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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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martedì 11 febbraio 2014

Unione Europea: il separatismo regionale ed altre incognite

Scozia e Catalogna
Altri rischi all’orizzonte per l’Ue
Ferdinando Nelli Feroci
04/02/2014
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In un contesto europeo caratterizzato da incertezze sulle prospettive di ripresa dell’economia, fenomeni di disaffezione e contrasti fra stati membri nei confronti del progetto europeo, l’accelerazione delle richieste di indipendenza di Scozia e Catalogna grava come una ulteriore incognita sul futuro dell’Unione europea (Ue). Nonostante le similitudine, i due processi vanno differenziati.

Edimburgo verso il referendum
In Scozia il referendum è programmato per il prossimo 18 settembre. Si tratterà dell’ultimo di vari episodi che hanno segnato nel corso degli anni un rapporto fra Londra e Edimburgo caratterizzato da ricorrenti richieste di autonomia da parte della Scozia, cui Londra ha risposto con varie forme di “devolution”.

La richiesta di indipendenza, che aveva subito una accelerazione con la scoperta degli importanti giacimenti di idrocarburi al largo delle coste scozzesi (1969), è stata rilanciata in coincidenza con il successo del Partito nazionale scozzese (Scottish national party, Snp) alle elezioni locali del 2011 e si è concretizzata, poco dopo, con la convocazione di un referendum.

Oggi i sondaggi di opinione indicano che solo una quota minoritaria (intorno al 37%) dell’elettorato scozzese sembrerebbe essere in favore dell’indipendenza. Oltre il Psn, fra i partiti sono decisamente a favore dell’indipendenza frange di Socialisti e Verdi scozzesi. Contrarie le sezioni locali dei tre maggiori partiti britannici, conservatori, laburisti e liberali.

Per ora Londra non si è opposta alla richiesta di indipendenza, ma non ha perso occasione per segnalare agli elettori scozzesi i costi di un’eventuale secessione.

Nel caso di vittoria del fronte indipendentista dovrebbe aprirsi un complesso negoziato fra Londra ed Edimburgo sulle modalità, condizioni e conseguenze della dichiarazione di indipendenza. Uno scenario di questo tipo (del tutto nuovo e non previsto dai Trattati che regolano il funzionamento dell’Unione) avrebbe comunque numerose conseguenze sull’Ue.

Si tratterebbe di definire la questione dell’appartenenza o meno della Scozia indipendente all’Eurozona e il destino dei numerosi opt-out di cui oggi usufruisce in quanto parte del Regno Unito. Inoltre, bisognerebbe rinegoziare i contributi al bilancio Ue e la nuova allocazione dei fondi Ue, oltre alla distribuzione di seggi e posti nelle istituzioni.

Senza contare che il futuro della Scozia in Europa verrebbe a interferire con le prospettive di un eventuale referendum sulla partecipazione del Regno Unito all’Ue (annunciato da David Cameron, ma da confermare dopo le elezioni del 2015) con la prospettiva estrema (ma poco realistica) di uno scenario in cui il Regno Unito esce dall’Ue nel momento in cui la Scozia chiede di aderire.

Barcellona pensa all’economia
Anche la Catalogna da tempo rivendica crescente autonomia da Madrid che ha finora cercato di contenere le spinte centrifughe di Barcellona anche per evitare effetti di contagio.

Nel gennaio 2013 la Corte Costituzionale aveva dichiarato nulla e priva di effetti la dichiarazione di indipendenza e sovranità del governo catalano, dando inizio così a un braccio di ferro tra le due parti.

L’ultimo episodio di questo confronto è stata la decisione presa il 12 dicembre scorso dal governo catalano (sostenuta sia dal partito di maggioranza Convergencia y Unio che dai partiti locali di opposizione) di convocare un referendum sull’autodeterminazione della Catalogna per il prossimo 9 novembre. Madrid non ha ancora risposto ufficialmente, ma c’è da attendersi che cercherà di contrastare con ogni mezzo questa iniziativa.

Al di là delle differenze culturali e linguistiche (peraltro tutelate dallo statuto di autonomia) le motivazioni principali della richiesta di indipendenza sono di natura economica. La Catalogna, la regione più ricca della Spagna, sostiene di contribuire in maniera squilibrata al bilancio statale spagnolo e al sostegno delle regioni più povere della Spagna, ricevendo da Madrid contributi pro capite molto inferiori a quelli delle altre regioni.

A differenza della Scozia, la maggioranza dell’elettorato catalano è a favore dell’indipendenza. I partiti eletti in Catalogna sono sostanzialmente indipendentisti. Secondo gli ultimi sondaggi forniti dalle autorità di Barcellona, il 55% della popolazione sarebbe favorevole alla secessione.

A differenza del caso della Scozia, in Spagna il governo centrale ha finora opposto resistenza alle ipotesi di secessione. Si è dichiarato contrario ad accettare una dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna, facendo sapere di considerare anticostituzionale un referendum come quello convocato dalle autorità catalane.

