Scozia e Catalogna Altri rischi all’orizzonte per l’Ue Ferdinando Nelli Feroci 04/02/2014 |
In un contesto europeo caratterizzato da incertezze sulle prospettive di ripresa dell’economia, fenomeni di disaffezione e contrasti fra stati membri nei confronti del progetto europeo, l’accelerazione delle richieste di indipendenza di Scozia e Catalogna grava come una ulteriore incognita sul futuro dell’Unione europea (Ue). Nonostante le similitudine, i due processi vanno differenziati.
Edimburgo verso il referendum
In Scozia il referendum è programmato per il prossimo 18 settembre. Si tratterà dell’ultimo di vari episodi che hanno segnato nel corso degli anni un rapporto fra Londra e Edimburgo caratterizzato da ricorrenti richieste di autonomia da parte della Scozia, cui Londra ha risposto con varie forme di “devolution”.
La richiesta di indipendenza, che aveva subito una accelerazione con la scoperta degli importanti giacimenti di idrocarburi al largo delle coste scozzesi (1969), è stata rilanciata in coincidenza con il successo del Partito nazionale scozzese (Scottish national party, Snp) alle elezioni locali del 2011 e si è concretizzata, poco dopo, con la convocazione di un referendum.
Oggi i sondaggi di opinione indicano che solo una quota minoritaria (intorno al 37%) dell’elettorato scozzese sembrerebbe essere in favore dell’indipendenza. Oltre il Psn, fra i partiti sono decisamente a favore dell’indipendenza frange di Socialisti e Verdi scozzesi. Contrarie le sezioni locali dei tre maggiori partiti britannici, conservatori, laburisti e liberali.
Per ora Londra non si è opposta alla richiesta di indipendenza, ma non ha perso occasione per segnalare agli elettori scozzesi i costi di un’eventuale secessione.
Nel caso di vittoria del fronte indipendentista dovrebbe aprirsi un complesso negoziato fra Londra ed Edimburgo sulle modalità, condizioni e conseguenze della dichiarazione di indipendenza. Uno scenario di questo tipo (del tutto nuovo e non previsto dai Trattati che regolano il funzionamento dell’Unione) avrebbe comunque numerose conseguenze sull’Ue.
Si tratterebbe di definire la questione dell’appartenenza o meno della Scozia indipendente all’Eurozona e il destino dei numerosi opt-out di cui oggi usufruisce in quanto parte del Regno Unito. Inoltre, bisognerebbe rinegoziare i contributi al bilancio Ue e la nuova allocazione dei fondi Ue, oltre alla distribuzione di seggi e posti nelle istituzioni.
Senza contare che il futuro della Scozia in Europa verrebbe a interferire con le prospettive di un eventuale referendum sulla partecipazione del Regno Unito all’Ue (annunciato da David Cameron, ma da confermare dopo le elezioni del 2015) con la prospettiva estrema (ma poco realistica) di uno scenario in cui il Regno Unito esce dall’Ue nel momento in cui la Scozia chiede di aderire.
Barcellona pensa all’economia
Anche la Catalogna da tempo rivendica crescente autonomia da Madrid che ha finora cercato di contenere le spinte centrifughe di Barcellona anche per evitare effetti di contagio.
Nel gennaio 2013 la Corte Costituzionale aveva dichiarato nulla e priva di effetti la dichiarazione di indipendenza e sovranità del governo catalano, dando inizio così a un braccio di ferro tra le due parti.
L’ultimo episodio di questo confronto è stata la decisione presa il 12 dicembre scorso dal governo catalano (sostenuta sia dal partito di maggioranza Convergencia y Unio che dai partiti locali di opposizione) di convocare un referendum sull’autodeterminazione della Catalogna per il prossimo 9 novembre. Madrid non ha ancora risposto ufficialmente, ma c’è da attendersi che cercherà di contrastare con ogni mezzo questa iniziativa.
Al di là delle differenze culturali e linguistiche (peraltro tutelate dallo statuto di autonomia) le motivazioni principali della richiesta di indipendenza sono di natura economica. La Catalogna, la regione più ricca della Spagna, sostiene di contribuire in maniera squilibrata al bilancio statale spagnolo e al sostegno delle regioni più povere della Spagna, ricevendo da Madrid contributi pro capite molto inferiori a quelli delle altre regioni.
