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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

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giovedì 3 luglio 2014

Siria: verso la positiva conclusione del disarmo

Armi chimiche in Siria
Gioia Tauro, l’anello italiano del disarmo mondiale
Carlo Trezza
02/07/2014
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Nella tragedia infinita della guerra civile in Siria l'unico elemento virtuoso è stato rappresentato dall'adesione siriana alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche e dalla conseguente distruzione dell'arsenale che Damasco ha riconosciuto di detenere. Fase centrale di questo processo è stato il trasbordo dei container in cui sono chiusi i micidiali agenti chimici nel porto di Gioia Tauro.

Rivincita del multilateralismo
Oltre a stemperare - ma purtroppo non a risolvere - la crisi siriana, l'intesa raggiunta costituisce una rivincita del multilateralismo internazionale. Non tutti ricordano che dieci anni fa il termine "multilateralismo" era divenuto un anatema e che all'Assemblea generale dell'Onu vi fu una guerra di religione per metterlo al bando.

La diatriba era sorta successivamente alla seconda guerra del Golfo, quando l'amministrazione Bush si oppose a una soluzione multilaterale della crisi irachena, mostrando la volontà di utilizzare a ogni costo le forze che erano state ammassate ai confini dell'Iraq. A nulla erano servite le ispezioni delle Nazioni Unite che non avevano evidenziato il ritrovamento di armi di distruzioni di massa.

Con la crisi siriana è successo l'esatto contrario. Le armi siriane c'erano davvero. Il Presidente russo Vladimir Putin e i suoi sostenitori cinesi hanno finito per arrendersi all'evidente necessità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, mentre il Presidente statunitense Barack Obama, a differenza dal suo predecessore dal "grilletto facile", ha avuto la saggezza di rinunciare a un'azione militare nella quale si era originariamente fatto implicare.

Le autorità siriane dal canto loro si sono piegate al diktat internazionale. Occorre riconoscere il merito di questi protagonisti, ma bisogna anche dare credito alle strutture multilaterali che hanno svolto un ruolo chiave nella realizzazione di questa virtuosa operazione.

Collaborazione internazionale
Approvando la risoluzione, il Consiglio di sicurezza ha svolto correttamente il suo ruolo nel porre le basi giuridiche dell'iniziativa e affermandone la legittimità. L'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo guidato dalla tedesca Angela Kane, è riuscito ad accertare - correndo enormi rischi e sotto le bombe - l'effettivo impiego delle armi chimiche.

L'adesione siriana alla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche è avvenuta con sorprendente tempestività. Sotto la guida del diplomatico turco Ahmet Üzümcü, l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Opac, sta ora conducendo in tempi record la complessa operazione di distruzione di tale arsenale.

Il completamento dell'iniziativa ha richiesto però la collaborazione generosa dell'intera comunità internazionale e in questo contesto va valutato il dibattito sul contributo italiano. Non è stato uno spettacolo edificante vedere paesi rinviarsi continuamente l'onere di distruggere sul proprio territorio il materiale chimico dismesso. Sono dovuti intervenire gli Stati Uniti, inventando l'originale soluzione dello smaltimento in acque internazionali a bordo della nave Cape Ray, per sventare il rischio che l'intera operazione rimanesse lettera morta.

Ruolo Italiano
Bene hanno fatto Danimarca e Norvegia a porre a disposizione due unità navali per il trasporto del carico. La Germania si è impegnata all'incenerimento sul proprio territorio dei residui che risulteranno dal trattamento dell'Iprite siriana che avverrà a bordo della Cape Ray. E bene ha fatto anche l'Italia a farsi carico nel trasbordo nel porto di Gioia Tauro del materiale da distruggere.

Se si riuscirà a chiudere definitivamente il capitolo delle armi chimiche siriane si sarà fatto un passo importante nel Medio Oriente. Le armi chimiche erano, e rimangono, una componente importante dello scenario. Furono intensamente utilizzate da Saddam Hussein nella guerra contro l'Iran all'inizio degli anni ‘80 e contro la propria minoranza curda. Si ritiene siano state utilizzate dall'Egitto nel suo intervento nello Yemen nel 1967.

