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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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giovedì 31 ottobre 2013

Un mondo in Crisi VI: Lo scenario Europeo occidentale e le relazioni atlantiche


Il disegno di Putin e della leadership russa che lo sostiene nel voler costruire una Russia con un ruolo sempre più importante in un quadro geopolitica di incertezza, con lo scemare del  ruolo di superpotenza degli Stati Uniti non è un elemento da tenere in scarsa considerazione. Le grandi incertezze di questo periodo avranno evoluzioni imprevedibili.
Una di queste, forse la più strategicamente importante, è stata il venir, de facto, meno della Global War on Terror dal vertice delle preoccupazioni strategiche statunitensi. Gli anni 1989-1991 hanno chiuso il vecchio sistema bipolare della Guerra Fredda, conducendo verso un diverso sistema internazionale che è durato per circa venti anni. Il 2001 non ha cambiato molto in quella situazione, dando all’unica sopravvissuta superpotenza solo un nuovo insieme di preoccupazioni, ma nessun cambiamento sistematico. In modo non molto dissimile, questi ultimi recentissimi anni hanno solo sovrimposto alle precedenti una serie di nuove, urgenti e profondamente correlate preoccupazioni. Due di queste svettano sopra ogni altra: la prima è l’emergere di un sistema internazionale non polare nel quale gli Stati classici assistono impotenti ad una sempre maggiore corrosione della loro sovranità; la seconda è il divampare di una furiosa crisi finanziaria che apre una fase di recessione le di cui è ancora impossibile apprezzarne le dimensioni.
Non sono novità assolute, ma occorre prendere atto. Una delle tesi che può essere presa in considerazione è quella che delinea a breve  un mondo che si sta progressivamente rivelando come sempre più non polare invece che multi-polare, a dispetto delle attese di molti. Il sistema internazionale non è dominato più da una, due o più nazioni, ma piuttosto da una dozzina di attori che possiedono e che esercitano vari tipi di potere che finiscono con il sovrapporsi l’uno all’altro. Nessuna grande potenza, né nessuna coalizione di grandi potenze è finora emersa per sfidare gli Stati Uniti ed è molto improbabile che questo accada nel prevedibile futuro. Non certamente nel 2010 e nei anni brevi a venire, ma è iniziata la marcia di avvicinamento a questo Le vecchie dinamiche tipiche dell’epoca delle grandi potenze non sono tornate in auge sia per l’evolvere di un concetto stesso di potere, che ora sfugge in tanta parte al diretto controllo degli Stati, sia perché gli Stati Uniti non hanno fatto poi davvero nulla per stimolare una tale risposta, almeno non ancora.
Tuttavia, mancando della prevedibilità che aveva caratterizzato i sistemi internazionali uni-polari, bi-polari, o multi-polari del passato, questo nuovo sistema internazionale non-polare sembra complicare notevolmente i rapporti internazionali in modi sempre nuovi. Ed è questo che ci fa parlare di evo di mezzo, argomento  con cui abbiamo introdotto questo nostro contributo.
Se tutto questo ha una sua logica, il futuro della NATO è nebbioso; nel migliore dei casi, dato che le alleanze stanno perdendo molta della loro importanza in un sistema internazionale in cui la capacità di assumersi impegni e di tenergli fede è molto limitata, poco efficace.
L’insieme sembra destinato a condurre a un rapporto transatlantico più selettivo e contingenziale che mai. Americani ed Europei, molto selettivamente, coopereranno su alcune questioni e si opporranno ad altre. In altre parole, l’Amministrazione Obama più non avrà il lusso di poter eventualmente optare per delle politiche ben definite, come avvenne all’indomani del 9/11 ( attacco alle due Torri ) nel caso di quell’either you are with us or against us che ha poi caratterizzato la dottrina Bush.
Forse, l’evento più significativo che inciderà sarà l’adozione, dopo un percorso elaborativo che, dato il numero dei partecipanti, non sarà semplice, del nuovo concetto strategico della Nato, dato che quello presente è ormai vecchio di dieci anni e tutti riconoscono che non è più funzionale.
Le relazioni transatlantiche tra Europa e Stati Uniti passano attraverso questo momento fondamentale. In questo nuovo non-polare scenario, gli Stati Uniti, i paesi Europei e la Russia potrebbero avere bisogno di un nuovo dispositivo di sicurezza, lì dove la Russia insiste nel dire che la sicurezza in Europa non potrà mai essere tale fino a che la Russia stessa sarà tenuta fuori dalle due organizzazioni di sicurezza principali dell’Europa, la Nato e l’EU.

