Calo della natalità Se anche il mondo islamico invecchia Amedeo Maddaluno 23/01/2014 |
Il fenomeno della contrazione della natalità nel mondo islamico, con tutte le sue conseguenze sul piano economico, della stabilità e dei flussi migratori futuri risulta tutt’oggi oscurato dalle analisi socioeconomiche sull’altro grande fenomeno della demografia moderna che è l’invecchiamento dell’Europa.
Nel mondo islamico e nel mondo arabo la transizione demografica è però un fatto. Secondo dati delle Nazioni Unite relativi ai due lustri campione 1975-80 e 2005-10, la fertilità complessiva del pianeta è calata del 35% circa. Quella dei paesi dove l’Islam è la religione maggioritaria, del 40% circa. Nel lustro 2005-2010, l’Iran presenta una natalità di 1,8 figli per donna, la Turchia di 2,1 e l’Egitto di 2,8, livelli ben diversi dai rispettivi più di 6, più di 4,5 e più di 5,5 del lustro ’75-’80.
Meno figlio per tutti
Il caso della tendenzialmente laica Tunisia è particolarmente interessante: nei due quinquenni di riferimento è passata da più di 5,5 a circa 2,5 figli per donna. Nel meno laico Oman si è passati da poco più di 8 a meno di 3 figli per donna. Siamo davanti a un calo della fertilità approssimativamente del 60%, un dato che colpisce, in quanto più incisivo di quello vissuto in Europa nello stesso periodo.
Un’analisi basata sui soli dati relativi alla natalità assoluta e all’aumento demografico netto complessivo sarebbero fuorvianti. Nei paesi dove l’Islam è religione maggioritaria nascono tendenzialmente più figli che in Occidente. Non solo: sono società dove i comportamenti riproduttivi dei decenni passati comportavano una natalità ancora più alta.
Il risultato complessivo ci presenta società molto più giovani di quelle europee, dove quindi vi sono più donne in età riproduttiva e quindi anche il potenziale demografico è maggiore. La reclusione della donna ai ruoli domestici nonché la minor diffusione del benessere che comporta minori investimenti sull’istruzione dei figli hanno influito e influiscono sugli aspetti demografici.
Più disoccupati ovunque
Tale immagine è però incompleta se non vista in prospettiva. Nelle società islamiche la fertilità sta calando e a ritmi rapidi. Il gran numero di giovani è spesso corrispondente ad un gran numero di disoccupati, non in condizione di creare un nucleo famigliare ed anzi propensi a immigrare ritardando l’età matrimoniale.
Il benessere economico complessivo e gli investimenti nell’istruzione, specie in quella femminile, sono cresciuti andando a costituire un quadro sociale in mutamento che spiega il forte cambiamento dei comportamenti riproduttivi delle società islamiche.
Attualmente le società del mondo islamico sono quindi società giovani, caratterizzate da una tendenza a un aumento demografico complessivo nel medio-breve termine, da una certa tendenza alla mobilità dei flussi migratori e all’instabilità politica: molti giovani desiderosi di benessere, ma costretti a competere per pochi posti di lavoro.
Proprio questo quadro rimanda a una società che già oggi affronta un consistente calo delle nascite, che nel medio-lungo termine potrebbe attenuare i propri flussi migratori verso il mondo occidentale e diventare nel complesso più stabile. Il livello demografico può aiutare appunto a spiegare, e forse a prevedere, le diverse reazioni delle società europee e quelle arabo-islamiche all’attuale situazione di disagio economico.
Risposte al disagio
Le anziane società europee tendono a reagire al disagio economico, mutando il proprio comportamento elettorale e virandolo verso movimenti di protesta o comunque avversi all’integrazione dei singoli stati nell’Unione Europea e all’immigrazione. Facendo leva sulla paura data dalla perdita del benessere e sulla minaccia dell’insicurezza, le società europee si oppongono alle influenze esterne.
La violenza gioca ruoli diversi nei contrasti sociali delle società più giovani. La violenza terroristica e di piazza ha caratterizzato l’Europa dei decenni successivi al baby boom come caratterizza oggi - e, possiamo spingerci a prevedere, continuerà a caratterizzare fino a transizione demografica avvenuta - le giovani società arabo-islamiche, dotate di maggiori energie rivendicative.
Per trarre alcune considerazioni dal lato strategico e della sicurezza, non deve stupire il permanere di esplosioni di violenza nel mondo islamico - inclusa la rivitalizzazione del fenomeno qaedista.
Per quanto riguarda il futuro delle tendenze demografiche nella ummah, comunità islamica, tutto dipenderà dal permanere dei fattori che hanno finora guidato il mutamento di quei quadri sociali: aumento del livello di benessere e di vita, aumento dell’istruzione complessiva e di quella femminile, desiderio di maggior benessere ed autorealizzazione da parte dei giovani.
