Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

Cerca nel blog

giovedì 21 gennaio 2016

Immigrazione: una banca dati comune

Rotta balcanica 
Scambio di informazioni e crisi dei migranti
Alessia Di Pascale
12/01/2016
 più piccolopiù grande
Un meccanismo di informazione permanente. Questo il risultato più importante del vertice sui Balcani occidentali, svoltosi a Bruxelles alla fine di ottobre, su invito del Presidente della Commissione europea.

Gli Stati partecipanti - otto Stati membri (Germania, Austria, Grecia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Slovenia e Croazia) e tre paesi balcanici (Albania, Macedonia e Serbia) - si sono impegnati a nominare entro 24 ore dei punti di contatto ai massimi livelli con l’obiettivo di facilitare uno scambio di informazioni tempestivo e quotidiano (sul presupposto affermato della mancanza di comunicazione tra i governi e le autorità competenti dei Paesi lungo la rotta balcanica).

A partire da quel momento, oltre all’aggiornamento continuo su base bilaterale, i dati sono stati 'scambiati nel corso di videoconferenze settimanali presiedute dalla Commissione europea, a cui hanno partecipato gli alti funzionari degli undici paesi coinvolti e le agenzie dell’Unione europea, Ue, associate all’iniziativa, e nel corso delle quali sono state definite le modalità della cooperazione operativa.

Tali impegni sono stati condivisi dal Consiglio europeo, svoltosi a dicembre, che ha invitato a continuare a monitorare attentamente i flussi lungo le rotte migratorie in modo da poter reagire rapidamente all'evoluzione della situazione.

Eurodac, Vis, Sis e Eurosur
La necessità di migliorare la circolazione delle informazioni (tra autorità nazionali, Stati membri, agenzie dell’Ue, delegazioni Ue nei paesi terzi) era del resto già stata evidenziata nell’agenda europea sulla migrazione di maggio e successivamente ribadita e sviluppata in altri documenti adottati dalla Commissione europea negli ultimi mesi, con riferimento in particolare al contrasto del traffico di migranti (anche per favorire l’individuazione delle reti di trafficanti), nonché al rafforzamento della cooperazione con i paesi terzi.

Vanno in particolare menzionati il Piano d'azione dell'Ue contro il traffico di migranti per il periodo 2015-2020 (pubblicato a maggio), che dedica un intero capito a tali aspetti, e il manuale sul rimpatrio (presentato a settembre).

In realtà il tema è oggetto di attenzione da parte dell’Ue da tempo. Nel contesto dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia sono stati predisposti negli anni, infatti, numerosi strumenti giuridici e iniziative per la raccolta, la conservazione e lo scambio di dati tra autorità, anche nel settore della migrazione, sulla cui base sono poi state istituite banche dati e reti informatiche.

Tra questi, vanno ricordati tre sistemi informativi su larga scala relativi agli ingressi di cittadini di paesi terzi: Eurodac, Vis (sistema di informazione visti), Sis (sistema d’informazione Schengen) e il più recente sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur). In aggiunta, sono state attuate anche forme di cooperazione bilaterale o multilaterale che includono la circolazione di informazioni tra autorità.

Dispositivi integrati dell'Ue per la risposta politica alle crisi 
Che dire allora della più recente iniziativa? Essa va ricondotta anche entro un quadro di gestione “straordinaria” dei flussi migratori. Cinque giorni dopo il vertice di Bruxelles, la Presidenza lussemburghese ha infatti attivato per la prima volta i dispositivi integrati dell'Ue per la risposta politica alle crisi (Ipcr), in modalità "condivisione delle informazioni", con l’obiettivo di seguire l’evoluzione dei flussi migratori, sostenere il processo decisionale e migliorare l'attuazione delle misure concordate.

In tale ambito, gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue, nonché le agenzie competenti, sono stati invitati a scambiarsi costantemente informazioni aggiornate sulla situazione sul terreno attraverso una piattaforma web comune.

La Commissione e il Servizio Esterno per l’Azione Europea dovranno fornire regolarmente analisi integrate delle informa-zioni ricevute per agevolare il processo decisionale comune e la risposta coordinata alle crisi tra gli Stati membri.

Si tratta di un meccanismo relativamente recente, approvato dal Consiglio nel giugno 2013 dopo un processo di revisione biennale che ha sostituito i precedenti Crisis Coordination Arrangements (Cca), ed inteso a consentire una risposta coordinata dell’Ue ai massimi livelli politici.

Italia assente dal club 
Sebbene l’Ipcr si caratterizzi come un meccanismo flessibile e adattabile alle specifiche esigenze, ci si può domandare perché l’iniziativa sui Balcani occidentali sia stata promossa e continui a svilupparsi solo tra alcuni Stati membri. L'Italia non ha infatti preso parte al vertice di ottobre.