Qualsiasi dialogo su un così ambizioso e difficile progetto di sicurezza euroatlantica sarà lento, ostico, difficile, ma sarà necessario ed inciderà nella geopolitica del 2010, sia perché non si può ignorare sia per il già descritto ruolo dinamico che la Russia intende svolgere.
(da www.coltrinariatlantegeostrategico.blogspot.com. Chidesidera ulteriori approfondimenti:ricerca23@libero.it; chi non desdiera ricevere uteriori post lo comunichi a geografia2013@libero.it)

venerdì 25 ottobre 2013

Italia: Istituto Alti Studi Strategici

Francesco Brunello Zanitti, che dal 2011 opera all’interno dell’IsAG, lo scorso mese di settembre è stato nominato Direttore Scientifico dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). Subentra dunque a Daniele Scalea, che deteneva l’interim di quella carica. Il Dott. Brunello Zanitti mantiene inoltre il ruolo di Direttore del programma di ricerca “Asia Meridionale”.
Ventotto anni, dottore magistrale in Storia contemporanea (Università di Trieste) e attualmente dottorando di ricerca in Storia presso lo University College of Arts and Social Sciences della Osmania University di Hyderabad, India, Francesco Brunello Zanitti è autore di Progetti di egemonia, libro del 2011. Suoi articoli sono inoltre apparsi su “International Journal of Contemporary Issues” e “Asia Times Online”.
L’abbiamo intervistato per scoprire di più del futuro lavoro dell’IsAG.