Il loro recente impiego in Siria, colpendo popolazioni civili, conferma che si tratta di un'arma di terrore che poco serve a fini militari e di deterrenza. Con l'adesione siriana alla Convenzione, gli unici paesi dell'area che non hanno rinunciato alle armi chimiche sono Egitto e Israele.

La palla si trova decisamente nel loro campo e una loro risposta positiva darebbe impulso alla realizzazione di un altro progetto di cui si discute dal 2010: quello di una Zona priva di armi distruzione di massa e loro vettori nel Medio Oriente.

Il trasbordo di Gioia Tauro è stato parte di un progetto multilaterale di più ampio respiro. Ripensamenti dell'ultima ora sarebbe stata una iattura. Si sarebbe compromessa l'intera operazione, si sarebbe incrinerebbe la rinascita del multilateralismo e si sarebbe messa a repentaglio la credibilità dell'Italia.

L'Ambasciatore Carlo Trezza è presidente designato del Missile Technology Control Regime, è stato Ambasciatore presso la Repubblica di Corea, Rappresentante Permanente per il Disarmo a Ginevra e membro della delegazione italiana alla Conferenza istitutiva della Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche.
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I Settemana diLuglio 2014

Oggetto Newsletter : Relazioni italo-tedesche, Israele in lutto, Gioia Tauro
Newsletter n° 326 , 3 luglio 2014
 

L'uccisione dei tre giovani israeliani potrebbe riaprire il vaso di Pandora
      del conflitto israelo-palestinese. L'ennesima miccia,
in un Medio Oriente che assiste al deterioramento dell'Iraq.
 L'avanzata dell'Isil condurrà a una guerra settaria regionale?
L'inizio della presidenza italiana del Consiglio dell'Ue è stato
 preceduto dal dibattito sulle relazioni tra Roma e Berlino.
Renzi riuscirà a curare la sindrome tedesca della slealtà italiana?
 
Note ed informazioni:studentiecultori2009@libero.it

martedì 1 luglio 2014

I Settimana diLuglio

Oggetto Newsletter : Presidenza italiana Ue, Tajani-Governo, Medio Oriente
Newsletter n° 325 , 1 luglio 2014
 

Trovato l'accordo sul presidente della Commissione europea, continua a tener banco
 il dibattito sul rapporto tra crescita e rispetto dei parametri Ue.
Alla vigilia del semestre di presidenza italiana alla guida del Consiglio dell'Ue,
 quali sono i margini di flessibilità che l'Italia può chiedere all'Europa?
Mentre la crisi irachena rimette al centro la questione curda, dal Cairo arriva
 la notizia della condanna dei tre giornalisti di Al-Jazeera.
Quale è il prezzo della stabilità egiziana?
La newletters e messa a disposizione di Frequentatori e Studenti

Europa: il semestre italiano e le novità sul tappeto

Presidenza italiana dell’Ue
Se la politica estera europea parlasse italiano
Nicoletta Pirozzi
30/06/2014
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Le negoziazioni in corso per l’assegnazione delle principali cariche europee vedono l’Italia candidata, nella persona dell’attuale ministro degli esteri Federica Mogherini, a guidare la politica estera europea per il prossimo quinquennio.

Se questa ipotesi non dovesse realizzarsi, è comunque previsto che durante la presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea (Ue) l’Italia avrà la possibilità di dare il proprio impulso all’azione esterna dell’Ue e di affermare la propria agenda di priorità.

Azione esterna dell’Ue
In quest’ottica, appare meno singolare la scelta del governo italiano di inserire nel programma della presidenza una parte dedicata alla politica estera, di sicurezza e di difesa, materie che le innovazioni di Lisbona hanno sottratto alle competenze della presidenza di turno semestrale e consegnato nelle mani delle figure istituzionali dell’Ue, in particolare all’Alto rappresentante e al Presidente del consiglio europeo.

