di quelli ambientali evidenzia il legame stringente che si va creando tra cambiamento climatico, crisi alimentare e instabilità politica all’interno dell’area. Tale legame appare ancora più evidente con la crisi alimentare del 2008 e del 2011 che mostra la vulnerabilità dei paesi arabi nei confronti della crescente instabilità che interessa il mercato globale delle derrate alimentari di base.

Definite "democrazie del pane", i paesi arabi hanno basato per anni il proprio equilibrio politico interno su un modello definito "di accordo autoritario": un patto sociale tra governanti e governati che prevede la fornitura da parte dei regimi al potere di derrate alimentari di base a prezzi sussidiati agli strati più poveri della popolazione, in cambio della rinuncia da parte dei cittadini al pieno godimento dei diritti politici e civili.

Nonostante le Primavere arabe non possano essere ricondotte a una matrice unica, è innegabile che l’aumento del prezzo del pane abbia contribuito a mettere in crisi questo patto sociale e rafforzato il malcontento popolare, diventando in parte il detonatore delle rivolte.

Le primavere arabe
Senza cadere nel determinismo ambientale, anche la crisi siriana vede nel nesso acqua-cibo un fattore di aggravamento dell’instabilità politica. Infatti, nonostante le interferenze internazionali e il cambiamento degli equilibri di potere tra le diverse componenti etniche e religiose abbiano rappresentato la determinante primaria della rivolta siriana del 2011, il deterioramento del quadro ambientale ha creato le condizioni per lo scoppio di una crisi agricola e umanitaria che ha aumentato la vulnerabilità del paese alle forze centrifughe interne ed esterne.

Il caso della Siria conferma, dunque, come un evento climatico possa condizionare la stabilità politica di un paese, se associato a fenomeni di degrado delle risorse naturali provocati da forte pressione umana sulle risorse e da deboli politiche di adattamento e contrasto del rischio ambientale.

Di fronte a questi evidenti elementi di incertezza riguardanti la continuità e la sicurezza dell’approvvigionamento di derrate alimentari di base, alcuni paesi Mena hanno provveduto a esternalizzare la produzione agricola attraverso l’acquisto di terra coltivabile all’estero.

Le acquisizioni di terra all’estero
Gli investimenti in terra (land deals) hanno subito un’impennata subito dopo la crisi alimentare del 2008 e del 2011. L’aumento delle acquisizioni di terra all’estero da parte di attori pubblici e privati è da mettere in relazione con le tre crisi sistemiche che hanno colpito l’economia globale: la crisi alimentare innescata dal forte incremento dei prezzi dei prodotti agricoli di base; la crisi energetica legata all’aumento del prezzo del petrolio; la crisi finanziaria determinata dal crollo dei principali mercati finanziari.

Paesi come l’Arabia Saudita e l’Egitto sono stati spinti all’acquisizione di terreni agricoli all’estero anche in seguito al fallimento dei grandi progetti idrici lanciati nei decenni precedenti per incrementare le superfici irrigue e aumentare l’autosufficienza alimentare.

In quest’ottica, gli investimenti in terra sono stati considerati da alcuni paesi un’opportunità per ridurre la pressione sulle riserve idriche nazionali attraverso la realizzazione d’investimenti in aree che presentano minori vincoli ambientali, nonostante il manifestarsi nel corso del tempo di problematiche come l’aumento dei costi di pompaggio legati all’abbassamento del livello delle falde fossili sfruttate, incognite legate alla durata di queste fonti idriche non rinnovabili, deterioramento qualitativo dell’acqua prelevata.

Non è facile valutare gli effetti che queste dinamiche geopolitiche legate al controllo della terra e dell’acqua produrranno in termini di pressione sull’ambiente e di raggiungimento della sicurezza alimentare da parte dei paesi Mena.

Vincoli ambientali e pressione demografica aumentano la competizione sulla terra e sull’acqua, ma le strategie per raggiungere la sicurezza alimentare dipendono non solo dall’aumento delle rese, dunque dagli aspetti che attengono alla produzione, quanto piuttosto dalla distribuzione e dall’accesso al cibo, dunque, dal funzionamento dei mercati e dal rafforzamento della cooperazione internazionale.

In assenza di politiche volte a stabilizzare i prezzi e garantire lo stoccaggio di derrate alimentari per fronteggiare il rischio climatico e impedire le speculazioni che penalizzano i paesi più dipendenti dal mercato globale delle derrate alimentari, l’acqua e il cibo sono destinati a rimanere al centro dei problemi di sicurezza nei prossimi anni.

