Armi chimiche in Siria Gioia Tauro, l’anello italiano del disarmo mondiale Carlo Trezza 21/01/2014 |
Nella tragedia infinita della guerra civile in Siria l'unico elemento virtuoso è rappresentato dall'adesione siriana alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche e dalla conseguente distruzione, attualmente in corso, dell'arsenale che Damasco ha riconosciuto di detenere.
Rivincita del multilateralismo
Oltre a stemperare - ma purtroppo non a risolvere - la crisi siriana, l'intesa raggiunta costituisce una rivincita del multilateralismo internazionale. Non tutti ricordano che dieci anni fa il termine "multilateralismo" era divenuto un anatema e che all'Assemblea generale dell'Onu vi fu una guerra di religione per metterlo al bando.
La diatriba era sorta successivamente alla seconda guerra del Golfo, quando l'amministrazione Bush si oppose a una soluzione multilaterale della crisi irachena, mostrando la volontà di utilizzare a ogni costo le forze che erano state ammassate ai confini dell'Iraq. A nulla erano servite le ispezioni delle Nazioni Unite che non avevano evidenziato il ritrovamento di armi di distruzioni di massa.
Con la crisi siriana è successo l'esatto contrario. Le armi siriane c'erano davvero. Il Presidente russo Vladimir Putin e i suoi sostenitori cinesi hanno finito per arrendersi all'evidente necessità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, mentre il Presidente statunitense Barack Obama, a differenza dal suo predecessore dal "grilletto facile", ha avuto la saggezza di rinunciare a un'azione militare nella quale si era originariamente fatto implicare.
Le autorità siriane dal canto loro si sono piegate al diktat internazionale. Occorre riconoscere il merito di questi protagonisti, ma bisogna anche dare credito alle strutture multilaterali che hanno svolto un ruolo chiave nella realizzazione di questa virtuosa operazione.
Collaborazione internazionale
Approvando la risoluzione, il Consiglio di sicurezza ha svolto correttamente il suo ruolo nel porre le basi giuridiche dell'iniziativa e affermandone la legittimità. L'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo guidato dalla tedesca Angela Kane, è riuscito ad accertare - correndo enormi rischi e sotto le bombe - l'effettivo impiego delle armi chimiche.
L'adesione siriana alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche è avvenuta con sorprendente tempestività. Sotto la guida del diplomatico turco Ahmet Üzümcü, l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Opac, sta ora conducendo in tempi record la complessa operazione di distruzione di tale arsenale.
Il completamento dell'iniziativa richiede però la collaborazione generosa dell'intera comunità internazionale e in questo contesto va valutato il dibattito sul contributo italiano. Non è stato uno spettacolo edificante vedere paesi rinviarsi continuamente l'onere di distruggere sul proprio territorio il materiale chimico dismesso. Sono dovuti intervenire gli Stati Uniti, inventando l'originale soluzione dello smaltimento in acque internazionali a bordo della nave Cape Ray, per sventare il rischio che l'intera operazione rimanesse lettera morta.
Ruolo Italiano
Bene hanno fatto Danimarca e Norvegia a porre a disposizione due unità navali per il trasporto del carico. La Germania si è impegnata all'incenerimento sul proprio territorio dei residui che risulteranno dal trattamento dell'Iprite siriana che avverrà a bordo della Cape Ray. E bene ha fatto anche l'Italia a farsi carico nel trasbordo nel porto di Gioia Tauro del materiale da distruggere.
Se si riuscirà a chiudere definitivamente il capitolo delle armi chimiche siriane si sarà fatto un passo importante nel Medio Oriente. Le armi chimiche erano, e rimangono, una componente importante dello scenario. Furono intensamente utilizzate da Saddam Hussein nella guerra contro l'Iran all'inizio degli anni ‘80 e contro la propria minoranza curda. Si ritiene siano state utilizzate dall'Egitto nel suo intervento nello Yemen nel 1967.
Il loro recente impiego in Siria, colpendo popolazioni civili, conferma che si tratta di un'arma di terrore che poco serve a fini militari e di deterrenza. Con l'adesione siriana alla Convenzione, gli unici paesi dell'area che non hanno rinunciato alle armi chimiche sono Egitto e Israele.
La palla si trova decisamente nel loro campo e una loro risposta positiva darebbe impulso alla realizzazione di un altro progetto di cui si discute dal 2010: quello di una Zona priva di armi distruzione di massa e loro vettori nel Medio Oriente.
Il trasbordo di Gioia Tauro è parte di un progetto multilaterale di più ampio respiro. Sarebbe una iattura se dovessero esservi ripensamenti dell'ultima ora. Si comprometterebbe l'intera operazione, si incrinerebbe la rinascita del multilateralismo e si porrebbe a repentaglio la credibilità dell'Italia.