Il programma della Presidenza, sotto embargo fino alla presentazione al Parlamento europeo il prossimo 2 luglio, prevede non solo i capitoli “Crescita e occupazione” e “Cittadinanza e diritti”, ma anche uno dedicato all’“Europa nel mondo”.

Il rafforzamento della posizione europea sulla scena internazionale viene infatti considerato prodromico alle politiche di crescita, occupazione e innovazione che dovrebbero restituire forza al modello di integrazione europea.

Mediterraneo cuore non più frontiera
Non stupisce che il programma presenti il primo vicinato europeo, e in particolare il Mediterraneo, come l’area di interesse cruciale per l’Ue. Il Mediterraneo inteso come cuore - e non più come frontiera - dell’Europa diventa il fulcro di una serie di azioni che possano garantire sicurezza e sviluppo dalla sponda sud a quella nord e viceversa.

Le priorità del programma italiano per il Mediterraneo non si distinguono certo per carattere innovativo, tranne alcune eccezioni, ma rappresentano il meritorio tentativo di disegnare un approccio strategico e integrato per l’Ue.

In particolare, cambia l’ottica in cui si percepisce e interpreta il fenomeno migratorio, con un ruolo positivo assegnato all’immigrazione regolare e una maggiore domanda di solidarietà europea per le politiche di asilo, mentre si cerca di individuare nuove strategie per la lotta all’immigrazione clandestina.

In termini di proposte operative, l’Italia punterà a un rafforzamento dell’agenzia europea Frontex e della Task Force Mediterraneo per la protezione delle frontiere marittime, ma anche all’attuazione delle linee guida strategiche cosiddette “post-Stoccolma” in materia di immigrazione e asilo approvate dal Consiglio europeo del 26 giugno scorso.

Accanto a queste proposte che si concentrano sulla gestione dell’emergenza migratoria, il programma contiene anche azioni a più lungo termine che mirano a rafforzare i rapporti con i paesi del nord Africa in settori diversi che vanno dall’energia (pacchetto clima-energia), alla pesca (follow up della Strategia marittima dell’Ue collegata alla crescita blu)e alla cultura (Anna Lindh Foundation for the Intercultural Dialogue).

La rivitalizzazione di contestati progetti come l’Unione per il Mediterraneo sarà affiancata da nuove iniziative, come quella italo-greca a favore della sponda sud del Mediterraneo denominata Amici.

Viene rafforzata l’immagine del Mediterraneo come cinghia di trasmissione con il continente africano, dalla turbolenta regione del Sahel all’africa sub sahariana in crescita.

Da una parte, si punta a rafforzare i rapporti, inclusi quelli economici ed energetici, con i paesi dell’Africa occidentale (Processo di Rabat) e del Corno d’Africa. Dall’altra, si cerca di arrivare alle cause prime del fenomeno migratorio, garantendo maggiore sicurezza nei paesi d’origine.

In questo contesto si colloca l’accento posto sulla politica di sicurezza e di gestione dei confini in Libia, per la quale l’Italia continua a giocare un ruolo determinante, da attuare in stretta collaborazione con le Nazioni Unite e utilizzando tutti i canali di penetrazione, inclusi quelli offerti dalla presenza sul territorio di grandi aziende come l’Eni.

Allargamento e politica commerciale
Anche se il Mediterraneo sarà al centro dell’attenzione, il rilancio del dialogo con la Russia sarà comunque all’ordine del giorno, anche nell’ottica di un rafforzamento del partenariato strategico con l’Ue.

Le negoziazioni per il completamento dell’allargamento ai Balcani occidentali e per l’adesione della Turchia dovrebbero ricevere un impulso decisivo.

Neanche gli aspetti esterni della politica commerciale saranno trascurati: un’attenzione particolare sarà dedicata alla dimensione nord atlantica, in vista della conclusione di accordi con gli Stati Uniti (Ttip) e il Canada, e di nuovo alla sponda sud del Mediterraneo (Deep and comprehensive free trade agreement).

L’agenda italiana di politica estera ha creato qualche mal di pancia a Bruxelles, in particolare tra i corridoi del giovane servizio diplomatico europeo, che ha rivendicato il suo ruolo primario nell’attuazione dell’azione internazionale dell’Ue.