Giovanni Canitano è ricercatore, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr); Eugenia Ferragina è ricercatore, Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo, Cnr.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3095#sthash.HGW8R9dK.dpuf

Iniziative per aggiornare le politiche alimentari

Area euro-mediterranea
Sicurezza alimentare e urbanizzazione: le sfide
Lorenzo Kihlgren Grandi, Cecilia Emma Sottilotta
08/06/2015
 più piccolopiù grande
Negli ultimi anni, la sicurezza alimentare intesa come possibilità di accesso fisico ed economico per tutte le persone in ogni momento “ad una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente per soddisfare le loro esigenze dietetiche e preferenze alimentari per una vita attiva e sana" (Fao, 1996) è divenuta una sfida particolarmente pressante nell’ambito delle relazioni euro-mediterranee.

A livello regionale (ma anche globale), le sempre più frequenti crisi alimentari, dovute a fattori climatici ma anche a evidenti fallimenti di governance, sono oggi più che mai fonte di instabilità socio-politica: la dipendenza dalle importazioni di derrate alimentari, soprattutto cereali, e la crescente volatilità dei prezzi in questo settore sono certamente da ascrivere tra le cause che hanno contribuito a scatenare la cosiddetta ‘Primavera araba’.

Urbanizzazione crescente
Un aspetto fino ad oggi poco discusso riguarda le implicazioni, in termini di sicurezza alimentare, della tendenza ormai osservabile a livello mondiale verso la crescita delle città in termini geografici e demografici.

Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, ben il 66% della popolazione mondiale vive oggi in aree urbane - un dato ancor più rilevante se si pensa che, soltanto negli anni ‘50 del secolo scorso, le proporzioni della popolazione rurale e urbana erano invertite.

Si pone dunque il problema di come garantire la sicurezza alimentare in città che crescono velocemente e spesso in assenza di politiche in grado di assicurarne lo sviluppo in maniera armonica ed inclusiva.

L’intero bacino del Mediterraneo è oggi caratterizzato, come molte altre aree del mondo, da un rapido processo di urbanizzazione. Tuttavia, si osservano delle divergenze notevoli tra la sponda nord e quella sud del Mediterraneo in materia di governance locale della sicurezza alimentare.

A fronte di una maggiore vulnerabilità in tale ambito, nei Paesi del Mediterraneo meridionale il contributo delle autorità locali alla formulazione e implementazione di policy politiche a favore della sicurezza alimentare a livello urbano - il cosiddetto approccio territoriale - è molto limitato, in virtù di una lunga e diffusa tradizione di accentramento amministrativo.

Tuttavia, i tempi sembrano oggi maturi perché tale tendenza si inverta e le città assumano un ruolo centrale nell’ottica di un approfondimento dei legami euro-mediterranei sulle questioni di sviluppo sostenibile.

Iniziative per realizzazione politiche alimentari
Vi sono peraltro stati negli ultimi anni alcuni segnali incoraggianti, come ad esempio la convention, sponsorizzata dall’Arab Urban Development Institute e dal Center for Mediterranean Integration della Banca Mondiale, che ha riunito a Rabat nel 2013 i sindaci ed i ministri dell’amministrazione urbana e locale dei Paesi Mena per discutere questioni di governance urbana.

Un impulso fondamentale in tale direzione è stato fornito negli ultimi mesi anche dall’Esposizione Universale di Milano, volano di sensibilizzazione sulle tematiche dell’alimentazione.

Nel settembre 2014 la città che ospita Expo ha infatti dato il via ai lavori dello Urban Food Policy Pact, un percorso di riflessione globale e partecipata sulla realizzazione di politiche alimentari urbane sane, eque e sostenibili.

L’iniziativa milanese - forte della collaborazione di 46 città di tutto il mondo, rappresentative di 150 milioni di abitanti, e di un Comitato scientifico con istituzioni quali Commissione Europea e Fao - si è concretizzata in un documento in cui impegni di natura politica sono affiancati da raccomandazioni tecniche.

Una vasta adesione al Patto da parte dei Sindaci delle città mediterranee potrebbe così contribuire al processo di rafforzamento delle prerogative urbane nella regione e a una conferma della validità dell’approccio territoriale alla sicurezza alimentare.