Non interferenza Ue 
Forzando la mano con i due referendum, è possibile che le autorità scozzesi e catalane (che in questa fase si identificano in due leader brillanti e carismatici come Alex Salmond e Artur Mas) intendano preparare il terreno per un negoziato con Londra e Madrid sulla revisione dei rispettivi statuti di autonomia. Anche se vincessero il referendum, il processo sarà lungo e incerto.

In Europa si è cercato finora di non interferire con queste delicate dinamiche che sono considerate di prevalente natura interna. Solo il Presidente della Commissione Manuel Barroso ha avuto occasione di ricordare che l’adesione alla Ue di nuove entità statali, che dovessero emergere in Europa per effetto di secessioni, verrebbe trattata secondo le stesse regole previste per l’adesione di altri stati terzi, sia pure con gli adattamenti del caso, trattandosi di territori che hanno finora fatto parte dell’Unione.

Quindi domanda di adesione secondo la procedura prevista dall’art. 49 del Trattato sull’Ue, esame dei criteri e successivo negoziato che presuppone l’unanimità degli stati membri.

Uno scenario di questo tipo, per quanto ipotetico e forse remoto, richiederebbe in primo luogo che l’indipendenza per secessione fosse il risultato di un accordo con i governi che subirebbero la secessione.

Solo su queste basi si potrebbe avviare un percorso tecnicamente complesso, ma politicamente fattibile, ma che comporterebbe ulteriori complicazioni (basta pensar agli effetti di contagio che potrebbe avere su altre regioni europee) per una Ue che già fatica a trovare un minimo di visione condivisa sul proprio futuro.

Ferdinando Nelli Feroci è presidente dello IAI.
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Italia: alla ricerca della perduta credibilità

Olimpiadi invernali
Letta a Sochi cerca Roma 2024
Giuseppe Cassini
06/02/2014
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La nobile iniziativa del barone de Coubertin di convincere le nazioni a gareggiare invece che guerreggiare non ha retto alle dure repliche della storia. Già le due guerre mondiali avevano interrotto il ritmo quadriennale dei Giochi, segnando un primo tradimento dello spirito di Olimpia. Nei tempi antichi, almeno durante le gare, vigeva una Tregua Olimpica fra le litigiose polis greche.

Da Tlatelolco a Monaco 
Il peggio però si è visto nei decenni recenti: Città del Messico 1968, funestata dal massacro di Tlatelolco in vista dell’apertura delle Olimpiadi; Monaco 1972, insanguinata nel corso stesso dei Giochi; Mosca 1980, boicottata dagli americani per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Ovvio che quattro anni dopo Mosca rendesse la pariglia boicottando l’appuntamento di Los Angeles, tanto più che nel frattempo gli Stati Uniti avevano invaso Grenada, aiutato Saddam Hussein ad attaccare l’Iran e messo sottosopra El Salvador e Nicaragua.

Ormai la politica internazionale ha infettato lo sport in maniera incurabile e trattandosi appunto di politica, le ragioni che incitano a “premiare” con la presenza o “castigare” con l’assenza sono volubili.

Perché snobbare Sochi nel 2014 e non Pechino nel 2008? Se proprio si doveva boicottare un evento olimpionico, forse era giusto farlo nel 1936 a Berlino, quando il regime colse l’occasione di esaltare l’ideologia nazista più che l’ideale sportivo. Eppure ricordo che mio padre, invitato a Berlino in quanto ex-campione di tiro al piattello, lodava il livello agonistico di quelle Olimpiadi, pur esecrando la coreografia nazional-socialista.

Gigantismo
Negli ultimi due decenni un ulteriore virus ha contaminato gli appuntamenti olimpionici: il gigantismo. Ne è stato “portatore insano” il Cio, responsabile di aver ammesso troppe competizioni (alcune risibili) e di aver tollerato rovinosi dispendi di risorse finanziarie ed ambientali.

Sochi ne è un esempio preclaro: 51 miliardi di dollari spesi per inseguire il sogno di Pietro il Grande. Lo zar aveva scelto le paludi alla foce della Neva per erigervi la magnificenza di San Pietroburgo. Putin ha scelto l’unica località sub-tropicale della Russia, la mitica Colchide, per ospitare le Olimpiadi invernali… Come se l’Italia le avesse organizzate nel 2006 a Sanremo invece che a San Sicario.

Sulle rive del Mar Nero infatti, si terranno le gare su ghiaccio, giusto nell’area della delicata riserva naturale protetta dall’Unesco. E le devastazioni ambientali (otto cave aperte, falde idriche sconvolte, colate di cemento su pendii scoscesi) interesseranno anche i rilievi scelti per le gare di sci. Intanto, aldilà di quei monti - in Cecenia, in Daghestan, in Inguscezia - gli irriducibili islamisti si preparano a nuove sanguinose sfide da metter in atto dopo le Olimpiadi.

Durante i Giochi, tanto gli atleti quanto gli illustri ospiti saranno ben protetti da ogni pericolo. In compenso però, non potranno muoversi di un passo. Per sicurezza è stato chiuso perfino l’accesso alle bellezze dell’Abkhazia, territorio filo-russo strappato alla Georgia a pochi passi da Sochi.