Quali indirizzi conta di dare all’attività scientifica dell’IsAG, che si trova ora a dirigere?
In linea di massima gli ambiti che saranno presi in considerazione si collegheranno a un contesto internazionale in costante e rapido mutamento, nel quale l’Italia, assieme all’Europa, dovrà dimostrare di essere in grado di adottare una strategia adeguata per fronteggiare le variegate sfide. Le parole chiave saranno: integrazione regionale, multipolarismo, energia, cambiamenti climatici.
Un primo indirizzo di ricerca, comune ai diversi programmi, riguarderà i rapporti multisettoriali tra l’Italia e i paesi di riferimento delle diverse aree geografiche seguite dai nostri gruppi di ricerca, in modo tale da offrire un quadro della situazione generale della strategia italiana in politica estera.
Un secondo punto fermo sarà focalizzato sui processi d’integrazione regionale in atto nei diversi continenti, un aspetto di rilievo che offre molteplici opportunità per i diversi attori coinvolti. Si possono fornire alcuni esempi: Unione Eurasiatica, OCS, ASEAN, Est Asia Summit, TTP, UNASUR e diversi altri casi. In questo contesto sarà necessario soffermarsi anche su uno dei primi esperimenti di cooperazione economica e integrazione su base regionale, ossia quello europeo, per comprendere le sfide future e le reali possibilità di una maggiore unità di carattere politico.
L’attuale fase di transizione da un contesto unipolare a uno di tipo multipolare ha ricevuto ulteriori conferme da recenti eventi di carattere politico ed economico. Il tradizionale dominio occidentale, sorto a partire dal XVI secolo, è sempre più sfidato da altri centri di potere. Sarà necessario comprendere quali potranno essere le tappe successive di questo fenomeno, gli ostacoli alla sua completa realizzazione e le conseguenze per i diversi protagonisti maggiormente interessati. In questo quadro bisogna però tenere presente la continua egemonia statunitense e occidentale in generale, in particolare dal punto di vista militare.
Infine, particolare attenzione sarà rivolta a due possibili nuovi centri di potere emergenti: ossia l’Asia e l’America Latina, tematiche che l’IsAG ha già approfondito o è in procinto d’analizzare anche attraverso la rivista “Geopolitica”.
L’Asia riceve sempre più attenzione in rapporto al definirsi dei futuri assetti globali…
Un tema importante sarà infatti il nuovo ruolo che il continente asiatico potrebbe assumere nei prossimi anni, grazie soprattutto all’ascesa della Cina, alla quale gli Stati Uniti hanno risposto mediante un nuovo interesse strategico nei confronti dell’Asia-Pacifico. Qui si giocheranno i rapporti futuri inerenti il triangolo Cina-Stati Uniti-Russia con la possibile inclusione di altri attori interessati alla strategia di riequilibrio (India, Giappone, Corea del Sud, Australia, paesi dell’ASEAN). In questo caso sarà necessario comprendere quali siano le prospettive future della Cina, ma anche dei paesi dello stesso continente interessati negli ultimi anni da una considerevole crescita economica (India, Vietnam, Indonesia, Malesia, Thailandia), così come quelle degli Stati che presentano una situazione interna già consolidata (Giappone, Corea del Sud, Singapore).
Al pari dell’Asia sarà da confermare l’attenzione nei confronti dell’America Latina: quale ruolo potrà avere il continente nel nuovo contesto multipolare? Quali gli obiettivi del Brasile, potenziale polo emergente?
L’Italia deve essere pronta alle novità che si presenteranno nei prossimi decenni in queste due aree, zone tra le più dinamiche a livello mondiale. Allo stesso tempo sarà però necessario considerare con attenzione i limiti del cosiddetto “Secolo Asiatico” o del nuovo ruolo dell’America Latina, viste le perduranti e molteplici sfide interne (di carattere politico, economico e sociale) che caratterizzano i diversi paesi di questi due estesi continenti.
Un’altra area di tradizionale interesse per l’Italia è il Mediterraneo. Come contate di trattarlo?
Per quanto riguarda l’area del Mediterraneo e del Vicino Oriente si dovranno tenere in considerazione gli sviluppi futuri dopo due anni di importanti sconvolgimenti politici. Si può affermare che siamo in una fase di passaggio, nella quale l’area si trasfomerà in una zona periferica rispetto agli interessi globali e caratterizzata da un perdurante caos, situazione allarmante per la vicinanza dell’Italia. Collegato al contesto vicino-orientale altre tematiche da affrontare saranno le dinamiche connesse allo scontro sunniti/sciiti che coinvolgono diversi paesi; la crisi dell’islamismo politico moderato e l’ascesa del radicalismo islamico (solitamente collegato al wahhabismo) in Vicino Oriente, Asia Centrale e Meridionale; nonché il ruolo strategico dell’Iran, i suoi collegamenti con Russia e Cina, così come le potenzialità delle nuove prospettive di mediazione. In questo contesto potrebbe entrare in gioco non solo il recente caso siriano, ma anche le future prospettive legate all’Afghanistan, visto il ritiro del contingente internazionale a partire dal 2014 e il ruolo di altri attori regionali nel favorire la stabilizzazione del paese.
Collegato a ciò, sarà da tenere in debita considerazione una prospettiva connessa alla futura ricerca di risorse energetiche. Un comune tratto dei programmi di ricerca dell’IsAG sarà l’analisi delle prospettive offerte da forme alternative di ricerca d’energia, avendo sempre come quadro di riferimento lo studio generalizzato della competizione per il controllo delle risorse naturali. In questo senso, oltre alla competizione in corso ad esempio in Africa, saranno da prendere in esame le dinamiche in atto nell’Artico.
Negli ultimi tempi anche l’acqua è divenuta strategica.
Un ulteriore aspetto della competizione in corso per le risorse naturali riguarda i possibili focolai di tensione connessi al controllo delle risorse idriche in diverse aree del globo. Come esempio, ma ce ne sono tanti altri, si può pensare al caso della Cina e dell’India, oppure agli attriti di quest’ultima con Pakistan e Bangladesh, paesi con un elevato numero di abitanti e con ingenti problematiche connesse al controllo di queste vitali risorse. Quest’ultimo caso comporta ulteriori collegamenti: ossia i già citati potenziali limiti dei paesi emergenti e le loro sfide di carattero interno, e l’analisi dei variegati problemi climatici che possono comportare ulteriori sfide di carattere politico.