Si tratta di dinamiche che trovano un’utile sponda nelle iniziative di altri protagonisti nel grande dibattito promosso dall’Esposizione Universale. È il caso di Feeding Knowledge, progetto internazionale di ricerca sulla sicurezza alimentare promosso dal Politecnico di Milano e dall’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari (Ciheam-Iamb), tra i cui obiettivi figura la creazione dello Euro-Mediterranean Centre of Knowledge for Food Security.

Completa la scena il Milan Center for Food Law and Politics, centro di documentazione e studio sulle norme e sulle politiche pubbliche in materia di alimentazione, coinvolto nelle due realtà sopra descritte e promotore di un’analisi comparata sulle politiche alimentari urbane e sull’attuazione del diritto al cibo nei Paesi del Mediterraneo.

L’approccio territoriale alle politiche alimentari, nei suoi aspetti pratici e teorici, sembra quindi delinearsi come l’eredità feconda del dibattito internazionale lanciato da Expo. Una dinamica che, se accolta, potrà fornire valide risposte alle sfide della sicurezza alimentare delle città mediterranee, rafforzando al tempo stesso i legami tra le sponde del Bacino.

Lorenzo Kihlgren Grandi lavora presso il Settore Relazioni Internazionali del Comune di Milano ed è impegnato in un doppio dottorato tra Ehess di Parigi e Luiss Guido Carli di Roma; Cecilia Emma Sottilotta ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in teoria politica presso la Luiss Guido Carli difendendo una tesi dedicata al rischio politico per gli investimenti diretti esteri, e insegna attualmente Relazioni Internazionali presso l'Università della Calabria.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3091#sthash.wyZytHWB.dpuf

mercoledì 3 giugno 2015

Non più il “Nord” per il “Sud”, ma una comunità unita

Cooperazione
2015: l’anno delle agende globali
Paolo Dieci
28/05/2015
 più piccolopiù grande
Il primo negoziato internazionale del 2015 è la Third Financing for Development Conference (Addis Abeba, 13-16 luglio). Si tratta di un appuntamento decisivo, perché in assenza di risultati tangibili verrebbero compromessi in partenza il Post-2015 Summit al Palazzo di Vetro (25-27 settembre) e la Conferenza delle Parti della Climate Change Convention a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre.

Ad Addis Abeba l’Unione europea (Ue) e gli stati membri dovranno dire parole chiare sugli impegni per la lotta alla povertà. Il tema dello 0,7% del Pil è ancora in agenda? Se sì, entro quale arco temporale? Se no, quale è l’effettivo impegno nel breve, medio e lungo periodo? L’assenza di decisioni coerenti e credibili da parte dell’Europa renderebbe inconsistente il richiamo - in sé corretto - ai paesi del G77 all’assunzione di maggiori impegni diretti.

La debolezza in molti paesi di effettivi sistemi fiscali sottrae risorse alla lotta alla povertà e ai servizi sociali e alimenta la spirale delle diseguaglianze interne. E ancora: la mancanza, in alcuni paesi, di effettivi sistemi democratici determina crisi sociali, politiche ed economiche e rende spesso puramente teorica l’adesione alle convenzioni internazionali sui diritti umani.

È giusto,quindi, sottolineare la dimensione globale della nuova agenda. Non più il “Nord” per il “Sud”, ma la comunità internazionale effettivamente unita verso il raggiungimento di obiettivi condivisi.

Non più il “Nord” per il “Sud”, ma una comunità unita
Però il tema, per noi europei è: che credibilità abbiamo nel richiamare i Paesi partner alle loro responsabilità in assenza di scelte chiare e coerenti con innumerevoli impegni internazionali?

Va qui aperta una parentesi. Link 2007 ha espresso da sempre il proprio consenso all’idea che la cooperazione allo sviluppo dovesse aprirsi al mondo delle imprese. Siamo, infatti, convinti di due cose: la prima è che non è pensabile contrastare efficacemente la povertà e la mancanza di lavoro senza il concorso determinante dell’impresa; la seconda è che questo è quanto ci chiedono i paesi partner, che giustamente da anni non vogliono più essere considerati beneficiari passivi dell’aiuto ma soggetti attivi nello sviluppo di relazioni economiche e commerciali.