L’Italia ha indubbiamente spazi di manovra limitati per portare a compimento la sua agenda in questo delicato settore, ma nella staffetta politica dei prossimi mesi questo programma potrebbe rappresentare un testimone che i nuovi vertici europei difficilmente potranno lasciar cadere.
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Giugno Terza Settimana.

Le notizie della settimana in 10 righe


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di Niccolò Locatelli
RUBRICA IL MONDO OGNI SETTIMANA Se negli ultimi 7 giorni è successo qualcosa di importante, se ne parla qui. Con link per approfondire.

La rubrica continua su facebook e twitter

[Carta di Laura Canali]
Iraq Mentre Isis avanza, gli sciiti si mostrano armati. Obama non esclude bombardamenti aerei [la chiave sono le spie] né la cooperazione con l'Iran.

Ucraina La Russia taglia il gas, avvicina le truppe. Poroshenko ha un piano di pace.

La Cina vuole internazionalizzare lo yuan, la City di Londra è lieta di dare una mano.


Crisi Argentina di nuovo a rischio default. Israele-Palestina: i 3 ragazzi rapiti sono un pretesto. Venezuela: Giordani, pupillo di Chávez, non è più ministro; l'ha presa male.


Disgeli Uk-Iran: il Regno Unito riaprirà l'ambasciata a Teheran. Usa-Brasile: visita di Biden [#nuovoLimes: Mai alleati degli yankees]. Ecuador-mercati finanziari: il ritorno.

Elezioni In Colombia rivince Santos. Problemi col voto in Afghanistan.

Carta finale: I rifugiati nel mondo: oltre 50 milioni, record dalla II Guerra Mondiale.

Il mondo ogni settimana è una rubrica che cerca di analizzare gli eventi più interessanti (non necessariamente i più popolari) dell'attualità internazionale, privilegiando temi geopolitici ed economici. Questa puntata riguarda i giorni tra il 14 e il 21 giugno 2014. Per leggere le puntate precedenti clicca qui; la rubrica è anche su rss, facebook e twitter (profilo dell'autore).
(21/06/2014)
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Verso figure di rilievo: La UE alla ricerca di personalità

Nomine europee
Identikit per il ministro degli esteri Ue
Gianni Bonvicini
24/06/2014
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Il valzer delle indiscrezioni e negoziati sui nomi dei candidati alle massime cariche dell’Unione europea (Ue) si è concentrato essenzialmente sul Presidente della Commissione, del Consiglio europeo e del Parlamento di Strasburgo. Solo in questi ultimi giorni l’attenzione si è spostata sull’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune.

In Italia se ne parla soprattutto per l’indiscrezione su una possibile candidatura del Ministro degli esteri Federica Mogherini, altrove per il gusto del gioco delle caselle da riempire, in un’ottica di lottizzazione nazional-partitica. Questa visione di corto respiro è davvero stupefacente, poiché la carica di Alto Rappresentante ha un potenziale enorme per il futuro dell’Ue: se ben sfruttato può offrire all’Europa un elemento non secondario di ulteriore integrazione politica.

Compiti dell’Alto rappresentante
Forse è bene ricordare che cosa significhi oggi fare l’Alto rappresentate. Il Trattato di Lisbona, come è ben noto, ha innovato profondamente, con il Titolo V°, i meccanismi della politica estera e di sicurezza. In breve, l’Alto rappresentante ha la responsabilità quasi esclusiva per la gestione delle politiche e azioni nel campo delle relazioni internazionali, della sicurezza e anche della difesa dell’Ue.

Presiede in modo continuativo, per cinque anni, il Consiglio affari esteri: il che significa gestirne l’agenda, proporre iniziative, individuare le priorità.

Ha poi a disposizione un notevole apparato burocratico, il Servizio europeo per l’azione esterna, Seae, composto oggi da oltre 3mila unità (ma in crescita fino al limite di 6/7 mila) provenienti dai ministeri nazionali, dalla Commissione e dal Consiglio: un apparato diplomatico barocco, che non è facile far lavorare in modo coerente, anche a causa delle contese fra le tre diverse anime che lo compongono.