Seppure il coinvolgimento di un numero minore di attori possa rendere più agevole un processo, questa scelta sembra rimarcare l’esistenza di visioni e interessi diversi, tali da far propendere per “cabine di regia” più ristrette.

Ad ogni modo, l’entità dei flussi migratori ha messo in luce la necessità di un maggior coordinamento nella gestione delle informazioni, per cui gli ordinari mezzi di scambio non sono apparsi sufficienti ed adeguati.

Rappresenta certamente un buon test per il nuovo meccanismo, di cui occorrerà seguire gli sviluppi operativi e le implicazioni politiche, nonché l’effettiva capacità di contribuire alla gestione di situazioni di emergenza.

Alessia Di Pascale è ricercatrice all’Università degli Studi di Milano.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3287#sthash.o6WOBcc7.dpuf

mercoledì 13 gennaio 2016

Terrorismo e relativo contrasto in evoluzione

Alessio Pecce *
(alessio-p89@libero.it)


Gli attentati di Parigi avvenuti lo scorso novembre hanno evidenziato, come era previsto da tempo, le nuove modalità e i piani operativi (diffusione meticolose delle cellule terroristiche e commando suicida) dei soggetti appartenenti all'ISIS, anche se ad oggi manca una definizione ufficiale della nuova tipologia di terrorismo. I 130 morti e gli oltre 300 feriti di Parigi rappresentano la nuova modalità di combattimento terroristica trapiantata in Europa, attraverso il commando suicida che a sua volta è coordinato da soggetti operativi, come già avviene da tempo nelle zone più critiche del Medio Oriente e Nord Africa. Come detto poc'anzi non esiste ancora una definizione specifica di terrorismo, perché le varie organizzazioni internazionali hanno diverse opinioni, dovute anche a strategie e interessi politici. La difficoltà della terminologia si riscontra in ambito giuridico e concettuale, indi per cui gli stati membri delle Nazioni Unite non hanno ancora trovato una definizione comune. Tornando alle modalità operative del terrorismo, costituite da una tattica militare finalizzata al raggiungimento di obiettivi operativi prefissati, il suo metodo prioritario è quello  che si inserisce all'interno di una vasta scelta di strategie, come ad esempio quella insurrezionale. La difficoltà da parte della Comunità internazionale nel trovare una definizione universale di terrorismo, ha spinto alcuni specialisti del settore a catalogarlo come “Nuovo terrorismo insurrezionale” definito come la minaccia razionale di atti estremamente violenti, col fine ultimo di colpire i governi e la loro politica. Questa nuova forma di terrorismo è costituita da alcuni elementi, aventi come base: la sovversione dei governi e la conseguente sostituzione con un modello proto-statale; la violenza come azione prioritaria e imprescindibile; l'atto terroristico ha come obiettivo elementi politici; la manifestazione dell'azione terroristica su scala globale; la base logistica del potere ha sede in un'area territorialmente definita; si manifesta/colpisce attraverso il web con la propaganda, attacchi territoriali e cyber; le azioni operative non per forza sono connesse tra loro e i militanti possono appartenere anche alla sfera dei non-combattenti. Il nuovo terrorismo insurrezionale, oltre ad estendersi su scala internazionale, si pone delle precise finalità politiche, come la sovversione dei governi e dei rapporti internazionali nell'area mediorientale, oltre all'imposizione di una nuova forma di stato, ossia il califfato sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi.
In virtù di ciò, nel dicembre 2015, il presidente Obama in una delle sue conferenze fa riferimento e auspica  a un maggior impegno da parte dei paesi sunniti nella lotta al Daesh, i quali hanno prontamente risposto attraverso la coalizione di 34 paesi musulmani, incentivata dall'Arabia Saudita, visto e considerato che le statistiche parlano di un impegno maggiore da parte dei paesi europei, con i raid arabi che rappresentano solo il 5% nella lotta all'ISIS. Questa nuova alleanza sunnita, oltre a comprendere i paesi arabi, ne include alcuni africani, come ad esempio Gibuti, Costa d'Avorio, Senegal, Marocco, Nigeria, Niger, Tunisia, Egitto, Sudan, Sierra Leone etc. Il gioco delle alleanze si basa sulla diatriba tra sciiti e sunniti e pertanto sono assenti dalla coalizione la Siria, l'Iraq e l'Iran. D'altro canto la Russia, alleata di Assad, si esprime in maniera diplomatica a proposito della coalizione sunnita, auspicando a dei miglioramenti per la Comunità Internazionale, ma al contempo invita tutti alla calma prima di poter valutare definitivamente.
(versione II) 


* Dottore magistrale in Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale. Specialista nella progettazione, gestione, valutazione e ricerca per conto di istituzioni politiche e sociali, organizzazioni economiche, imprese ed enti internazionali.