venerdì 18 ottobre 2013

Piano di Paternariato per il commerico e gli investimenti:Ttip

artenariato transatlantico 
Convitato di pietra sulla Cina 
Andrea Renda
10/1/2013
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Il 2013 ha segnato l’avvio delle negoziazioni per l’ambizioso piano di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, Ttip. Se portato a compimento senza intoppi e ridimensionamenti, questo accordo potrebbe mutare radicalmente il panorama internazionale, stabilendo regole comuni per scambi che ammontano al 30% del commercio mondiale di beni, il 20% degli investimenti diretti esteri, nonché un volume di scambi che supera i 700 miliardi di euro all’anno.

Possibile panacea 
Un accordo la cui importanza è confermata dalle analisi del suo impatto. Queste stimano un incremento dei posti di lavoro pari a circa un milione negli Stati Uniti, 400 mila nel Regno Unito e 141 mila in Italia; nonché incrementi del Pil pro capite del 13,4% negli Stati Uniti e di quasi il 5% nel nostro paese.

Nessuna riforma attualmente sul tavolo del governo italiano e delle istituzioni europee (con la sola eccezione del completamento del mercato interno digitale) promette livelli di crescita tanto significativi. Il Ttip, insieme all’alleanza Trans-pacifica in corso di negoziazione tra Stati Uniti e molti paesi asiatici, viene presentato su entrambe le sponde dell’Atlantico come un passo verso il superamento dello stallo nel quale attualmente versa il Doha round.

Sembra un passo decisivo verso un nuovo e più soddisfacente assetto regolatorio del commercio internazionale. Non a caso il Commissario europeo al commercio, Karel de Gucht, ha più volte presentato il Ttip come il primo passo verso il rafforzamento del Wto.

Sembrerebbe di trovarsi di fronte a un’occasione senza precedenti, quasi a una panacea in grado di guarire molti dei mali dei paesi occidentali. Eppure vi sono diversi ordini di motivi per dubitare che le “magnifiche sorti e progressive” attribuite al Ttip possano tradursi in effetti concreti.

Il contenuto dell’eventuale accordo potrebbe infatti essere largamente ridimensionato durante le negoziazioni. Non si tratta di eliminare prevalentemente barriere tariffarie che pure esistono, ma sono di entità esigua. La sfida è quella di armonizzare gli standard tecnici e gli approcci alla regolamentazione in settori strategici come i prodotti chimici o farmaceutici e gli organismi geneticamente modificati.

Per non parlare di annose questioni trasversali come la regolamentazione dei mercati finanziari e delle industrie a rete, la protezione dei dati personali - per di più, all’indomani dello scandalo Datagate - la protezione della proprietà intellettuale - in particolare dei brevetti - e ancor di più, degli appalti pubblici e dei sussidi alle imprese locali.

Scetticismo 
Sfide che appaiono, in alcuni settori, già perse, come testimoniano le conclusioni dell’incontro inaugurale svoltosi a luglio 2013, nel quale il settore finanziario è già stato accantonato per l’impossibilità di raggiungere un qualsivoglia allineamento o anche un mutuo riconoscimento.

Se si consultano i documenti preliminari predisposti dalla Commissione europea, si scopre che anche sui prodotti chimici la controversa e contorta regolazione europea appare aver innescato un’irreversibile deriva dei due continenti.

Se si aggiungono le remore francesi nel settore dell’audiovisivo e la recrudescenza del protezionismo di entrambi i blocchi rispetto alla produzione di materiali pesanti (acciaio, alluminio) e di prodotti high-tech, nonché le probabili resistenze di partner commerciali di assoluto rilievo in alcuni settori (ad esempio, la Turchia), resta poco su cui scommettere a occhi chiusi.

Quello relativo ai contenuti è solo uno dei motivi che alimentano lo scetticismo. Si pensi alla tempistica dell’accordo finale, annunciato per la fine del 2014, quando scadrà il mandato dell’attuale Commissione europea.

La complessità e varietà dei temi da discutere, l’attuale impegno statunitense nelle negoziazioni per il partenariato trans-pacifico (che non si concluderanno, come inizialmente annunciato, entro la fine del 2013), l’incertezza politica che circonda i paesi dell’Unione europea e i fastidi generati dallo scandalo Prism proiettano ombre minacciose sui tempi di negoziazione tra i due giganti.