L'Alto rappresentante si occupa direttamente anche dell’Eda, l’agenzia per la difesa europea, nucleo cruciale per il coordinamento fra le diverse difese nazionali nel campo strategico e industriale.

Ha poi il comando delle missioni civili e militari dell’Ue nelle varie aree di crisi. E infine, per completare il quadro, è anche vicepresidente della Commissione con il compito di assicurare la coerenza fra la politica estera in senso stretto e le altre politiche esterne dell’Ue che giocano un ruolo non secondario nel proiettare l’immagine dell’Europa nel mondo.

Gestione crisi internazionali
Una missione impossibile, verrebbe da dire, anche perché tutti questi poteri sono in gran parte sulla carta, dal momento che gli stati mantengono gelosamente nelle loro mani un diritto di veto e interposizione che frena, quando non blocca, l’azione dell’Alto rappresentante.

Lo si vede quando il gioco internazionale si fa duro e cioè nella gestione delle grandi crisi, dalla Siria all’Ucraina, dalla Libia all’Iraq: l’Alto rappresentante normalmente scompare. Lo si è sperimentato con Xavier Solana alcuni anni fa nel caso della Georgia. E ancor più con Catherine Ashton che pure godeva delle nuove regole e dei nuovi poteri stabiliti dal Trattato di Lisbona.

A trattare sull’Ucraina con il presidente russo Vladimir Putin o con il suo ministro degli esteri Sergei Lavrov ci pensano Angela Merkel o David Cameron, non certo Ashton.

L'incarico di Alto rappresentante impone quindi una continua battaglia contro l’arroganza e l’ingerenza dei governi dei grandi paesi e richiede una notevole velocità di azione e di iniziativa per anticiparne le mosse.

Vicinato europeo in ebollizione
Va ancora una volta ribadito che il futuro dell’Ue si giocherà moltissimo sullo scacchiere internazionale. Infatti, mentre in questi ultimi anni l’Europa si è quasi unicamente concentrata sulla gestione della crisi economico-finanziaria, intorno a noi il mondo è profondamente cambiato.

Rispetto al 2009, anno di inizio dei guai dell’euro, il nostro Vicinato è oggi quasi irriconoscibile: Mediterraneo, Africa subsahariana, Medio Oriente, Caucaso meridionale e Russia si sono trasformati in un arco di crisi potenzialmente destabilizzante per l'Ue.

A preoccupare è l’assenza di strategie e azioni concrete da parte dell’Unione in quanto tale.

Centralità politica estera europea
La scelta dell’Alto rappresentante è quindi di importanza cruciale, molto più di alcune altre cariche oggi in discussione. Ci saremmo aspettati un’analisi puntuale della job description e delle sfide future, fatta con la stessa intensità e approfondito dibattito che ha riguardato la figura del Presidente della Commissione.

Si dovrà scegliere un candidato all’altezza della sfida, giovane o vecchio che sia, e al contempo decidere una volta per tutte di collocare la politica estera e di difesa al centro delle preoccupazioni europee riformando un meccanismo ancora inadeguato al compito che deve assolvere.

Una nomina staccata da questi obiettivi e contenuti essenziali rischia di affossare ogni ambizione di trasformare l’Ue in un “credibile attore internazionale”, come si auspica ormai da troppo tempo, senza che ciò realmente si avveri.

Gianni Bonvicini è vicepresidente vicario dello IAI.
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Vedi anche
Roadmap per la democrazia europea, Pier Virgilio Dastoli
Presidente cercasi, Renzi tra Merkel e Cameron, Giampiero Gramaglia
Se la Commissione torna leader, Piero Tortola


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Immigrazione: Mare nostrum e i nuovi orizzonti

Immigrazione
L’Italia guarda oltre Mare Nostrum
Marco Del Panta
20/06/2014
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Si dice che Mare Nostrum costituisce un pull factor perché stimola maggiori flussi verso l’Europa. Essendo diminuito il costo della traversata, parte degli 800 mila stranieri presenti in Libia, si sostiene, potrebbe prendere il largo a bordo delle carrette del mare.