lunedì 11 gennaio 2016

RUSSIA: RISCATTO POSSIBILE



La economia russa non può rimanere insensibile alla attuale situazione. Il calo dei prezzi petroliferi e le sanzioni incrociate stanno impattando sul quadro economico russo che d’ora in avanti punterà sui consumi iterni e sugli investimenti. Secondo “Russia Beyond the he headlines” l’nserto preparato e pubblicato da Rossiyskara Gazeta, non solo materie prime da esportare, ma anche consumi ed investimenti da sviluppare saranno i “capstone” della prospettiva economica russa. L’economia russa tenta la strada della diversificazione per reagire alle difficoltà dovute alla recessione in atto. Il crollo dei prezzi petroliferi, ha impattato pesantemente sul paese, che  affida all’export delle commodity una parte importante el proprio PIL. La sensazione diffusa tra gli operatori e che la risalita delle quotazioni non sia dietro l’angolo, ancor più  più lontana dopo la scoperta di un immenso giacimento petrolifero davanti alle coste dell’Egitto da parte ella italiana ENI, che aumenta il numero dei venditori  e sottrae un mercato come quello egiziano che si renderà autornomo.. Oltre a questo è evidente che l’OPEC non appare intenzionato al alzare le quote, e che è in atto la frenata della crescita cinese e la distenzione tra USA e d Iran agevolata dall’accordo sul nucleare; infine non vi sono prospettive che nel breve periodo si superoano le tensioni in Ucraina, che hanno portato alle sanzioni incrociate con l’UE e con l’Occidente in generale.. Proprio questo aspetto, si ossrva a Mosca, che incide sull’impennata dei prezzi che sta caratterizzando l’inflazione , ha portato ad un cambiamento nella produzione di cui poco si è parlato fino a questo momento.. Approvvigionarsi di prodotti, soprattutto cerealicoli ed agroalimentari provenienti da oltre frontiera è sempre più difficoltoso; da qui gli stimoli e le pressioni affinche quanto non si riesce ad avere e manca sia prodotto all’interno della Federazione, Una scelta strategica, destinata a rivestire un ruolo importante nel medio termine una volta che verranno superate le prevedibili difficoltà iniziali

La strada verso la ripresa potrebbe passare anche attraverso una maggiore focalizzazione sugli investimenti pubblici, a cominciare dal nodo infrastrutturale, decisivo per sostenere una crescita sostenibile del paese e convincere gli investitori stranieri  a creare stabilimenti produttivi della Federazione. Lo sforzo in atto non è semplice ed il risultato non appare scontato, ma si confida che il processo si sia messo in moto in modo tale da perseverare che i 2016 sia veramente l’anno della ripresa.


In pratica il Cremlino sta studiando una “exit strategy” pe superare la doppia minaccia del crollo dei prezzi del petrolio e del gas naturale, vera trappola in cui la Russia è caduta, quella della “monoproduzione”, e delle sanzioni non preiste a segutio della crisi Ucraina che sta facendo pagare alla Federazione un prezzo non preventivato e forse troppo alto.

giovedì 7 gennaio 2016

L'anno che verrà: affrontare il futuro

Accadde domani
2016: Usa, cercasi asso, forse sarà donna
Giampiero Gramaglia
30/12/2015
 più piccolopiù grande
Il percorso verso le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, l’8 novembre, attraversa tutto il 2016, dal 1° febbraio, con le assemblee di partito nello Iowa, che segnano l’inizio delle primarie, all’Election Day, passando attraverso le convention di fine luglio - repubblicana a Cleveland e democratica a Filadelfia.

Man mano che s’avvicina il momento della scelta del nuovo presidente, andrà sbiadendo alla Casa Bianca la figura e il potere d’influenza internazionale di quello uscente.

Dalle Olimpiadi ai 10 anni di Twitter
In un Mondo zeppo d’ansie e di crisi, i cittadini statunitensi devono estrarre un asso dal mazzo dei candidati: potrebbe essere una donna, Hillary Rodham Clinton, ex first lady, ex senatore, ex segretario di Stato, la più qualificata fra gli aspiranti presidenti dal punto di vista dell’esperienza internazionale.

Il 2016 è un anno bisestile e, quindi, oltre alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, porta in dote le Olimpiadi, stavolta in Brasile, ad agosto, tra timori di flop e tensioni sociali, in un Paese che sembra avere perso, nel tracollo dei Mondiali di Calcio 2014, la sua spinta e il suo ottimismo e dove la presidente Dilma Rousseff non gode più della fiducia dei cittadini.

E pure un anno di anniversari da 2.0: il 18 gennaio, Wikipedia compirà 15 anni; il 21 marzo, Twitter compirà 10 anni; e ad aprile - ma qui dai ‘social media’ passiamo alla grande scienza - ricorre il 100° anniversario della teoria della relatività generale di Albert Einstein.

Affrontare i problemi dell’integrazione Ue
All’orgia elettorale negli Stati Uniti, l’anno che inizia contrappone una sorta di tregua elettorale nell’Unione europea: nessuno dei Grandi dell’Ue andrà alle urne, o almeno nessuno dovrebbe andarci.