A differenza della Scozia, la maggioranza dell’elettorato catalano è a favore dell’indipendenza. I partiti eletti in Catalogna sono sostanzialmente indipendentisti. Secondo gli ultimi sondaggi forniti dalle autorità di Barcellona, il 55% della popolazione sarebbe favorevole alla secessione.
A differenza del caso della Scozia, in Spagna il governo centrale ha finora opposto resistenza alle ipotesi di secessione. Si è dichiarato contrario ad accettare una dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna, facendo sapere di considerare anticostituzionale un referendum come quello convocato dalle autorità catalane.
Non interferenza Ue
Forzando la mano con i due referendum, è possibile che le autorità scozzesi e catalane (che in questa fase si identificano in due leader brillanti e carismatici come Alex Salmond e Artur Mas) intendano preparare il terreno per un negoziato con Londra e Madrid sulla revisione dei rispettivi statuti di autonomia. Anche se vincessero il referendum, il processo sarà lungo e incerto.
In Europa si è cercato finora di non interferire con queste delicate dinamiche che sono considerate di prevalente natura interna. Solo il Presidente della Commissione Manuel Barroso ha avuto occasione di ricordare che l’adesione alla Ue di nuove entità statali, che dovessero emergere in Europa per effetto di secessioni, verrebbe trattata secondo le stesse regole previste per l’adesione di altri stati terzi, sia pure con gli adattamenti del caso, trattandosi di territori che hanno finora fatto parte dell’Unione.
Quindi domanda di adesione secondo la procedura prevista dall’art. 49 del Trattato sull’Ue, esame dei criteri e successivo negoziato che presuppone l’unanimità degli stati membri.
Uno scenario di questo tipo, per quanto ipotetico e forse remoto, richiederebbe in primo luogo che l’indipendenza per secessione fosse il risultato di un accordo con i governi che subirebbero la secessione.
Solo su queste basi si potrebbe avviare un percorso tecnicamente complesso, ma politicamente fattibile, ma che comporterebbe ulteriori complicazioni (basta pensar agli effetti di contagio che potrebbe avere su altre regioni europee) per una Ue che già fatica a trovare un minimo di visione condivisa sul proprio futuro.
Ferdinando Nelli Feroci è presidente dello IAI.
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Edimburgo verso il referendum
In Scozia il referendum è programmato per il prossimo 18 settembre. Si tratterà dell’ultimo di vari episodi che hanno segnato nel corso degli anni un rapporto fra Londra e Edimburgo caratterizzato da ricorrenti richieste di autonomia da parte della Scozia, cui Londra ha risposto con varie forme di “devolution”.
La richiesta di indipendenza, che aveva subito una accelerazione con la scoperta degli importanti giacimenti di idrocarburi al largo delle coste scozzesi (1969), è stata rilanciata in coincidenza con il successo del Partito nazionale scozzese (Scottish national party, Snp) alle elezioni locali del 2011 e si è concretizzata, poco dopo, con la convocazione di un referendum.
Oggi i sondaggi di opinione indicano che solo una quota minoritaria (intorno al 37%) dell’elettorato scozzese sembrerebbe essere in favore dell’indipendenza. Oltre il Psn, fra i partiti sono decisamente a favore dell’indipendenza frange di Socialisti e Verdi scozzesi. Contrarie le sezioni locali dei tre maggiori partiti britannici, conservatori, laburisti e liberali.
Per ora Londra non si è opposta alla richiesta di indipendenza, ma non ha perso occasione per segnalare agli elettori scozzesi i costi di un’eventuale secessione.
Nel caso di vittoria del fronte indipendentista dovrebbe aprirsi un complesso negoziato fra Londra ed Edimburgo sulle modalità, condizioni e conseguenze della dichiarazione di indipendenza. Uno scenario di questo tipo (del tutto nuovo e non previsto dai Trattati che regolano il funzionamento dell’Unione) avrebbe comunque numerose conseguenze sull’Ue.