Letta non diserta
Pur con queste limitazioni, ha fatto bene il presidente Letta a decidere di presenziare all’apertura delle Olimpiadi invernali: solo così si difende il principio di tener separato lo sport dalla politica. Lascia perplessi, invece, la motivazione ufficialmente dichiarata: perorare la candidatura italiana alle Olimpiadi estive del 2024.

Esattamente due anni fa il governo Monti respinse con fermezza le insistenti pressioni del sindaco di Roma, dietro il quale si muoveva una coorte di “promotori” bramosi di candidare la capitale per le Olimpiadi del 2020. Quale città italiana, Roma inclusa, sarebbe adatta ad ospitare un tale evento senza arrecare danni irreparabili al tessuto urbano, attirare torme d’affaristi impresentabili, scavare buchi incolmabili nelle casse statali e comunali?

Fare prima i “compiti a casa”: manutenzione delle città, pulizia negli angoli bui delle opere pubbliche, civismo quotidiano. Infine la domanda: sarebbe pronta Roma nel 2024 a presentarsi come Londra nel 2012?

Giuseppe Cassini è ambasciatore d’Italia.
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Demografia: la nuova tendenza del mondo islamico

Calo della natalità 
Se anche il mondo islamico invecchia
Amedeo Maddaluno
23/01/2014
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Il fenomeno della contrazione della natalità nel mondo islamico, con tutte le sue conseguenze sul piano economico, della stabilità e dei flussi migratori futuri risulta tutt’oggi oscurato dalle analisi socioeconomiche sull’altro grande fenomeno della demografia moderna che è l’invecchiamento dell’Europa.

Nel mondo islamico e nel mondo arabo la transizione demografica è però un fatto. Secondo dati delle Nazioni Unite relativi ai due lustri campione 1975-80 e 2005-10, la fertilità complessiva del pianeta è calata del 35% circa. Quella dei paesi dove l’Islam è la religione maggioritaria, del 40% circa. Nel lustro 2005-2010, l’Iran presenta una natalità di 1,8 figli per donna, la Turchia di 2,1 e l’Egitto di 2,8, livelli ben diversi dai rispettivi più di 6, più di 4,5 e più di 5,5 del lustro ’75-’80.

Meno figlio per tutti 
Il caso della tendenzialmente laica Tunisia è particolarmente interessante: nei due quinquenni di riferimento è passata da più di 5,5 a circa 2,5 figli per donna. Nel meno laico Oman si è passati da poco più di 8 a meno di 3 figli per donna. Siamo davanti a un calo della fertilità approssimativamente del 60%, un dato che colpisce, in quanto più incisivo di quello vissuto in Europa nello stesso periodo.

Un’analisi basata sui soli dati relativi alla natalità assoluta e all’aumento demografico netto complessivo sarebbero fuorvianti. Nei paesi dove l’Islam è religione maggioritaria nascono tendenzialmente più figli che in Occidente. Non solo: sono società dove i comportamenti riproduttivi dei decenni passati comportavano una natalità ancora più alta.

Il risultato complessivo ci presenta società molto più giovani di quelle europee, dove quindi vi sono più donne in età riproduttiva e quindi anche il potenziale demografico è maggiore. La reclusione della donna ai ruoli domestici nonché la minor diffusione del benessere che comporta minori investimenti sull’istruzione dei figli hanno influito e influiscono sugli aspetti demografici.

Più disoccupati ovunque
Tale immagine è però incompleta se non vista in prospettiva. Nelle società islamiche la fertilità sta calando e a ritmi rapidi. Il gran numero di giovani è spesso corrispondente ad un gran numero di disoccupati, non in condizione di creare un nucleo famigliare ed anzi propensi a immigrare ritardando l’età matrimoniale.

Il benessere economico complessivo e gli investimenti nell’istruzione, specie in quella femminile, sono cresciuti andando a costituire un quadro sociale in mutamento che spiega il forte cambiamento dei comportamenti riproduttivi delle società islamiche.

Attualmente le società del mondo islamico sono quindi società giovani, caratterizzate da una tendenza a un aumento demografico complessivo nel medio-breve termine, da una certa tendenza alla mobilità dei flussi migratori e all’instabilità politica: molti giovani desiderosi di benessere, ma costretti a competere per pochi posti di lavoro.

Proprio questo quadro rimanda a una società che già oggi affronta un consistente calo delle nascite, che nel medio-lungo termine potrebbe attenuare i propri flussi migratori verso il mondo occidentale e diventare nel complesso più stabile. Il livello demografico può aiutare appunto a spiegare, e forse a prevedere, le diverse reazioni delle società europee e quelle arabo-islamiche all’attuale situazione di disagio economico.

Risposte al disagio 
Le anziane società europee tendono a reagire al disagio economico, mutando il proprio comportamento elettorale e virandolo verso movimenti di protesta o comunque avversi all’integrazione dei singoli stati nell’Unione Europea e all’immigrazione. Facendo leva sulla paura data dalla perdita del benessere e sulla minaccia dell’insicurezza, le società europee si oppongono alle influenze esterne.