In Spagna, s’è appena votato - si rischia, però, un bis a breve -; Francia e Germania avranno nel 2017 le loro consultazioni più importanti; la Gran Bretagna prevede il referendum sull’uscita dall’Unione pure nel 2017; l’Italia ha in calendario solo nel 2018 le prossime politiche (l’autunno porterà il referendum sulle riforme istituzionali); e le istituzioni europee, rinnovate nel 2014, resteranno operative fino al 2019.

Ci sono, quindi, condizioni sulla carta favorevoli ad affrontare senza pressioni i problemi dell’integrazione, anche se le presidenze di turno del Consiglio dell’Ue che si alterneranno non sono ideali: l’Olanda è sperimentata, ma ha un approccio esclusivamente prammatico ai problemi europei; la Slovacchia è all’esordio e ha l’impostazione neo-nazionalista comune a molti Paesi usciti dall’esperienza comunista.

Brexit, Unione bancaria ed energetica, riforma della governance
Fra i temi da affrontare nell’anno, vi sono: il negoziato con Londra per evitare, nel 2017, il Brexit, cioè l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea; il completamento dell’Unione bancaria, l’avanzamento verso l’Unione energetica, la riforma della governance, soprattutto in questa fase la questione immigrazione, dove si tratta di attuare decisioni già prese e di rivedere i criteri dell’asilo.

L’agenda 2016 è inoltre intessuta dei tradizionali appuntamenti dei Vertici internazionali. A parte quelli europei, il cui primo sarà a febbraio, sul Brexit, tutti gli altri si svolgeranno sul Pacifico: il G7 in Giappone a maggio, il G20 in Cina a ottobre, l’Apec in Perù a novembre.

Per il resto, le previsioni del 2016 sono incise sulla roccia dei temi ineludibili (e probabilmente irrisolvibili): la minaccia del terrorismo alla sicurezza, che in Italia si legge soprattutto in chiave Giubileo - l’Anno della Misericordia finirà a novembre -; la lotta contro il sedicente Stato islamico tra Iraq e Siria e la transizione a Damasco dal regime di al-Assad a un nuovo assetto stabile e condiviso; la ‘normalizzazione’ della Libia; la ‘Intifada dei Coltelli’ tra Israele e i Territori; gli effetti perversi dell’infatuazione per le armi negli Stati Uniti, che - scrive ilLos AngelesTimes - “confina con l’impulso suicida della società”, mentre il New York Times si chiede se l’orrore non stia diventando normalità negli Usa.

Senza dimenticare, più vicina a noi, l’irrisolta crisi ucraina, dove le mosse della Nato - l’invito al Montenegro a entrare nell’Alleanza - e dell’Ue - la proroga delle sanzioni alla Russia - rischiano di allontanare una soluzione invece che di avvicinarla.

Nessuno s’immagina che tutti questi problemi escano, nel 2016, dall’agenda internazionale: se ne risolvesse già uno, sarebbe un successo. E probabilmente torneremo ad ascoltare appelli come quello che Papa Francesco - lui, un protagonista sicuro - ha lanciato tra Natale e Santo Stefano, denunciando “il silenzio vergognoso” che accompagna le persecuzioni dei cristiani e di quanti, “martiri d’oggi, subiscono violenza in nome della fede”. Parole suscitate dalla notizia che, a Natale, nelle cattolicissime Filippine, attacchi integralisti islamici avevano fatto vittime fra i fedeli cristiani in diverse province.


2016 – L’Agenda

1.o gennaio – Ue, l’Olanda assume presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Unione.

1.o gennaio – Cern, Fabiola Gianotti si insedia come direttrice.

20.01 – Davos, World Economic Forum.

01.02 – Usa 2016, con le assemblee di partito nello Iowa e (09.02) le primarie nel New Hampshire, inizia la scelta dei delegati alle conventions.

07.02 – 50° Superbowl del Footbal americano, a San Francisco.

08.02 – Capodanno cinese, si entra nell’Anno della Scimmia.

09.02 – Sanremo, inizia il Festival.

26.02 – Iran, elezioni parlamentari.

28.02 – Cinema, la notte degli Oscar.

01.03 – Usa 2016, primarie, ‘Super-Martedì’, con voti e caucuses in 12 Stati dell’Unione.

14.03 – Spazio, parte Exo Mars, missione europea di esplorazione robotica su Marte.

31.03 – Sicurezza, Washington, Vertice per la sicurezza nucleare.

21.04 – La Regina Elisabetta compie 90 anni.

23.04 – Letteratura, 400° anniversario della morte di Shakespeare.

11/22.05 – Cinema, Festival di Cannes.

26.05 – G7, Vertice in Giappone.

10.06 – Calcio, iniziano gli Europei in Francia (finale il 10.07), dopo la finale, il 28.05 a Milano, della Champions League.

01.07 – Ue, la Slovacchia assume la presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue.