Si tratterebbe di definire la questione dell’appartenenza o meno della Scozia indipendente all’Eurozona e il destino dei numerosi opt-out di cui oggi usufruisce in quanto parte del Regno Unito. Inoltre, bisognerebbe rinegoziare i contributi al bilancio Ue e la nuova allocazione dei fondi Ue, oltre alla distribuzione di seggi e posti nelle istituzioni.
Senza contare che il futuro della Scozia in Europa verrebbe a interferire con le prospettive di un eventuale referendum sulla partecipazione del Regno Unito all’Ue (annunciato da David Cameron, ma da confermare dopo le elezioni del 2015) con la prospettiva estrema (ma poco realistica) di uno scenario in cui il Regno Unito esce dall’Ue nel momento in cui la Scozia chiede di aderire.
Barcellona pensa all’economia
Anche la Catalogna da tempo rivendica crescente autonomia da Madrid che ha finora cercato di contenere le spinte centrifughe di Barcellona anche per evitare effetti di contagio.
Nel gennaio 2013 la Corte Costituzionale aveva dichiarato nulla e priva di effetti la dichiarazione di indipendenza e sovranità del governo catalano, dando inizio così a un braccio di ferro tra le due parti.
L’ultimo episodio di questo confronto è stata la decisione presa il 12 dicembre scorso dal governo catalano (sostenuta sia dal partito di maggioranza Convergencia y Unio che dai partiti locali di opposizione) di convocare un referendum sull’autodeterminazione della Catalogna per il prossimo 9 novembre. Madrid non ha ancora risposto ufficialmente, ma c’è da attendersi che cercherà di contrastare con ogni mezzo questa iniziativa.
Al di là delle differenze culturali e linguistiche (peraltro tutelate dallo statuto di autonomia) le motivazioni principali della richiesta di indipendenza sono di natura economica. La Catalogna, la regione più ricca della Spagna, sostiene di contribuire in maniera squilibrata al bilancio statale spagnolo e al sostegno delle regioni più povere della Spagna, ricevendo da Madrid contributi pro capite molto inferiori a quelli delle altre regioni.
A differenza della Scozia, la maggioranza dell’elettorato catalano è a favore dell’indipendenza. I partiti eletti in Catalogna sono sostanzialmente indipendentisti. Secondo gli ultimi sondaggi forniti dalle autorità di Barcellona, il 55% della popolazione sarebbe favorevole alla secessione.
A differenza del caso della Scozia, in Spagna il governo centrale ha finora opposto resistenza alle ipotesi di secessione. Si è dichiarato contrario ad accettare una dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna, facendo sapere di considerare anticostituzionale un referendum come quello convocato dalle autorità catalane.
Non interferenza Ue
Forzando la mano con i due referendum, è possibile che le autorità scozzesi e catalane (che in questa fase si identificano in due leader brillanti e carismatici come Alex Salmond e Artur Mas) intendano preparare il terreno per un negoziato con Londra e Madrid sulla revisione dei rispettivi statuti di autonomia. Anche se vincessero il referendum, il processo sarà lungo e incerto.
In Europa si è cercato finora di non interferire con queste delicate dinamiche che sono considerate di prevalente natura interna. Solo il Presidente della Commissione Manuel Barroso ha avuto occasione di ricordare che l’adesione alla Ue di nuove entità statali, che dovessero emergere in Europa per effetto di secessioni, verrebbe trattata secondo le stesse regole previste per l’adesione di altri stati terzi, sia pure con gli adattamenti del caso, trattandosi di territori che hanno finora fatto parte dell’Unione.
Quindi domanda di adesione secondo la procedura prevista dall’art. 49 del Trattato sull’Ue, esame dei criteri e successivo negoziato che presuppone l’unanimità degli stati membri.
Uno scenario di questo tipo, per quanto ipotetico e forse remoto, richiederebbe in primo luogo che l’indipendenza per secessione fosse il risultato di un accordo con i governi che subirebbero la secessione.
Solo su queste basi si potrebbe avviare un percorso tecnicamente complesso, ma politicamente fattibile, ma che comporterebbe ulteriori complicazioni (basta pensar agli effetti di contagio che potrebbe avere su altre regioni europee) per una Ue che già fatica a trovare un minimo di visione condivisa sul proprio futuro.
Ferdinando Nelli Feroci è presidente dello IAI.
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