La violenza gioca ruoli diversi nei contrasti sociali delle società più giovani. La violenza terroristica e di piazza ha caratterizzato l’Europa dei decenni successivi al baby boom come caratterizza oggi - e, possiamo spingerci a prevedere, continuerà a caratterizzare fino a transizione demografica avvenuta - le giovani società arabo-islamiche, dotate di maggiori energie rivendicative.

Per trarre alcune considerazioni dal lato strategico e della sicurezza, non deve stupire il permanere di esplosioni di violenza nel mondo islamico - inclusa la rivitalizzazione del fenomeno qaedista.

Per quanto riguarda il futuro delle tendenze demografiche nella ummah, comunità islamica, tutto dipenderà dal permanere dei fattori che hanno finora guidato il mutamento di quei quadri sociali: aumento del livello di benessere e di vita, aumento dell’istruzione complessiva e di quella femminile, desiderio di maggior benessere ed autorealizzazione da parte dei giovani.

Nel complesso, i secondi due fattori sembrano i più resistenti e influenzano il primo, messo in discussione invece dall’instabilità politica come nel caso egiziano e dalla pressione demografica attuale.

Amedeo Maddaluno è analista geopolitico.
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Italia: un approccio positivo al dramma siriano

Armi chimiche in Siria
Gioia Tauro, l’anello italiano del disarmo mondiale
Carlo Trezza
21/01/2014
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Nella tragedia infinita della guerra civile in Siria l'unico elemento virtuoso è rappresentato dall'adesione siriana alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche e dalla conseguente distruzione, attualmente in corso, dell'arsenale che Damasco ha riconosciuto di detenere.

Rivincita del multilateralismo
Oltre a stemperare - ma purtroppo non a risolvere - la crisi siriana, l'intesa raggiunta costituisce una rivincita del multilateralismo internazionale. Non tutti ricordano che dieci anni fa il termine "multilateralismo" era divenuto un anatema e che all'Assemblea generale dell'Onu vi fu una guerra di religione per metterlo al bando.

La diatriba era sorta successivamente alla seconda guerra del Golfo, quando l'amministrazione Bush si oppose a una soluzione multilaterale della crisi irachena, mostrando la volontà di utilizzare a ogni costo le forze che erano state ammassate ai confini dell'Iraq. A nulla erano servite le ispezioni delle Nazioni Unite che non avevano evidenziato il ritrovamento di armi di distruzioni di massa.

Con la crisi siriana è successo l'esatto contrario. Le armi siriane c'erano davvero. Il Presidente russo Vladimir Putin e i suoi sostenitori cinesi hanno finito per arrendersi all'evidente necessità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, mentre il Presidente statunitense Barack Obama, a differenza dal suo predecessore dal "grilletto facile", ha avuto la saggezza di rinunciare a un'azione militare nella quale si era originariamente fatto implicare.

Le autorità siriane dal canto loro si sono piegate al diktat internazionale. Occorre riconoscere il merito di questi protagonisti, ma bisogna anche dare credito alle strutture multilaterali che hanno svolto un ruolo chiave nella realizzazione di questa virtuosa operazione.

Collaborazione internazionale
Approvando la risoluzione, il Consiglio di sicurezza ha svolto correttamente il suo ruolo nel porre le basi giuridiche dell'iniziativa e affermandone la legittimità. L'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo guidato dalla tedesca Angela Kane, è riuscito ad accertare - correndo enormi rischi e sotto le bombe - l'effettivo impiego delle armi chimiche.

L'adesione siriana alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche è avvenuta con sorprendente tempestività. Sotto la guida del diplomatico turco Ahmet Üzümcü, l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Opac, sta ora conducendo in tempi record la complessa operazione di distruzione di tale arsenale.

Il completamento dell'iniziativa richiede però la collaborazione generosa dell'intera comunità internazionale e in questo contesto va valutato il dibattito sul contributo italiano. Non è stato uno spettacolo edificante vedere paesi rinviarsi continuamente l'onere di distruggere sul proprio territorio il materiale chimico dismesso. Sono dovuti intervenire gli Stati Uniti, inventando l'originale soluzione dello smaltimento in acque internazionali a bordo della nave Cape Ray, per sventare il rischio che l'intera operazione rimanesse lettera morta.

Ruolo Italiano
Bene hanno fatto Danimarca e Norvegia a porre a disposizione due unità navali per il trasporto del carico. La Germania si è impegnata all'incenerimento sul proprio territorio dei residui che risulteranno dal trattamento dell'Iprite siriana che avverrà a bordo della Cape Ray. E bene ha fatto anche l'Italia a farsi carico nel trasbordo nel porto di Gioia Tauro del materiale da distruggere.

Se si riuscirà a chiudere definitivamente il capitolo delle armi chimiche siriane si sarà fatto un passo importante nel Medio Oriente. Le armi chimiche erano, e rimangono, una componente importante dello scenario. Furono intensamente utilizzate da Saddam Hussein nella guerra contro l'Iran all'inizio degli anni ‘80 e contro la propria minoranza curda. Si ritiene siano state utilizzate dall'Egitto nel suo intervento nello Yemen nel 1967.