07.07 – Spazio, la sonda Juno della Nasa entra nell’orbita di Giove.

18/21.07 e poi 25/28.07 – Usa 2016, conventions: la repubblicana a Cleveland, Ohio, e poi la democratica a Filadelfia, Pennsylvania.

26/31.07 – Giornate Mondiali della Gioventù a Cracovia, con la partecipazione di Papa Francesco.

05/21.08 – Olimpiadi a Rio de Janeiro.

31.08/10.09 – Cinema, Festival di Venezia.

??.09 – Russia, elezioni parlamentari.

04/05.09 – G20, Vertice a Hangzhou in Cina.

08.11 – Usa, Election Day.

20.11 – Chiusura del Giubileo in Vaticano.

??.11 – Apec, Vertice in Perù.

07.12 – WW2, 75° anniversario dell’attacco di Pearl Harbour.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3276#sthash.ISXNn5n5.dpuf

Arabia Saudita: una strategia di rafforzamento

Medio Oriente
La geopolitica saudita dietro il caso Al Nimr
Eleonora Ardemagni
02/01/2016
 più piccolopiù grande
L’Arabia Saudita inaugura il 2016 giustiziando 47 persone accusate di terrorismo: oltre ad affiliati ad Al-Qaeda, spicca il nome di Nimr Baqer Al Nimr, il religioso di Awamiya leader della protesta sciita che nel 2011 scosse la regione orientale saudita.

Al-Nimr è stato condannato con l’accusa di “sedizione” e di “disobbedienza al sovrano”. Già si segnalano contestazioni di piazza fra l’est saudita e il Bahrein.

Al-Nimr e gli sciiti sauditi 
Al-Nimr è stato condannato per “sedizione” e “disobbedienza al sovrano”. Si susseguono i venerdì di protesta degli attivisti sciiti dell’est saudita: se la sentenza venisse eseguita, per i sauditi “il prezzo da pagare sarebbe pesante”, ha già commentato il viceministro degli esteri dell’Iran, Hossein Amir Abdollahian. Dati i forti legami transnazionali fra le comunità arabo sciite, specie nel triangolo Arabia Saudita-Bahrein-Iraq, queste parole non hanno solo una componente propagandistica.

La comunità sciita saudita vive una condizione dicronica marginalizzazione religiosa, socio-politica e geografica: gli sciiti sauditi (tra cui non solo duodecimani, ma anche ismailiti e zaiditi del sud) sono di fatto discriminati da esercito, polizia, incarichi pubblici e possono manifestare limitatamente la loro fede.

La confessione sciita è maggioritaria nella regione orientale saudita (fra il 10 e il 15% della popolazione nazionale): qui si concentrano le risorse petrolifere, ma la disoccupazione supera la già alta media nazionale.

Gli epicentri della sollevazione del 2011 furono Qatif e Awamiya, il villaggio natale di Al-Nimr, che fu arrestato nel 2012 insieme al nipote Ali, minorenne al momento dei fatti contestati e anch’egli fra i condannati alla pena capitale. Gli scontri, in cui morirono almeno venti cittadini sciiti, furono duramente repressi da polizia e Guardia nazionale, mentre un’analoga operazione militare spegneva la sollevazione a maggioranza sciita del vicino Bahrein.

Protesta politica e minaccia terroristica 
Al-Nimr ha spesso accusato gli al-Saud di tirannia, così come gli al-Khalifa del Bahrein, senza però incitare apertamente alla violenza: al contrario, il religioso di Awamiyaha spronato i suoi sostenitori alla ribellione non-violenta contro gli autoritarismi.

Il potere di Riad - fondato sull’alleanza tra dinastia regnante e clero salafita - ha delegittimato il discorso di Al-Nimr, innanzitutto politico, accusandolo di settarismo nonché di complicità con il “nemico iraniano”.

Al di là degli steccati di setta, Al-Nimr ha anche auspicato la caduta del regime dell’alawita Bashar Al-Assad. Additando il complotto esterno, la narrativa di Stato propagandata da Riad nega l’arabità della comunità sciita saudita così come la legittimità delle sue rivendicazioni, assecondando quel retroterra linguistico-culturale in cui trova spazio la violenza jihadista che nel 2015 ha già colpito due celebrazioni sciite fra Qatif e Damman.

Tra l’altro, gli sciiti dell’Arabia saudita guardano tradizionalmente all’ayatollah iracheno Alì Al-Sistani, molto distante dalla concezione khomeinista. Gli attivisti sciiti dovrebbero essere giustiziati insieme ad affiliati ad Al-Qaeda (per un totale di 52 persone): questa contemporaneità mostra come il potere saudita voglia sovrapporre e confondere, agli occhi del suo popolo, protesta politica e minaccia terroristica.