Una volta arrivati sul territorio italiano gran parte dei migranti se ne va verso altri paesi europei, talvolta rifiutando la fotosegnalazione (non ci sono strumenti cogenti per obbligarli). Ad attrarli sarebbe la generosità dei sistemi di accoglienza per i richiedenti asilo nord-europei. Non è anche questo un pull factor? Probabilmente sì, anche se non se ne parla.

Se volessimo porre un freno agli sbarchi, che negli ultimi mesi sono aumentati di dieci volte rispetto all’analogo periodo nel 2013, dovremmo quindi cessare i salvataggi in mare e le politiche di accoglienza. Si tratta evidentemente di un’eventualità non all’ordine del giorno, che contrasta con la tradizione civile delle democrazie europee.

Rispetto Convenzione di Ginevra
Dal punto di vista italiano, non ci sono alternative ai salvataggi in mare. Il ritorno al passato significherebbe la ripresa dei “viaggi della morte”. Anche un allentamento delle politiche di accoglienza non è concepibile, perché contrasterebbe con il diritto internazionale, nonché con quello dell’Unione europea.

La Convenzione di Ginevra sui rifugiati fissa degli obblighi precisi per gli stati firmatari in materia di accoglienza e diritti. Al fine di creare uno spazio europeo uniforme dove chi fugge da persecuzioni e guerre possa godere di diritti civili ed economici il più possibile uniformi, le norme che l’Ue si è data negli anni sono ancora più stringenti e puntuali.

Indietro non si torna quindi. E allora che fare? Possono le politiche di asilo venire incontro all’azione italiana di salvataggio in mare? Si può pensare a un meccanismo di redistribuzione dei migranti e richiedenti asilo in arrivo, anche se i dati mostrano che certi paesi dell’Ue processano un numero di richieste di asilo ben superiore a quelle italiane?

Dublino III
Ci sono varie possibilità. La più percorribile potrebbe essere l’attivazione della clausola discrezionale del nuovo regolamento Dublino (approvato nel 2013, stabilisce che il paese competente alla trattazione delle domande d’asilo è quello di primo arrivo).

In base all’art. 17, i paesi membri possono derogare su base volontaria ai criteri di competenza dichiarandosi pronti a trattare le richieste di asilo per motivi umanitari. In presenza di afflussi massicci, potrebbe essere attivato un meccanismo di questo tipo.

Si tratta però sempre di un meccanismo volontario e l’esperienza insegna che non vi è grande entusiasmo all’interno dell’Ue per meccanismi di “re-location” dei rifugiati (e per analogia dei richiedenti asilo).

È difficile quindi che un meccanismo di questo tipo prevalga nel dibattito delle prossime settimane. Assisteremo probabilmente all‘usuale polemica fra i paesi del nord che ritengono di sostenere il costo maggiore dell’accoglienza, contando le domande di asilo, e quelli del Sud (in realtà, l’Italia quasi da sola) che spiegano come i salvataggi in mare siano ben altra cosa dalle domande avanzate in un ufficio della Polizia di frontiera.

Verso la presidenza italiana dell’Ue
Si rischia in questo contesto di avere una gara al ribasso nelle tutele dei migranti, piuttosto che un salto in avanti. Vedremo come evolve il dibattito al prossimo Consiglio europeo, e durante la Presidenza italiana dell’Ue ormai alle porte.

Una cosa appare però chiara fin d’ora: l’unica politica condivisa da tutti per far fronte alla pressione migratoria, e che è tipicamente “win-win”, è la cooperazione con i Paesi di origine e transito dei flussi.

Per l’Europa si tratta di a mobilitare risorse e attenzione verso i Paesi del Mediterraneo e africani, di affrontare con maggiore continuità le questioni migratorie in seno al Consiglio dei ministri degli esteri, in cooperazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Acnur, e di ”tarare” le politiche di sviluppo sulla prevenzione della migrazione irregolare. Solo così si creeranno le condizioni per una più efficace gestione delle migrazioni.