L'Ambasciatore Carlo Trezza è presidente designato del Missile Technology Control Regime, è stato Ambasciatore presso la Repubblica di Corea, Rappresentante Permanente per il Disarmo a Ginevra e membro della delegazione italiana alla Conferenza istitutiva della Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2512#sthash.SdPh3cB9.dpuf
Rivincita del multilateralismo
Oltre a stemperare - ma purtroppo non a risolvere - la crisi siriana, l'intesa raggiunta costituisce una rivincita del multilateralismo internazionale. Non tutti ricordano che dieci anni fa il termine "multilateralismo" era divenuto un anatema e che all'Assemblea generale dell'Onu vi fu una guerra di religione per metterlo al bando.
La diatriba era sorta successivamente alla seconda guerra del Golfo, quando l'amministrazione Bush si oppose a una soluzione multilaterale della crisi irachena, mostrando la volontà di utilizzare a ogni costo le forze che erano state ammassate ai confini dell'Iraq. A nulla erano servite le ispezioni delle Nazioni Unite che non avevano evidenziato il ritrovamento di armi di distruzioni di massa.
Con la crisi siriana è successo l'esatto contrario. Le armi siriane c'erano davvero. Il Presidente russo Vladimir Putin e i suoi sostenitori cinesi hanno finito per arrendersi all'evidente necessità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, mentre il Presidente statunitense Barack Obama, a differenza dal suo predecessore dal "grilletto facile", ha avuto la saggezza di rinunciare a un'azione militare nella quale si era originariamente fatto implicare.
Le autorità siriane dal canto loro si sono piegate al diktat internazionale. Occorre riconoscere il merito di questi protagonisti, ma bisogna anche dare credito alle strutture multilaterali che hanno svolto un ruolo chiave nella realizzazione di questa virtuosa operazione.
Collaborazione internazionale
Approvando la risoluzione, il Consiglio di sicurezza ha svolto correttamente il suo ruolo nel porre le basi giuridiche dell'iniziativa e affermandone la legittimità. L'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo guidato dalla tedesca Angela Kane, è riuscito ad accertare - correndo enormi rischi e sotto le bombe - l'effettivo impiego delle armi chimiche.
L'adesione siriana alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche è avvenuta con sorprendente tempestività. Sotto la guida del diplomatico turco Ahmet Üzümcü, l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Opac, sta ora conducendo in tempi record la complessa operazione di distruzione di tale arsenale.
Il completamento dell'iniziativa richiede però la collaborazione generosa dell'intera comunità internazionale e in questo contesto va valutato il dibattito sul contributo italiano. Non è stato uno spettacolo edificante vedere paesi rinviarsi continuamente l'onere di distruggere sul proprio territorio il materiale chimico dismesso. Sono dovuti intervenire gli Stati Uniti, inventando l'originale soluzione dello smaltimento in acque internazionali a bordo della nave Cape Ray, per sventare il rischio che l'intera operazione rimanesse lettera morta.
Ruolo Italiano
Bene hanno fatto Danimarca e Norvegia a porre a disposizione due unità navali per il trasporto del carico. La Germania si è impegnata all'incenerimento sul proprio territorio dei residui che risulteranno dal trattamento dell'Iprite siriana che avverrà a bordo della Cape Ray. E bene ha fatto anche l'Italia a farsi carico nel trasbordo nel porto di Gioia Tauro del materiale da distruggere.
Se si riuscirà a chiudere definitivamente il capitolo delle armi chimiche siriane si sarà fatto un passo importante nel Medio Oriente. Le armi chimiche erano, e rimangono, una componente importante dello scenario. Furono intensamente utilizzate da Saddam Hussein nella guerra contro l'Iran all'inizio degli anni ‘80 e contro la propria minoranza curda. Si ritiene siano state utilizzate dall'Egitto nel suo intervento nello Yemen nel 1967.
Il loro recente impiego in Siria, colpendo popolazioni civili, conferma che si tratta di un'arma di terrore che poco serve a fini militari e di deterrenza. Con l'adesione siriana alla Convenzione, gli unici paesi dell'area che non hanno rinunciato alle armi chimiche sono Egitto e Israele.
La palla si trova decisamente nel loro campo e una loro risposta positiva darebbe impulso alla realizzazione di un altro progetto di cui si discute dal 2010: quello di una Zona priva di armi distruzione di massa e loro vettori nel Medio Oriente.
Il trasbordo di Gioia Tauro è parte di un progetto multilaterale di più ampio respiro. Sarebbe una iattura se dovessero esservi ripensamenti dell'ultima ora. Si comprometterebbe l'intera operazione, si incrinerebbe la rinascita del multilateralismo e si porrebbe a repentaglio la credibilità dell'Italia.
L'Ambasciatore Carlo Trezza è presidente designato del Missile Technology Control Regime, è stato Ambasciatore presso la Repubblica di Corea, Rappresentante Permanente per il Disarmo a Ginevra e membro della delegazione italiana alla Conferenza istitutiva della Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche.
Nessun commento:
Posta un commento