Lo strumentale settarismo saudita
La logica settaria occupa oggi un ruolo fondamentale nel discorso politico dell’Arabia Saudita, anche a livello regionale. Da tempo, l’esistente dicotomia fra sunniti e sciiti viene esasperata da Riad per fini politici di egemonia mediorientale: una visione divisiva che vuole ricondurre strumentalmente tutti gli sciiti a una presunta identità etnica persiana, dunque percepita come ostile.

Questa strategia culturale influisce sulle scelte di politica estera e di sicurezza del regno saudita, come testimonia la formazione di una “coalizione militare islamica contro il terrorismo”, annunciata da Mohammed bin Salman, ministro della difesa e vice principe ereditario.

Infatti, l’ipotetica alleanza guidata da Riad esclude i paesi mediorientali a governo sciita (Iran, Iraq, Siria) e mette in imbarazzo quelli in cui gli sciiti sono attori politico-militari decisivi (Libano) o forti minoranze (Pakistan), trasformandosi, di fatto, in una potenziale alleanza anti-sciita, al pari del progetto di esercito unico arabo, ora bloccato.

L’unica coalizione militare araba già operativa sta bombardando le milizie sciite dello Yemen. Inoltre, qualsiasi alleanza anti-terrorismo è destinata a rimanere sulla carta - o a fungere solamente da campagna d’immagine - senza una preliminare definizione degli obiettivi considerati terroristici (che fare con i Fratelli Musulmani?).

La decisione di re Salman sul caso Al-Nimr indicherà la direzione futura della politica regionale saudita: inasprimento del conflitto indiretto con l’Iran o allentamento delle tensioni mediorientali. Il sovrano potrebbe anche temporeggiare: così lascerebbe strumentalmente aperti tutti gli scenari mentre, fra Damasco e Sana’a, si negozia per provare a ricomporre le crisi regionali più acute.

Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes, Storia Urbana. Gulfanalyst per la NATO Defense College Foundation.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3277#sthash.mkVZX7gm.dpuf

Italia: un anno interessante per la politica di difesa italiana

Italia e Alleanza Atlantica 
Nato: anno nuovo strategia nuova? 
Paola Sartori, Alessandro Marrone
05/01/2016
 più piccolopiù grande
Le crisi in Libia, Iraq e Siria, oltre ai complessi rapporti tra Occidente e Russia intrecciati con lo scacchiere mediorientale, fanno del 2016 un anno caldo per la politica di difesa italiana.

Anno che sarà segnato dal vertice Nato in programma a luglio a Varsavia che costituisce una tappa importante per definire la linea d’azione dell’Alleanza sul fianco meridionale e su quello orientale, un’occasione per Roma per portare al tavolo multilaterale con gli alleati le proprie proposte per affrontare problemi comuni direttamente connessi agli interessi nazionali.

In particolare rispetto al fianco sud, è importante che l’Italia si impegni nella definizione di un’iniziativa nazionale in grado di contribuire ad una strategia comune europea ed euro-atlantica. Ciò appare tanto più necessario se si considerano da un lato l’attenuata leadership americana in ambito Nato e rispetto a Medio Oriente e Nord Africa e, dall’altro, il crescente carattere nazionale della politica estera e di difesa dei principali Paesi alleati.

In questo contesto, l’adozione da parte dell’Alleanza di un approccio tematico potrebbe consentire di riavvicinare i Paesi del “fianco sud” , raccogliendo il consenso necessario per l’attuazione di risposte efficaci alle attuali sfide alla sicurezza dell’area. Iniziative mirate per affrontare le singole problematiche con cui i diversi Paesi della regione euro-mediterranea si trovano a fare i conti, in primis terrorismo e sicurezza marittima, potrebbero inoltre giovarsi di un rafforzamento della cooperazione con l’Unione europea, Ue.

Nato-Ue contro il terrorismo
Rispetto al terrorismo fondamentalista l’azione atlantica potrebbe prevedere la condivisione di sistemi di intelligence e un uso coordinato degli assetti terrestri, navali, aerei e satellitari dei Paesi sia Nato che Ue nonché dell’Alleanza nel suo complesso - ad esempio il sistema Alliance Ground Surveillance, con importanti assetti in Sicilia - cercando di superare gli ostacoli derivanti dalla questione turco-cipriota.

A tal fine potrebbero essere attivati gli accordi Berlin Plus per mettere a disposizione dell’Ue le capacità alleate necessarie e disponibili. Ciò consentirebbe di migliorare la situational awareness nella regione euro-mediterranea e quindi l’efficacia della campagna internazionale di contrasto al terrorismo.

Inoltre, una compresenza Nato ed Ue - con leadership europea - nel combattere la minaccia terrorista consentirebbe di superare i limiti di una linea d’azione caratterizzata da una somma di cooperazioni bilaterali, come quelle che legano la Francia e altri Paesi occidentali: punto di partenza, ma non certo di arrivo nella lotta al terrorismo.

