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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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sabato 31 maggio 2014

Europe:A predictable earthquake


Voters in the European Union sent a strong message last week, with populist and eurosceptic parties topping the polls in a number of countries, most notably the Front National in France and the UK Independence Party in the UK. It is important to keep this in perspective, though. While the elections will bring domestic political instability to France and the UK, in many countries mainstream parties dominated, for example in Germany and - encouragingly - in Italy.

This largely reflects how citizens feel about how their countries are being managed at the national level: where they are happy, mainstream parties did well. It has been clear for a long time that mainstream parties in France and the UK are failing to connect with their electorates, leaving the way open for the insurgents to fill the political vacuum.

Despite the surge in support for populists, mainstream parties will continue to enjoy a solid majority in the European Parliament. For the most part, the direct effect of the election on the laws get passed in the EU will be minimal, although progress on international trade deals may become more complicated. And as the bickering over the choice of a new European Commission president illustrates, horse-trading looks set to remain the EU's decision-making mechanism of choice, despite the fact that it is one of the causes of voters' discontent.

How do you think these election results will play out at the national and EU level? Let me know on Twitter 
@Baptist_Simon or via email on simonjbaptist@eiu.com. 

Best regards,

Simon Baptist

martedì 27 maggio 2014

Scenario pakistano: segnali contradittori

Pakistan
Pakistan 146

Martedì 20 maggio, l’Aviazione pakistana ha condotto un’operazione militare nel Nord-Waziristan, all’interno della regione denominata FATA (Federal Administered Tribal Areas). I raid aerei si sono concentrati su Mir Ali, situata a circa 40 km dal confine afghano, e avrebbero provocato 60 vittime e 30 feriti tra gli insorti, presumibilmente appartenenti alle milizie talebane del TPP (Taliban Movement of Pakistan), organizzazione “ombrello” di ribelli di etnia Pashtun attiva nell’area sin dal 2007 e attualmente guidata dal leader talebano Maulana Fazlullah.
Le trattative intavolate tra una delegazione di ribelli talebani e i rappresentanti del Primo Ministro Nawaz Sharif vanno avanti da mesi senza esito, oscillando tra apparenti segnali di avvicinamento e marcate prese di distanza.
La differenza di vedute tra la politica oltranzista dei militari, propensi a continuare l’offensiva contro i ribelli nel Nord del Paese, e l�! �ala dialogante, rappresentata dal governo Sharif, segnala una divisione interna al potere centrale e rende complessa la definizione di una strategia univoca da parte delle istituzioni, in uno scenario come quella pakistano, nel quale le Forze Armate hanno storicamente detenuto una posizione di rilievo.
In questo senso, le recente presa di posizione di Fazlullah, il quale ha fatto sapere che la lotta portata avanti contro il governo di Islamabad andrà avanti sino a quando la Legge Islamica non sarà introdotta in Pakistan, sembra poter produrre l’effetto di acuire le divisioni interne tra le Forze Armate e il Governo Nazionale e di radicalizzare lo scontro in atto.
I contraddittori segnali che provengono dallo scenario pakistano lasciano supporre, quindi, che il conflitto in atto possa continuare a svolgersi sul “doppio binario” della diplomazia e del confronto militare, lasciando al momento irrisolta la fondamentale questione di sicurezza che allarma lo Stato! pakistano.

Fonte CEsi Roma

venerdì 23 maggio 2014

La Svizzera farà scuola? A margine delle elezioni legislative

Legislative a Bruxelles
Il Belgio come la Svizzera?
Cosimo Risi
14/05/2014
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Alcuni tendono a comparare se non a mettere insieme i casi di Belgio e Svizzera. Il fattore comune è dato dal multilinguismo con la convivenza sotto lo stesso tetto federale, o confederale, di vari popoli e varie culture. Rispetto a quello svizzero, il panorama belga è relativamente più semplice sotto il profilo della varietà e più complesso sotto quello dei rapporti fra comunità.

La grosse koalition Di Rupo
Il 25 maggio il Belgio vota contemporaneamente per le elezioni legislative e le europee. Un banco di prova per il governo di Elio Di Rupo, entrato in funzione dopo la crisi che vide il paese senza un governo per 540 giorni.

Un esecutivo di coalizione, una sorta di grosse koalition alla belga, in cui ci stanno tutte o quasi le componenti fiamminghe e francofone di liberali, cristiano-democratici, socialisti.

I risultati del governo di Di Rupo, verso il quale noi italiani abbiamo il naturale trasporto per chi, figlio d’immigrati abruzzesi, si è fatto strada nel paese di accoglienza, sono ragguardevoli. E non solo per avere superato il lungo stallo istituzionale.

Il Belgio ha recuperato la fiducia dei mercati internazionali: lo spread si è ridotto di molti punti, i conti pubblici rivedono l’equilibrio senza che il paese si sia avvitato in una spirale deflazionistica, i deficit 2013 e 2014 si riallineano.

Sul piano interno la tregua nella querelle fra comunità, che spinge alcuni della parte fiamminga a ipotizzare la divisione del paese in due tronconi, trova un punto di compromesso sulla questione della circoscrizione della parte fiamminga di Bruxelles.

La stessa Bruxelles, agli occhi di chi ci ha vissuto a lungo e torna da visitatore, appare del tutto trasformata negli usi e nei costumi. L’inglese è la lingua terza che avanza. Gli orari degli esercizi commerciali si allungano. I ristoratori che prima andavano a letto con le galline, ora tirano tardi quasi al cantare del gallo.

Il jazz continua a essere la colonna sonora del vieux quartier che va dal Sablon alla Grand Place. Non si consumano solo frites et moules et bière, la dieta varia, accanto agli onnipresenti italiani trovi ristoranti di ogni tipo e, purtroppo, di ogni qualità.