Senza considerare che la Commissione europea è solita perdere abbrivio e legittimazione ad agire quando il mandato è in scadenza. Essa dovrà confrontarsi con un rinnovato (e forse più ostile) Parlamento europeo a metà 2014.

L’ottimismo mostrato dal presidente statunitense Barack Obama e dal capo della delegazione Usa Mike Froman sembra ancor meno fondato se si pensa che lo stesso Obama non ha mai ottenuto, per gli accordi di libero commercio, l’autorizzazione ad agire in rappresentanza degli Stati Uniti. Qualsiasi decisione del presidente sarà carta straccia se non verrà avallata e ratificata da un quanto mai ostile Congresso a maggioranza repubblicana.

Gigante cinese escluso 
A tali motivazioni va aggiunta una nota forse ancor più scettica. Non è sfuggito ai commentatori più attenti che il Ttip, così come l’alleanza Trans-pacifica, non coinvolge la Cina, gigante emergente che rosicchia quote di commercio internazionale a entrambe le sponde dell’Atlantico e permea i principali mercati mondiali con prodotti e semilavorati di ogni genere.

Integrare maggiormente le due sponde dell’Atlantico, fissare standard qualitativi inarrivabili per le economie emergenti e conquistare trattamenti privilegiati in paesi importanti come Australia, Giappone o Corea del Sud significherebbe, per gli Stati Uniti, garantirsi una nuova centralità nello scacchiere del commercio internazionale.

Lungi dal rappresentare un passo verso un Wto più forte e la conclusione del Doha round, la mossa dei paesi occidentali appare più che altro frutto della necessità di contenere l’ascesa della Cina e di altre economie emergenti. Ecco perché, dopo anni di infruttuosa cooperazione transatlantica, di colpo si è assistito a un’accelerazione.

L’ombra minacciosa del colosso cinese è ciò che accomuna le parti al tavolo negoziale. Il Ttip è il convitato di pietra.

Andrea Renda è Senior Research Fellow del Center for European Policy Studies e Direttore del programma Global Outlook dello IAI.
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lunedì 14 ottobre 2013