Una maggiore sinergia sarebbe auspicabile anche nell’ambito delle iniziative di assistenza ai Paesi partner nel fianco sud - spesso bersagli e/o luoghi di origine del terrorismo fondamentalista - tra i programmi Nato di Defence Capacity Building e quelli dell’Unione volti al rafforzamento delle istituzioni locali (inclusa, ma non solo, l’iniziativa Ue Train & Equip).

Sicurezza marittima nel Mediterraneo 
Rispetto alla sicurezza marittima nel Mediterraneo, l’azione Nato dovrebbe muoversi sia a livello strategico che operativo. A livello strategico, la necessità di elaborare una nuova Alliance Maritime Strategy, che aggiorni il precedente documento risalente al 2011, potrebbe sfruttare la possibilità di cooperazione con l’Ue, soprattutto considerando l’adozione, nel 2015, della EU Maritime Security Strategy, e il processo di riflessione strategica in corso per elaborare una nuova EU Global Strategy.

In linea con il Concetto Strategico Nato e in relazione con il Readiness Action Plan (Rap) e i piani di utilizzo della Very High Readiness Joint Task Force (Vjtf), la nuova strategia marittima atlantica dovrebbe considerare anche la rimodulazione degli Standing Maritime Groups Nato per renderli più reattivi ed utilizzabili e il rafforzamento delle strutture di comando e controllo marittime alleate sul fianco sud.

A livello operativo, data l’accresciuta presenza aeronavale russa e cinese nel Mediterraneo è importante che l’Alleanza riprenda e intensifichi le attività di presidio, sorveglianza ed esercitazioni per assicurare la prontezza operativa del deterrente alleato e contribuire alla Maritime Security Awareness rispetto ad assetti tecnologicamente avanzati, convenzionali e nucleari, di Paesi non-Nato.

Allo stesso tempo, l’operato delle diverse missioni Nato, europee e nazionali nel Mediterraneo - Active Endeavour, Triton, EUNAVFORMED e Mare Sicuro - andrebbe ridefinito e reso più sinergico per evitare il rischio di mandati non coordinati o sovrapposti, duplicazioni e sprechi di risorse, a beneficio dell’efficienza e dell’efficacia delle operazioni stesse.

Fianco sud nell’agenda del vertice di Varsavia
Infine, per l’adozione di una strategia comune europea ed euro-atlantica è importante che il Rap, la Vjtf e la Nato Response Force (Nrf) siano sviluppati e attuati mettendo sullo stesso piano fianco est e fianco sud, sia militarmente che politicamente, in attuazione del principio alleato di forze dispiegabili a 360 gradi, sia all’interno dei territori Nato per la difesa collettiva, sia “fuori area” nel caso di missioni di gestione delle crisi.

Ciò richiede la modernizzazione dei concetti di deterrenza e difesa perché risultino efficaci anche di fronte a minacce ibride e non convenzionali, lo sviluppo di piani militari e scenari di impiego che considerino sia il fianco sud sia il fianco est per Vjtf e Nrf, il posizionamento di assetti e/o comandi, in maniera permanente e/o a rotazione, sia nell’Europa centro orientale che negli stati membri dell’area del Mediterraneo, ed infine una coerente pianificazione di esercitazioni e simulazioni.

Nell’ottobre 2015, su forte impulso dell’Italia che ha costruito il consenso necessario a partire dagli altri Paesi mediterranei, i ministri degli esteri Nato hanno adottato la Strategic Level Guidance, un passo importante in questa direzione, da attuare e sviluppare ulteriormente in vista del prossimo vertice di Varsavia.

Alessandro Marrone, Responsabile di Ricerca Programma Sicurezza e Difesa; Twitter @Alessandro__Ma.; Paola Sartori, Assistente alla Ricerca Programma Sicurezza e Difesa; Twitter @SartoriPal.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3279#sthash.fYo98R9G.dpuf

domenica 3 gennaio 2016

Economia: Prospettive future

Perché non basta la sola crescita
Contro le guerre priorità al lavoro
Laura Mirachian
28/12/2015
 più piccolopiù grande
Olivier Blanchar, fino a ieri capo economista del Fondo monetario internazionale , Fmi, commentando il rialzo dei tassi di interesse della Fed a lungo annunciato e ora deciso, evidenzia i limiti della politica monetaria ai fini della ripresa, e sostiene di non aspettarsi miracoli nemmeno dalle riforme strutturali, segnalando invece la priorità di creare lavoro e di contrastare con “misure appropriate” il fenomeno delle diseguaglianze sociali.

Moralmente sbagliato, politicamente pericoloso, dice. Sullo stesso tasto batte del resto da tempo Christine Lagarde, aggiungendo tra le raccomandazioni la promozione del ruolo e l’empowerment delle donne.

Le diseguaglianze e la Sponda sud
Ancorché evocato ormai da numerose sedi internazionali e dai più attenti economisti, il tema delle diseguaglianze, accentuatesi vistosamente durante questi anni di crisi e di recessione, non è ancora arrivato a pieno titolo sui tavoli che contano.