Il loro recente impiego in Siria, colpendo popolazioni civili, conferma che si tratta di un'arma di terrore che poco serve a fini militari e di deterrenza. Con l'adesione siriana alla Convenzione, gli unici paesi dell'area che non hanno rinunciato alle armi chimiche sono Egitto e Israele.

La palla si trova decisamente nel loro campo e una loro risposta positiva darebbe impulso alla realizzazione di un altro progetto di cui si discute dal 2010: quello di una Zona priva di armi distruzione di massa e loro vettori nel Medio Oriente.

Il trasbordo di Gioia Tauro è parte di un progetto multilaterale di più ampio respiro. Sarebbe una iattura se dovessero esservi ripensamenti dell'ultima ora. Si comprometterebbe l'intera operazione, si incrinerebbe la rinascita del multilateralismo e si porrebbe a repentaglio la credibilità dell'Italia.

L'Ambasciatore Carlo Trezza è presidente designato del Missile Technology Control Regime, è stato Ambasciatore presso la Repubblica di Corea, Rappresentante Permanente per il Disarmo a Ginevra e membro della delegazione italiana alla Conferenza istitutiva della Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche.
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Siria: apertura della conferenza Ginevra 2 a Montreax


Siria 135
Si sono aperti la mattina del 22 gennaio i lavori della Conferenza internazionale di pace sulla Siria - Ginevra 2 – volto a instaurare un dialogo diretto fra i ribelli siriani e i rappresentanti del regime di Bashar al-Assad. Punto centrale resta il ruolo del Presidente siriano nel futuro assetto istituzionale del Paese, questione sulla quale continua a non registrarsi un accordo tra le parti.
I margini per una soluzione negoziale al conflitto, che dura ormai da 3 anni e che ha causato più di 100 mila morti, restano in ogni caso assai stretti. Ginevra 2 vede infatti l’assenza di molti attori – da un lato le numerose milizie islamiste e i gruppi curdi attivi nel teatro siriano, dall’altro potenze regionali, quali l’Iran, profondamente coinvolte nel conflitto – il cui ruolo nella crisi siriana appare assolutamente centrale.
Altro fattore che rischia di ridurre ulteriormente le possibilità di una soluzione diplomatica è ra! ppresentato dalla forza negoziale del regime di Assad. Nell’ultimo anno, le forze governative siriane sono infatti riuscite a invertire il trend del conflitto e riconquistare punti strategici di notevole importanza per la tenuta del regime. Ciò rende Damasco assai meno propensa a eventuali compromessi di quanto non fosse in passato.

Siria

Ucraina: il nuovo scontro est ovest


Ucraina 135
Nell’ultima settimana sono notevolmente cresciuti di intensità gli scontri in Ucraina. Le ultime cronache hanno riportato la morte di cinque manifestanti negli scontri con la polizia avvenuti in Piazza Indipendenza, a Kiev. Quattro di questi sarebbe deceduti per colpi d’arma da fuoco.
Bersaglio delle proteste è il Presidente Yanukovych, che lo scorso novembre ha deciso di bloccare l’accordo di associazione con l’Unione Europea. Le fazioni filo-europeiste, guidate nella protesta dai leader dei partiti di opposizione, hanno interpretato questa mossa del Presidente come un disegno per tutelare gli interessi degli oligarchi legati a doppio filo all’elite politica russa, a discapito della volontà popolare che invoca ulteriori passi verso il modello europeo. Ben nota è l’importanza strategica che l’Ucraina, terreno di transito per il gas russo diretto verso l’Europa, riveste per Mosca.
Inizialmente, le proteste avevano a! vuto carattere pacifico. A scatenare scontri violenti, la scorsa settimana, è stata l’approvazione di una legge, subito bollata come anti-democratica da Unione Europea e Stati Uniti, che prevede, tra le altre cose, l’arresto per chi si copre il volto con caschi o fazzoletti e che vieta di erigere barricate, di entrare in massa in luoghi pubblici, di allestire tende o palchi. Una norma, dunque, chiaramente orientata a soffocare le manifestazioni in corso, ma che ha avuto il solo effetto di far precipitare la situazione e aprire la strada all’uso delle armi.
Ieri si sono svolti i colloqui tra i leader dell’opposizione e il Presidente Yanukovych per giungere ad un compromesso che fermi le violenze. Ma sembra che il governo, forte anche dell’appoggio di Mosca, non intenda scendere a patti e proseguire sulla strada della repressione senza mezzi termini.


Ucraina

Europa: la Germania punto di riferimento

Germania
Il futuro dell’Europa passa per la Große Koalition
Eugenio Salvati
29/01/2014
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Benché i temi prettamente europei non siano stati al centro del dibattito elettorale in Germania è innegabile che siano stati un convitato di pietra nella sfida elettorale, se non altro per la rilevanza che hanno avuto nel dibattito pubblico tedesco dopo lo scoppio della crisi greca.