Un mondo in crisi V Lo Scenario dell'Europa orientale




Un Mondo in Crisi V
La  Comunità Stati Indipendenti. La Russia
La debolezza della Russia, così come registrata nell’ultimo decennio del secolo scorso, è ormai un ricordo; con l’inizio del nuovo millennio a Mosca le cose si sono assestate e si è presa coscienza che ormai la Russia non poteva che risalire nella considerazione di tutti. Putin ha messo le premesse e designato l’architettura che trasformerà un paese debole ed allo sbando in una potenza  di medio-alto livello o per meglio dire una potenza regionale in ascesa nei prossimi anni. Putin ha lavorato su quello che viene definito Progetto Russia,  ed è facile elencarlo in pochi punti.
La Federazione Russa è un soggetto che non potrà mai “sciogliersi” in organizzazioni regionali se con come leader, mai da pari a pari, ovvero “La Russia sarà indipendente o non sarà”; la Russia vuole costruire insieme agli Stati Uniti, alla Cina, all’India e qualche paese maggiore dell’Europa, un nuovo equilibrio globale; da questo discende che qualche cosa dovrà essere sistemato in quello che oggi si chiama Federazione Russa: qualche cosa che la Federazione dovrà ricevere e qualche cosa  che dovrà essere lasciato, ovvero qualche spazio ex-sovietico dovrà ritornare a casa ed altri no. Se questo progetto avrà spazio ed essere attuato, significa che  in certo senso il mondo unipolare è finito e, quindi, la parabola statunitense ha iniziato la sua fase discendente. Putin con il suo progetto vuole ridare al mondo potenze paritetiche, non più superpotenze e, se riuscirà in questo suo intento, forse sono anni, questi che saranno ricordati come  anni molto importanti per l’evoluzione del quadro strategico non solo nell’area della Comunità di Stati Indipendenti e dell’Europa Orientale, che è in movimento, ma anche dell’intero globo.
Lo scenario, quindi, è in movimento. Molte delle più significative tendenze emerse nel corso degli anni precedenti sono giunte a maturazione, e diverse condizioni di criticità si sono definitivamente trasformate in condizioni di conflitto. Per contro, altre tendenze, in atto da molti anni, si sono almeno apparentemente interrotte. Il quadro complessivo, in chiave geopolitica 2010, apparirà quindi sostanzialmente differente da quanto in essere in questi anni appena trascorsi, mentre la previsione per il futuro  prossimo appare decisamente più complessa e questa complessità va tutto a favore di Mosca.
La Russia ha dimostrato di avere in se le risorse necessarie per continuare a risalire la china, e questa risalita modificherà a suo favore gli equilibri geopolitici di questo scenario.[1] E la previsione per i prossimi anni e che il dinamismo russo  potrà sfociare anche in situazioni non idilliache. Segnali monitori stanno giungendo abbastanza di continuo. L’ultimo in ordine di tempo, e che inciderà nei prossimi anni, creando incertezza e, forse, instabilità, è la comunicazione del Capo del Consiglio di Sicurezza Russo, Nikolai Patrushev, che ha reso noto che la Nuova Dottrina Militare russa, attualmente in fase di elaborazione finale, conterrà significative novità in merito all’impiego delle armi nucleari; sempre secondo Patrushev si prevede il possibile impiego di armi nucleari anche in maniera preventiva ( e non solo ‘pre-empitive’)contro avversari anche non nucleari. In sostanza un significativo abbassamento della soglia di impiego di tali armi. L’approvazione di tale documento avverrà alla fine del 2010 se non nel 2011, in concomitanza con la conclusione dei negoziati con gli Stati Uniti per un nuovo Trattato di riduzione degli armamenti strategici. Se questo segnale è interpretato in senso negativo, si tratta di una presa di posizione di componenti della classe dirigente russa volta ad esternare la volontà di impedire una effettiva normalizzazione dei rapporti tra Russia e Stati Uniti, ovvero anche per questo scenario la instabilità e l’insicurezza sarebbero oltre i livelli di guardia.  




[1] Putin V., Speech and the following Discussion at the Munich Conference on Security Policy”, Munich, 10 Febraury 2007, President of Russia, Official Web Portal; Brzezinski Z., L’ultima chance. La crisi della superpotenza Americana. Roma, Salerno Editrice, 2008; Chabot F., Idea di Roma e politica di equilibrio, Bologna, Il Mulino, 1995; Grazioso A., Prospettiva: Comunità Stati Indipendenti- Europa Orientale, in Osservatorio Strategico, Roma, Ministero della Difesa, Centro Alti Studi per la Difesa, CeMISS, Dicembre, 2008;  

lunedì 7 ottobre 2013

Disarmo e non proliferazione

Non proliferazione
Imbrigliare lo spazio si può
Carlo Trezza
26/09/2013
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L'Unione Europea si conferma come uno dei maggiori promotori della non proliferazione e del disarmo. A mostrarlo è la conferenza dedicata a questo questione che si terrà i primi di ottobre a Bruxelles. Il tema dei missili e di una possibile corsa agli armamenti nello spazio costituirà uno degli argomenti che verranno affrontati dai massimi responsabili ed esperti in questo settore che parteciperanno all’evento.

Tradizione europea
Essa ha pieno titolo per affrontare tali questioni poiché storicamente furono europei i primi scienziati spaziali. Senza poter competere con i programmi americani e russi, il vecchio continente mantiene un livello scientifico tecnologico molto avanzato e tramite l'Agenzia spaziale europea sviluppa uno sforzo comune.

L'accoppiamento missili-spazio proposto dalla conferenza di Bruxelles ha una sua logica:i missili sono l'unico veicolo per accedere allo spazio extra-atmosferico. La tecnologia è a "doppio uso" (civile e militare). Mentre occorre sviluppare senza indugi la prima, occorre procedere cautamente con la seconda in particolare quando si rischia, come avvenuto recentemente in Siria, che sistemi missilistici servano per trasportare armi di distruzioni di massa, Adm.