Europa e Africa hanno senza dubbio interesse a collaborare. L’Africa è ormai l’unico continente (insieme all’Asia meridionale) in chiara espansione demografica, mentre in Europa l’invecchiamento prosegue. Si calcola che nel 2050 mancheranno 48 milioni di lavoratori. Le complementarietà sono evidenti.

Per queste ragioni, l’Italia sta lavorando per lanciare un’iniziativa migratoria con il Corno d’Africa, coinvolgendo i paesi dell’Africa occidentale nella conferenza ministeriale su migrazione e sviluppo. L’auspicio è di arrivare a una gestione onnicomprensiva dei flussi fra i due continenti sulla base dei loro interessi convergenti in campo migratorio.

Marco Del Panta, Direttore centrale per questioni Migratorie ed i Visti, Ministero degli Affari Esteri.
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Vedi anche
I veri costi e benefici dell’immigrazione, Alessandro Giovannini
Mare nostrum non basta, Marco Del Panta
L’Odissea della guerra alla tratta, Enza Roberta Petrillo


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Note per la III Settimana di giugno

Oggetto Newsletter : Isil in Iraq, Immigrazione, Presidente della commissione Ue
Newsletter n° 323 , 19 giugno 2014

L'avanzata dell'Isil frantuma l'Iraq, avvicinandolo sempre più alle dinamiche di Damasco.
 Il rompicapo siriano passa da Baghdad?
Ad aumentare è il flusso di migranti che cerca rifugio dalla guerra.
La gestione europea dei flussi provenienti dall'Africa sembra un flop.
Riuscirà la presidenza italiana a cambiare corso? Per ora Bruxelles è occupata dalla ricerca
del nuovo presidente della Commissione.
 
Nel riportare questa nws letter, si ricorda che i blog geografici sono stati fermi per tre settima per via
del viaggio all'estero dei compilatori. Ancorchè con ritardo si riportano i blog di periodo, per la
 continuità di informazione.
Si ricorda inoltre che l'Anno accademico in corso termina con la fine del mese di giugno.

Un fallimento c0ntinuo: la politica migratoria

Immigrazione
Il flop della gestione dei flussi migratori africani
Enza Roberta Petrillo
18/06/2014
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Alla fine è andata come i più, sottovoce, immaginavano che andasse. Un flop. La decantata cabina di regia sui flussi migratori africani lanciata come il tema centrale del quarto EU-Africa summit ha partorito un topolino, la EU-Africa Declaration on Migration and Mobility.

La dichiarazione, dello scorso aprile, nasce vecchia e ricalca quasi del tutto l’Africa-EU Partnership on Migration, Mobility and Employment del 2007 e il Global Approach to Migration and Mobility del 2011.

Due atti presentati ai tempi come il punto di svolta delle politiche migratorie europee e che oggi scricchiolano sotto il peso crescente della controversa gestione dei flussi migratori in arrivo dalla sponda sud del Mediterraneo.

Dal 1988 sono 19.781 i migranti morti nel tentativo di raggiungere l’Europa. Tra questi, 2.352 soltanto nel corso del 2011, almeno 590 nel 2012 e 801 nel 2013. Un mobilità incessante che resta su livelli d’allerta soprattutto in Italia, dove soltanto nei primi cinque mesi del 2014 sono sbarcati oltre 40.000 migranti.

Road Map Eu-Africa
Le priorità a breve termine della politica migratoria promossa da Bruxelles e l’incapacità di proporre un set di programmi e azioni a largo raggio trovano un riscontro più che evidente in quegli striminziti due punti dedicati dalla Road-Map Eu-Africa 2014-2017 al tema “mobilità e immigrazione”.

Quella che doveva essere la risposta corale alle tragedie che negli ultimi anni si sono susseguite nelle acque mediterranee e lungo i paesi di transito si è tradotta nella replica di temi triti e ritriti: favorire le sinergie tra migrazione e sviluppo, ridurre i costi delle rimesse, valorizzare il ruolo della diaspora e consolidare l'Istituto africano per le rimesse.