Gli elettori tedeschi che hanno rinnovato la fiducia alla cancelliera Angela Merkel lo hanno fatto anche per premiare la stabilità e la continuità delle sue politiche europee.

Austerità in Europa
Al centro dell’accordo di governo raggiunto dalla cancelliera ci sono soprattutto le scelte politiche interne tedesche dei prossimi anni; in particolare le politiche sociali e la riforma del mercato del lavoro. Su questi due punti i socialdemocratici (Spd) sembrano avere fatto bottino pieno portando a casa l’impegno della Merkel per la fissazione del salario minimo a 8,5 € a partire dal 1º gennaio 2015 e la riforma dei contratti interinali.

Accanto a questi indirizzi, i socialdemocratici ottengono un maggior stanziamento di risorse federali per istruzione/università e spesa sociale (risorse per infanzia e previdenza): il tutto all’interno della cornice dei conti in regola e con l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2015.

Per quel che concerne gli impegni in materia europea, c’è maggiore indeterminatezza e ciò sembra rafforzare l’idea che la linea di politica europea della Germania sarà in sostanziale continuità con quella degli ultimi anni.

Lo scambio alla base dell’accordo di coalizione potrebbe essere riassunto con questa formula: a maggiori impegni di spesa sul fronte interno, corrisponde la volontà di proseguire sul sentiero dell’austerità nell’arena comunitaria. Indicativa è la riconferma di Wolfang Schaeuble, l’uomo dell’austerity, al ministero delle Finanze.

Immigrazione
Sul piatto della bilancia politica della grande coalizione è però emerso il primo elemento di frizione, ossia le politiche da adottare nei confronti del sempre maggior numero di immigrati che dai paesi dell’est si spostano verso la Germania.

Al centro del conflitto c’è la posizione della Germania come polo di attrazione per i lavoratori dei paesi più poveri dell’Ue, creando il primo conflitto aperto tra l’Unione cristiano sociale (Csu) che ritiene una minaccia il fatto che questi lavoratori possano usufruire dei benefici del welfare state tedesco, e la Spd che considera sovrastimato questo pericolo.

La Csu bavarese ha richiesto un intervento legislativo ad hoc che possa circoscrivere l’accesso ai servizi degli immigrati, limitando così l’aggravio ai danni della finanza pubblica e prevenire eventuali truffe. Se i Cristiano sociali hanno chiesto maggiore severità, la Spd ha subito cercato di minimizzare la questione, considerandola un attacco alla libera circolazione dei lavoratori nell’Ue (e quindi un attacco rivolto verso Bruxelles).

I socialisti hanno quindi chiesto, per bocca del ministro del lavoro, che il governo federale si impegni ad erogare maggiori risorse agli enti locali che si trovano a dover affrontare direttamente la presenza di nuovi lavoratori immigrati.

Questo tentativo di frenare l’afflusso degli immigrati dall’est non è solo un problema politico interno alla grande coalizione, ma è un tema che investe direttamente Bruxelles, dato che rischia di scontrarsi seriamente con il principio di libera circolazione all’interno dell’Ue, aprendo così un forte contenzioso politico con la Commissione.

Regno Unito
La conflittualità nel governo tedesco dimostra la salienza del problema e fa capire quanto la questione delle politiche concernenti l’immigrazione possa diventare un tema centrale della prossima campagna per le elezioni europee, ed inevitabilmente un terreno di confronto tra i governi in sede comunitaria.

Difatti anche il Regno Unito è intenzionato ad applicare misure di contenimento nei confronti delle nuove ondate migratorie provenienti, in particolare, da Bulgaria e Romania.

In questo quadro diventa molto probabile che il tema dell’immigrazione vada ad infittire l’agenda europea che, in vista del semestre italiano di presidenza, sembra diventare sempre più spinosa. Temi quali la possibilità di accesso al welfare state degli stati membri da parte di cittadini comunitari o l’eventualità di rivedere il principio della libera circolazione, riguardano l’impostazione che la Germania darà alla sua politica europea nei prossimi anni.

C’è la disponibilità da parte del governo tedesco a compiere passi più decisi verso una maggiore integrazione politica? Oppure questioni delicate - ed elettoralmente salienti - come l’immigrazione, rappresentano l’occasione per ridiscutere addirittura i pilastri dell’attuale Ue?

Ciò significa che gli equilibri della grande coalizione avranno ripercussioni anche in sede comunitaria perché una eventuale vittoria delle posizioni più dure su un tema come quello dell’immigrazione, dimostrerebbe la scarsa disponibilità della Germania a cedere quote importanti della propria sovranità e renderebbe ancora più accidentato il percorso verso una vera unione politica.