L'accoppiamento Adm-missili ha anch'esso una sua logica. A nulla servirebbero le armi nucleari, chimiche e biologiche in mancanza di vettori capaci di trasportarle. Per tale motivo la comunità internazionale, Europa inclusa, accomuna i missili e le Adm nei loro sforzi volti al disarmo e alla non proliferazione.

Missili internazionalmente indisciplinati
Permane tuttavia una differenza: mentre le armi nucleari, chimiche e biologiche sono disciplinate da trattati internazionali applicati da appositi organismi internazionali (l'Agenzia di Vienna sull'energia nucleare, l'organizzazione per la Proibizione delle armi chimiche con sede all'Aja, il processo di riesame della Convenzione biologica di Ginevra), nulla di tutto ciò esiste per i missili e altri vettori.

Nessun trattato internazionale, nessuna vera e propria organizzazione internazionale. Il principale strumento collettivo con il compito di affrontare la questione è il regime di controllo delle tecnologie missilistiche, Mtcr, che ha lo scopo di contrastare la proliferazione missilistica.

Circa duecento responsabili ed esperti si riuniranno a Roma dal 14 al 18 ottobre per affrontare i problemi posti dalle esportazioni, trasbordo, intermediazione in campo missilistico. Obiettivo della presidenza italiana sarà quello di rafforzare ed affinare le misure di controllo di questo organismo, ma anche di promuoverne l'immagine, l'autorità e la legittimità.

Nel corso di 25 anni(la prima Conferenza si tenne proprio a Roma nel 1988) il Mtcr ha maturato un'ineguagliabile esperienza e un capitale normativo e umano che è unico e che merita di essere maggiormente conosciuto e riconosciuto nel mondo.

I paesi dell'Unione Europea sono gli unici ad applicare in blocco e in modo giuridicamente vincolante le disposizioni del Mtcr.

Spazio miracolato
La situazione in campo spaziale non è molto dissimile: neppure in questo settore esiste un organismo internazionale che assicuri la non diffusione degli armamenti spaziali e ne ricerchi la riduzione. Vige soltanto la norma che proibisce la messa in orbita delle armi di distruzione di massa, ma nulla dice il Trattato sugli usi pacifici dello spazio del 1967 sui rimanenti tipi di armamento.

È quindi un vero miracolo che lo spazio non sia ancora divenuto un teatro bellico come avvenuto per i rimanenti ambiti di un conflitto armato (terra, acqua, aria e oggi anche spazio cibernetico). Un conflitto spaziale sarebbe devastante vista la crescente dipendenza dai satelliti di tutte le attività umane.

Negli anni ’80, russi e americani sperimentarono alcuni tipi di armi anti-satellite, ma si attennero poi a una moratoria. Non è stato mai risolto il problema dei frammenti spaziali, migliaia di detriti che infestano lo spazio orbitando a velocità stratosferiche e capaci di causare danni irreparabili.

I tentativi di allargare la proibizione del 1967 anche alle armi convenzionali e l'iniziativa russo-cinese della proibizione di una corsa agli armamenti nello spazio non hanno avuto successo. La tacita moratoria sugli esperimenti antisatellitari è stata interrotta.

Fortunatamente nulla di irreversibile è ancora avvenuto; la corsa agli armamenti nello spazio può ancora essere prevenuta. La principale iniziativa di prevenzione è di matrice italiana: un Codice di condotta sulle attività spaziali venne proposto dall'Italia nel 2007 e fatto proprio dall'Unione Europea.

La normativa prevede misure di pre-notifica dei lanci, registrazione di oggetti spaziali, consultazioni e misure di fiducia. È stata accolta dalle potenze spaziali inclusi russi e americani, originariamente scettici.

La tradizionale riluttanza statunitense a negoziati sulla sicurezza nello spazio è stata accantonata. Le condizioni appaiono mature per varare il Codice europeo entro il 2013 ed è auspicabile che dalla conferenza di Bruxelles della prossima settimana emerga un messaggio in tal senso.

L'ambasciatore Carlo Trezza, presidente designato del Missile Technology Control Regime, fu presentatore dell'iniziativa italiana su un Codice di Condotta spaziale alla Conferenza europea sullo spazio del 2007 a Berlino.
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