Un approccio marcatamente economico che ha lasciato spazio alla dimensione umanitaria della mobilità solo per asserire in modo generico “l'importanza di affrontare le cause profonde della migrazione irregolare”. Fronte, sul quale, per l’ennesima volta, l’Europa non è stata in grado di guardare oltre il proprio dito.

Assente il richiamo ai plurimi fattori di spinta che portano migliaia di migranti africani a fuggire verso l’Europa. Nulla l’attenzione riservata alle instabili strutture istituzionali dei paesi di provenienza e di transito dai quali e lungo i quali i flussi migratori africani partono e si dipanano.

Ossessionata dalla porosità delle proprie frontiere esterne, l’Europa non ha saputo far altro che auspicarne per l’ennesima volta un rafforzamento. Eppure, contrariamente a quanto si potrebbe dedurre dalla “Road-Map Eu Africa 2014-2017”, il nodo critico della relazione tra i due continenti non sta nelle frontiere e nel loro controllo, ma nei cambiamenti demografici e socio-economici che caratterizzano il continente africano. Questione ripresa recentemente da un’analisi di Iván Martín del Migration Policy Center che fa luce sull’essenza dei fattori di spinta che vanno determinando i flussi migratori africani verso l’Europa.

Oltre il 40% dei 300 milioni di africani tra i 15 ei 30 anni sono Neet, “Not in education nor in employment”. Più di 300 milioni di africani vivono in assoluta povertà, con un reddito inferiore a 30 euro al mese. Dati acuiti dalle proiezioni demografiche delle Nazioni Unite, che per il 2050 prevedono una crescita della popolazione africana dal miliardo di abitanti odierno, a più di 2,4 miliardi di persone.

Diritti umani dei migranti
Rispetto a cifre di questo tipo è evidente che il problema non sta nelle centinaia di migliaia di cittadini africani intenzionati a emigrare irregolarmente verso l’Europa, ma nell’assenza di crescita economica, stabilità istituzionale e aspettativa di vita che alimenta l’emigrazione dai paesi di provenienza.

Sono questi gli elementi che spiegano perché, nonostante tra il 2007 e il 2013 l'Ue abbia speso 1,8 miliardi di euro per finanziare le attività di controllo delle frontiere esterne, potenziando Frontex e lanciando il sistema di sorveglianza Eurosur, il numero di persone che hanno scelto di rischiare la propria vita per raggiungere l’Europa è continuato a salire.

Il Partenariato EU-Africa non è ancora riuscito a garantire la protezione dei diritti umani dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati nei paesi africani di provenienza e transito, auspicata nel 2007 con Joint Africa-EU Strategy.

Esternalizzazione delle procedure di riconoscimento
Nell’attesa che Bruxelles avvii una riflessione meno euro-centrica e più programmatica sui problemi strutturali che alimentano i flussi migratori africani, per fronteggiare l’impennata dei flussi provenienti dalla rotta Centro-Mediterranea si punta a stabilire dei centri di identificazione per richiedenti asilo e rifugiati in paesi di transito come Egitto, Libia e Sudan. Proposta datata 2003, e che ora, per la prima volta, pare aver ricevuto l’endorsement dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, convinto che questa sia l’unica via per scongiurare la “colossale catastrofe umanitaria” che rischia di abbattersi sugli stati europei che fronteggiano in prima linea i flussi mediterranei.

Il sostegno di molte cancellerie europee alla proposta di esternalizzazione delle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato nei paesi terzi non ha però fatto luce sulle responsabilità umanitarie che graveranno sui paesi di transito che dovrebbero ospitare i centri di smistamento.

Questione non secondaria visto che le vicende drammatiche dei migranti in transito trattenuti e torturati nei centri di detenzione libici o di quelli arrestati dalla polizia egiziana dopo essere stati rilasciati dai trafficanti che li trattenevano nel Sinai sono una storia più che recente.

Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc presso l’Università “Sapienza” di Roma; esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri (enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
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