Eugenio Salvati è Dottore di Ricerca in Scienza Politica, Università di Pavia.
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venerdì 7 febbraio 2014

Lutiania. Convegno a Settembre

Dear colleagues,
its our pleasure to announce that 3rd Lithuanian Geographical Congress, devoted to the 80th anniversary of Lithuanian geographical society, is
going  to take place in Vilnius on the 26-27 of September, 2014.  It is an interdisciplinary event, which will focus on revelation of the
main  trends of development of geographical research in Lithuania and Baltic Sea countries. We are inviting to participate in the Congress those interested
in  the presentation of their newest research targets, methods and results, especially revealing new trends of geographical research of various
physical  and human processes in your country (possibly in the context of other Baltic sea states).
We are inviting you to submit abstracts of your presentations till the 10th  of March 2014 via e-mail:
mailto:kongresas@lgd.lt. The maximum length of
the  presentation is 15 minutes. If the number of submitted presentation exceeds  maximum number of possible participants preference will be given for the
presenters from Baltic Sea countries and topics devoted for less specific cases (the decision will be made until the 1st of April). The special
issue of scientific periodical „Geographical yearbook“ ("Geografijos metraštis"), based on papers presented at the conference, will be
published  after the event. Deadline for the paper submission is the 15th of October, 2014.
The event is free of charge but participants will have to cover travel, self  subsistence and accommodation costs. Participants may be asked to cover
costs  of participation in social events organised during the event (up to 50 Euro).
More information please find in the attached documents.
Feel free to disseminate this information for those who could be
interested.

Best regards,

Organizing committee
http://www.lgd.lt

Dovil
ė Krupickaite

martedì 4 febbraio 2014

Aggiornamento. Un 2014 da seguire

Accadde domani
Il 2014 della politica internazionale
Giampiero Gramaglia
05/01/2014
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A cent’anni dalla Grande Guerra, una carneficina con decine di milioni di morti che fu un vero e proprio conflitto civile europeo, il 2014 allinea appuntamenti importanti nella prospettiva dell’integrazione continentale: le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e, in chiave più italiana, la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Unione europea, Ue, dal 1° luglio al 31 dicembre.

Il 28 giugno 1914 venne ucciso a Sarajevo l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando: l’assassinio fu il ‘casus belli’ della Grande Guerra, scoppiata il 1º agosto, una data scritta nella storia a lettere rosso sangue e grigio fango. L’Italia entrò nel conflitto l’anno dopo, il 24 maggio 1915.

Europa
Basterebbe quel riferimento a ridare senso e attualità al progetto dell’integrazione europea, che è motore e garante della pace più lunga mai conosciuta dal vecchio Continente, nonostante la presa sull’opinione pubblica si sia allentata negli anni della crisi, anche a causa di scelte politiche lontane dagli ideali di solidarietà e di cooperazione che l’avevano ispirato.

Nel 2014 si celebreranno anche i sessant’anni dall’affossamento della Comunità europea di difesa, Ced, bocciata senza appello da un voto dell’Assemblea nazionale francese e ancora lontanissima oggi.

Sono anche trent’anni dall’approvazione, nel Parlamento europeo, del progetto di Trattato sull’Unione europea ispirato da Altiero Spinelli.

Si celebrano infine i dieci anni dall’adozione e dalla firma della Costituzione europea. Questa, non superò lo scoglio dei referendum di ratifica, specie in Francia.

Il voto di maggio (giovedì 22 e domenica 25 in Italia e nella maggior parte dei 28 Paesi Ue) darà una misura di quanto l’euro-scetticismo sia diffuso nei paesi Ue. La presidenza dirà se e quanto l’Italia è in grado e ha la volontà di esercitare ancora la spinta europeista che ha sempre caratterizzato i suoi precedenti semestri, nel 1980, nell’ ’85, nel ‘90, nel ‘96, nel 2003.

Ottimismo
Negli auspici del presidente Giorgio Napolitano e del premier Letta, il semestre italiano dovrebbe segnare lo “spartiacque” tra l’Ue del rigore e quella della crescita. Belle parole, che bisogna però tradurre in pratica.

Qualche venatura d’ottimismo a inizio 2014 s’intravvede: i dati economici migliorano (in Italia, però, meno che altrove); la zona dell’euro si allarga con l’ingresso della Lettonia (e così siamo a un’unione a 18: la moneta unica che, nelle previsioni delle cassandre, sta sempre per perdere pezzi continua, invece, a guadagnarne); e ci sarà una successione di presidenze mediterranee, prima la Grecia e poi l’Italia. Il tandem Atene-Roma può spingere, in particolare, sull’immigrazione e sui rapporti con i paesi della riva sud.

Elezioni
Con i 28 dell’Ue, sarà mezzo pianeta ad andare al voto nel 2014: consultazioni magari non decisive come il trittico di presidenziali del 2012 - Russia, Francia, Usa - ma capaci di avere un certo impatto sugli equilibri politici globali.

Date significative della ‘staffetta della democrazia’ sono le presidenziali e legislative in Sud Africa ad aprile, le legislative in India nel secondo trimestre - laggiù, il voto è a singhiozzo -, le politiche in Brasile il 5 ottobre, le legislative parziali di ‘midterm’ negli Stati Uniti il 4 novembre.

Il 18 settembre la Scozia si pronuncerà con un referendum sull’indipendenza dalla Gran Bretagna. E la lista vede decine di consultazioni presidenziali e politiche in altri paesi di tutti i Continenti, senza neppure contare le centinaia di amministrative.