Nel complesso, i secondi due fattori sembrano i più resistenti e influenzano il primo, messo in discussione invece dall’instabilità politica come nel caso egiziano e dalla pressione demografica attuale.
Amedeo Maddaluno è analista geopolitico.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2514#sthash.udVc7QIh.dpuf
Nel mondo islamico e nel mondo arabo la transizione demografica è però un fatto. Secondo dati delle Nazioni Unite relativi ai due lustri campione 1975-80 e 2005-10, la fertilità complessiva del pianeta è calata del 35% circa. Quella dei paesi dove l’Islam è la religione maggioritaria, del 40% circa. Nel lustro 2005-2010, l’Iran presenta una natalità di 1,8 figli per donna, la Turchia di 2,1 e l’Egitto di 2,8, livelli ben diversi dai rispettivi più di 6, più di 4,5 e più di 5,5 del lustro ’75-’80.
Meno figlio per tutti
Il caso della tendenzialmente laica Tunisia è particolarmente interessante: nei due quinquenni di riferimento è passata da più di 5,5 a circa 2,5 figli per donna. Nel meno laico Oman si è passati da poco più di 8 a meno di 3 figli per donna. Siamo davanti a un calo della fertilità approssimativamente del 60%, un dato che colpisce, in quanto più incisivo di quello vissuto in Europa nello stesso periodo.
Un’analisi basata sui soli dati relativi alla natalità assoluta e all’aumento demografico netto complessivo sarebbero fuorvianti. Nei paesi dove l’Islam è religione maggioritaria nascono tendenzialmente più figli che in Occidente. Non solo: sono società dove i comportamenti riproduttivi dei decenni passati comportavano una natalità ancora più alta.
Il risultato complessivo ci presenta società molto più giovani di quelle europee, dove quindi vi sono più donne in età riproduttiva e quindi anche il potenziale demografico è maggiore. La reclusione della donna ai ruoli domestici nonché la minor diffusione del benessere che comporta minori investimenti sull’istruzione dei figli hanno influito e influiscono sugli aspetti demografici.
Più disoccupati ovunque
Tale immagine è però incompleta se non vista in prospettiva. Nelle società islamiche la fertilità sta calando e a ritmi rapidi. Il gran numero di giovani è spesso corrispondente ad un gran numero di disoccupati, non in condizione di creare un nucleo famigliare ed anzi propensi a immigrare ritardando l’età matrimoniale.
Il benessere economico complessivo e gli investimenti nell’istruzione, specie in quella femminile, sono cresciuti andando a costituire un quadro sociale in mutamento che spiega il forte cambiamento dei comportamenti riproduttivi delle società islamiche.
Attualmente le società del mondo islamico sono quindi società giovani, caratterizzate da una tendenza a un aumento demografico complessivo nel medio-breve termine, da una certa tendenza alla mobilità dei flussi migratori e all’instabilità politica: molti giovani desiderosi di benessere, ma costretti a competere per pochi posti di lavoro.
Proprio questo quadro rimanda a una società che già oggi affronta un consistente calo delle nascite, che nel medio-lungo termine potrebbe attenuare i propri flussi migratori verso il mondo occidentale e diventare nel complesso più stabile. Il livello demografico può aiutare appunto a spiegare, e forse a prevedere, le diverse reazioni delle società europee e quelle arabo-islamiche all’attuale situazione di disagio economico.
Risposte al disagio
Le anziane società europee tendono a reagire al disagio economico, mutando il proprio comportamento elettorale e virandolo verso movimenti di protesta o comunque avversi all’integrazione dei singoli stati nell’Unione Europea e all’immigrazione. Facendo leva sulla paura data dalla perdita del benessere e sulla minaccia dell’insicurezza, le società europee si oppongono alle influenze esterne.
La violenza gioca ruoli diversi nei contrasti sociali delle società più giovani. La violenza terroristica e di piazza ha caratterizzato l’Europa dei decenni successivi al baby boom come caratterizza oggi - e, possiamo spingerci a prevedere, continuerà a caratterizzare fino a transizione demografica avvenuta - le giovani società arabo-islamiche, dotate di maggiori energie rivendicative.
Per trarre alcune considerazioni dal lato strategico e della sicurezza, non deve stupire il permanere di esplosioni di violenza nel mondo islamico - inclusa la rivitalizzazione del fenomeno qaedista.
Per quanto riguarda il futuro delle tendenze demografiche nella ummah, comunità islamica, tutto dipenderà dal permanere dei fattori che hanno finora guidato il mutamento di quei quadri sociali: aumento del livello di benessere e di vita, aumento dell’istruzione complessiva e di quella femminile, desiderio di maggior benessere ed autorealizzazione da parte dei giovani.
Nel complesso, i secondi due fattori sembrano i più resistenti e influenzano il primo, messo in discussione invece dall’instabilità politica come nel caso egiziano e dalla pressione demografica attuale.
Amedeo Maddaluno è analista geopolitico.
Nessun commento:
Posta un commento