Si riconosce il fenomeno, ma si spera che prima o poi la ripresa economica comporti automaticamente un risanamento. Ancorché siano in pochi, ivi incluso oltre Atlantico, a prevedere una ripresa sicuramente solida e ravvicinata.

Pesano inoltre le incognite della Cina e dell’ex-terzo mondo che dal rialzo dei tassi americani potrebbero anzi subire ripercussioni negative in termini di drenaggio di capitali stranieri, e pesa, per quanto riguarda il lavoro, la rivoluzione epocale riconducibile alla globalizzazione e alle nuove tecnologie che su di esso avranno un crescente impatto.

Eppure, nessuno può negare che i gravi sovvertimenti politico-sociali che ci circondano non abbiano a che fare con le diseguaglianze e con la mancanza di lavoro. Valgano i richiami di Papa Francesco.

Ricordiamo come scattò la scintilla delle “primavere arabe”? L’episodio del giovane tunisino con il suo carretto di frutta non autorizzato? La vicenda infiammò miriadi di altri giovani propagandosi nel vasto scenario del mondo arabo, e travolgendo incaute leadership lontane dai propri popoli, fino ad approdare alle guerre civili tuttora in corso e ai vuoti istituzionali colmati dal radicalismo estremo.

Al di là delle tinteggiature religiose, “giustizia” è lo slogan che attrae queste masse, la rivendicazione storico-sociale-politica che sorregge guerre e rivolte, la spinta che le alimenta, sfruttata a fondo da menti insane e affamate di potere.

Ed è la ricerca di “lavoro” che, sommata a insostenibili condizioni generali di vita, ammassa su precari barconi folle di giovani africani, anch’essi a lungo abbandonati da dirigenze predatorie e autoreferenziali.

L’approccio MED 2015
Correttamente la riflessione italiana, che spesso anticipa quella di altri partner perché poggia su solide tradizioni umanistiche che mettono al centro bisogni e aspirazioni della persona, propone - come da ultimo nella Conferenza Internazionale MED 2015 alla Farnesina - un approccio che non si limiti alla lotta al terrorismo, pur indispensabile a questo stadio, ma metta in campo una “strategia integrata” che utilizzi ogni strumentazione disponibile, nazionale, regionale, multilaterale, sul piano dello sviluppo economico e sociale, e non ultimo culturale.

La Conferenza, che ha riunito oltre 400 rappresentanti del mondo politico, economico, culturale, ha prospettato, accanto a misure di prevenzione della radicalizzazione, all’interruzione dei finanziamenti alle entità terroriste, a una narrativa di contrasto a quella utilizzata dal terrorismo, a una equilibrata politica per l’immigrazione, nuove opportunità di crescita economica (anche con l’apporto del settore privato e di una Banca per il Mediterraneo), e il rilancio di una cooperazione culturale.

Quanto al metodo, una paziente ricucitura del dialogo ai vari livelli e segmenti della società, che gradualmente favorisca una migliore comunicazione in un’ottica di rispetto delle identità culturali.

Una strategia che non può esaurirsi in pochi mesi, e nemmeno probabilmente in pochi anni, ma che potrà rivelarsi vincente. Colmare le distanze, sanare per quanto possibile le ferite storiche, e gli errori più recenti, impostare un tragitto che poggi sulla fiducia della gente e non solo delle leadership, pensare ai bisogni concreti, lavoro e opportunità di scalata sociale, che significa speranza per il futuro. Utilizzare la generosità dei nostri giovani, e del nostro volontariato, e non ultimo il prezioso contributo femminile.

Una strategia impegnativa, che richiede una revisione delle politiche del recente passato di mera esportazione in blocco dei nostri valori, sperimentata con clamorosi insuccessi ivi incluso dall’Unione europea con la sua stringente “condizionalità”.

I valori non si trasferiscono “oneshot”, maturano gradualmente, il nostro compito è semmai di accelerare questa maturazione, coltivando le istanze migliori delle altrui società e alimentando la crescita dei ceti medi.

In tal senso sembra muovere del resto anche la Ue con la Nuova Politica di Vicinato in corso di definizione, che evoca appunto un “approccio integrato” , ponendo l’accento sull’occupazione in particolare dei giovani, sulla modernizzazione economica e l’impresa, su una maggiore flessibilità nell’uso degli strumenti finanziari, e sul principio di una più decisa “ownership” degli stessi partner mediterranei.

Non si può che auspicare che queste idee non subiscano attenuazioni o distorsioni lungo il dibattito dei prossimi mesi e si traducano in proposte di lavoro concrete.

All’Italia spetta il compito di evitare che l’Unione soccomba a regolamenti obsoleti e ripieghi in una dimensione difensiva, e ritrovi invece spirito di solidarietà e slancio politico e morale: la migliore garanzia per la propria sicurezza.

Laura Mirachian, Ambasciatore, già Rappresentante Permanente presso l’Onu, Ginevra.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3275#sthash.K6vydbmv.dpuf