L’elenco comprende, fra l’altro, le legislative in Bangladesh il 5 gennaio, il referendum sulla nuova costituzione egiziana il 14 e il 15 gennaio - più tardi, ci saranno in Egitto le presidenziali e le legislative -; le presidenziali in Costa Rica e nel Salvador il 2 febbraio; le legislative in Colombia il 9 marzo e in Guinea-Bissau il 16 e, nello stesso mese, le presidenziali in Macedonia e in Slovacchia.

Inoltre le presidenziali in Afghanistan e le legislative in Ungheria il 5, in Indonesia il 9 e in Iraq il 30 aprile; lo stesso mese, ci saranno le presidenziali in Algeria; le presidenziali a Panama il 4 e in Colombia il 25 maggio - pure in Lituania, ma la data è incerta - e, lo stesso giorno, le politiche in Belgio; le presidenziali in Indonesia il 9 luglio; le presidenziali in Turchia ad agosto; le politiche in Svezia il 14 settembre; le presidenziali e politiche in Bolivia il 5 e le presidenziali in Uruguay il 26 ottobre.

In autunno poi, ci saranno elezioni presidenziali e politiche in Bosnia e a dicembre presidenziali in Romania. Senza pretesa - lo sottolineiamo - di completezza: la fonte sono le agenzie di stampa mondiali, Ap, Reuters, Afp.

Il panorama internazionale del 2014 è poi segnato dalla conferenza di pace sulla Siria (a Montreux, il 22 gennaio) e dal perfezionamento dell’accordo sul nucleare tra Iran e ‘5+1’, oltre che dai vertici di rito: il 4 giugno a Sochi in Russia il G8, il 4 settembre a Newport nel Galles il vertice della Nato, in ottobre a Pechino il vertice dell’Apec, il 15 e 16 novembre in Australia il vertice del G20. Ed entro il 31 dicembre dovrà avvenire il ritiro delle truppe da combattimento internazionali dall’Afghanistan.

Un anno noioso? C’è di che distrarsi: giochi olimpici invernali a Sochi dal 7 al 23 febbraio e mondiali di calcio in Brasile dal 12 giugno al 13 luglio. E, ancora, gli Oscar a Hollywood il 2 marzo, la finale del concorso dell’Eurovisione a Copenaghen il 10 maggio e la mostra del Cinema di Venezia dal 27 agosto.


Trenta giorni per un anno
01.01 – Ue, la Grecia assume la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue. Euro, la Lettonia entra nella moneta unica e ne diviene il 18º Stato.
14.01 – Egitto, referendum per ratificare la nuova Costituzione (anche il 15)
22.01 – Montreux (Svizzera), Siria, conferenza di pace internazionale. Il 15 marzo, saranno tre anni dall’inizio del conflitto.
22.01 – Davos (Svizzera), 44.o Forum economico mondiale (fino al 26).
07.02 – Sochi (Russia), Giochi olimpici invernali (fino al 23).
22.02 – Vaticano, primo concistoro di papa Francesco.
02.03 – Hollywood (California, Usa), Oscar, cerimonia assegnazione e consegna.
05.04 – Afghanistan, elezioni presidenziali.
11.04 – Washington, Fmi/Bm, riunioni di primavera (fino al 13).
27.04 – Vaticano, canonizzazione papi Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII.
30.04 – Iraq, elezioni legislative.
10.05 – Copenaghen, concorso Eurovisione della canzone, finale.
25.05 – Ue, elezioni europee nella maggior parte dei 28 (in alcuni, si sarà già votato il 22).
28.05 – 50º anniversario della creazione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).
04.06 – G8, Vertice a Sochi in Russia.
04.06 – 25.o anniversario della strage della piazza Tiananmen a Pechino e della morte a Teheran dell’imam Khomeiny.
12.06 – Brasile, Campionati del Mondo di Calcio (fino al 13/07).
28.06 – 100.o anniversario dell’assassinio a Sarajevo dell’arciduca d’Austria Francesco-Ferdinando, casus belli dello scoppio della Grande Guerra il 1º agosto.
01.07 – Ue, l’Italia assume la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue.
15.08 – 100º anniversario del Canale di Panama.
27.08 – Venezia, inizio della Mostra del cinema (fino al 6 settembre).
04.09 – Newport (Galles, Gran Bretagna), Vertice della Nato.
18.09 – Scozia, referendum sull’Indipendenza.
10.10 – Washington, Fmi/Bm, Vertici annuali (fino al 12).
14.10 – 50.o anniversario della destituzione di Nikita Kruscev da capo dell’Urss e del Pcus.
26.10 – Pechino, Vertice dell’Apec.
04.11 – Stati Uniti, elezioni di ‘midterm’.
09.11 – 25.o anniversario della caduta del Muro a Berlino.
15.11 – Brisbane (Australia), Vertice del G20.
31.12 - Data limite per il ritiro dall’Afghanistan delle truppe da combattimento internazionali.

Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.
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