Però non ci stancheremo mai di ripetere un concetto: le risorse veicolate dal settore privato, lo sviluppo del blending finanziario, la valorizzazione dell’inclusive business vanno intesi come opportunità supplementari nella strategia globale di lotta alla povertà. Se il mercato da solo riuscisse a risolvere il problema della povertà assoluta, perché questa cresce anche in Paesi che registrano una forte crescita economica? Perché tuttora milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e ai servizi essenziali?

In quei contesti di povertà, i progetti finalizzati a precisi obiettivi di sviluppo coinvolgenti le comunità rimangono indispensabili, come rimane necessario, oltre che doveroso, fornire a quelle comunità l’aiuto necessario. Ci è difficile quindi concordare con chi ritiene che “il futuro della cooperazione sia oltre l'aiuto e che i paesi partner ci chiedano solo trasferimento di tecnologia ed esperienze e non più progetti”.

Integrare la dimensione del dono nell’Agenda globale
Forse alcuni osservatori ritengono che affermare quanto sopra corrisponde ad una difesa dell’identità e dello spazio della cooperazione non governativa. Non è così.

Innanzitutto ad affermare la centralità dell’aiuto a dono, accanto ad altri strumenti, non sono solo le Ong: lo ha fatto, con chiarezza, il più autorevole esponente della comunità internazionale, cioè il segretario generale delle Nazioni Unite. Il suo rapporto A life of dignity for all del luglio 2013, nell’inaugurare il dibattito sul “Post 2015”, reitera esattamente questo concetto: gli Stati ricchi non possono sottrarsi alle responsabilità e agli impegni assunti nella lotta alla povertà.

A parte questo richiamo, sono i dati del mondo contemporaneo a imporci di non demordere nel sottolineare la centralità dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Uno studio pubblicato dalla Fao nel 2014 (The State of Food Insecurity in the World, 16 settembre 2014) indica che sono circa 805 milioni le persone - vale a dire una su nove - che nel mondo soffrono la fame.

Il rapporto 2014 della Commissione economica per l’Africa sullo stato di avanzamento degli Obiettivi del Millennio rileva che, nonostante significativi progressi registrati in diversi Paesi, sul piano globale il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà estrema (1,25 $ al giorno) è cresciuto nel continente da 290 milioni nel 1990 a 376 milioni nel 1999 a 414 milioni nel 2010.

Sono dati che danno il senso dell’urgenza di aggiornare un’agenda globale, integrando la dimensione del dono con quelle dello sviluppo di relazioni economiche e del dialogo politico: l’Africa, ma non solo essa, deve assumersi fino in fondo le sue responsabilità.

Ma il successo di un’agenda di tali ambizioni dipende fortemente dalla credibilità dei soggetti in campo. Se questa vi sarà il 2015 può davvero essere un anno eccezionale. In caso contrario rischiamo di perdere importanti opportunità.

Il ruolo di un’Europa forte, coesa, unita
C’è poi un altro drammatico, interrogativo. Intere regioni del mondo neanche sentono il “profumo” di una prossima agenda globale. Ci riferiamo alle aree scosse dalla ferocia del terrorismo, dall’avanzata dello stato islamico, dalla somma di tante e interconnesse ragioni di conflitto e instabilità. La gente che vive in Siria, in Iraq, nello Yemen, pensa davvero che il 2015 possa essere un anno eccezionale?

Non riteniamo affatto che l’Europa abbia la possibilità di risolvere magicamente l’insieme di questi conflitti. Tuttavia sappiamo ciò che l’Europa non dovrebbe essere: un insieme di Stati privo di un’incisiva identità politica. Sarebbe un approdo disastroso per l’integrazione europea ma anche per il suo peso politico nel mondo. Proporre nel difficile scenario contemporaneo un’Europa forte, coesa, unita è una precisa responsabilità storica.

E qui l’Italia ha molto da dire e fare, perché ha sempre manifestato una forte tensione europeista. Tra le istanze che l’Europa dovrebbe senza indugi sposare deve esserci in primo luogo, come amava ripetere l’allora commissario europeo Emma Bonino, il consolidamento degli strumenti del diritto internazionale.

Non è un caso che uno che di agende globali se ne intende, Jeffrey Sachs, che ha ispirato quella del Millennio, insista molto sulla necessità di rafforzare il diritto internazionale. Rendere il diritto internazionale “una cosa seria”, applicabile e applicata è forse la principale sfida dei prossimi decenni.

Paolo Dieci è presidente di Link 2007 Cooperazione in Rete.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3083#sthash.mEKbwzTP.dpuf