Pulsioni separatistiche e regionalistiche 
La Bruxelles europea s’internazionalizza e certe polemiche che avevano senso nella grande capitale d’un piccolo Regno perdono senso nella grande capitale della grande Europa.

L’allargamento dell’Unione europea (Ue) del 2004-2007 ha toccato la morfologia di Bruxelles, che ha pure avuto il riconoscimento al suo ruolo di “capitale d’Europa” nel Trattato sull’Ue. Nei tempi Rue de la Loi figurava come “indirizzo provvisorio” della Commissione, ora il Berlaymont e il Justus Lipsius dominano lo skyline cittadino e continentale.

Il problema di una capitale ipertrofica rispetto al resto del petit et plat pays di Jacques Brel non è per questo risolto. Pulsioni separatistiche e regionalistiche mettono in discussione quello che pareva il dogma del Belgio: l’europeismo. Al punto che era comune ritenere che acquis belge e acquis communautaire fossero all’incirca la stessa cosa.

Il Regno resta il collante di una società molto articolata. Il passaggio dinastico da Alberto II a Filippo I è stato morbido e ha riaperto il dibattito interno sull’opportunità di rivedere le prerogative reali se non la stessa monarchia.

La soluzione repubblicana resta sullo sfondo ed è evocata tiepidamente dagli stessi seguaci dell’idea. Il Vlaams Belang, il partito nazionalista fiammingo, proclama la sua fede repubblicana per rivendicare l’autonomia: “siamo per la repubblica delle Fiandre”.

Altri dirigenti fiamminghi la pensano allo stesso modo, ma tengono l’idea nel retro della mente. Il mondo politico vallone sarebbe aperto al dibattito istituzionale, ma solo dopo le elezioni e verificati tutti gli scenari che verrebbero da una scelta del genere.

Guy Verhofstadt, duplice candidato 
Le prossime elezioni sono segnate dalla figura di Guy Verhofstadt, il duplice candidato del partito liberale e dell’Alde. Fra i possibili candidati alla presidenza della Commissione, Verhofstadt è il solo a evocare la prospettiva federale con schiettezza. La chiama col suo nome e senza ricorrere alle perifrasi di comodo tipo “vogliamo più Europa”.

Il suo federalismo a tutto tondo gli chiama simpatie fra quelli che ne condividono il sogno anche se in formazioni diverse dall’Alde ( si pensi alla nostra Barbara Spinelli, candidata nella lista per Tsipras), ma gli attira le critiche, in patria e fuori, di chi attribuisce all’Europa i mali del continente. Anzitutto per la politica di rigore che ha messo in ginocchio le economie di alcuni stati membri e diffuso disoccupazione e disagio sociale.

I sondaggi assegnano un vantaggio all’Alleanza Fiamminga di Bart De Wever, che mira a portare il partito al governo per rompere il blocco di liberali - cristiani - socialisti. Nel contempo il 33% degli intervistati vorrebbe che l’esperienza Di Rupo continuasse nel segno della ritrovata stabilità. L’estrema sinistra punta ad affermarsi in contestazione ai socialisti, giudicati troppo morbidi nella loro voglia di grande coalizione.

L’europeismo col turbo del Belgio sarà chiamato alla prova, il 25 maggio, da vecchi e nuovi euroscettici. La frontiera belga dovrà mostrarsi ben più salda della linea dei forti nelle Ardenne durante l’ultima guerra. Le Ardenne - si pensava - erano barriera insormontabile per i mezzi corazzati. L’Ue ha bisogno che il Belgio resti nella parte di stato membro fondatore.

Cosimo Risi è Ambasciatore d’Italia in Svizzera; ha servito a lungo a Bruxelles.
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Io Voto in Europa


Dall'Ue all'Ucraina. Ma anche Egitto, Belgio e Irlanda. Ci attende un fine settimana fitto di elezioni. 
Quanto dovremo aspettare per conoscere il nome del presidente della Commissione europea? Come hanno reagito gli europei allo sbarco del faccia a faccia televisivo tra i leader che potrebbero presiedere l'esecutivo di Bruxelles? 
Nell'Ucraina in crisi il re del cioccolato riuscirà a battere la principessa del gas? Nella sponda sud del Mediterraneo, l'ex generale Sisi si prepara al plebiscito che lo incoronerà presidente egiziano. Ma quali sfide dovrà affrontare? A parlarne con Affarinternazionali è il suo sfidante, lo storico leader dell'opposizione di sinistra, Hamdeen Sabbahi.

In previsione delle elezioni del Parlamento europeo, Affarinternazionali dedica ai giovani elettori il Dossier "IO VOTO IN EUROPA". Il Dossier è stato presentato presso le Università di Catania, Pisa, Torino e Trento.

mercoledì 21 maggio 2014

Russia: potenziata la difesa anti- missilistica di MOsca


russia
Un terzo reggimento armato del sistema antiaereo S-400 è stato schierato dalle Forze Armate russe a difesa di Mosca e della regione circostante, la più popolosa e la più industrializzata di tutta la Russia. Il reggimento è stato schierato presso la cittadina di Zvenigorod e si aggiunge a quelli già dislocati presso Dmitrov ed Elektrostal. Altri reggimenti armati di S-400 sono già schierati a Nakhodka, nei pressi di Vladivostok, a Kaliningrad, sul Baltico, e a difesa del Distretto Militare Meridionale.
Schierato per la prima volta nel 2007, l'S-400 è destinato a diventare il perno del sistema russo di difesa aerea: entro il 2020, infatti, è in programma il dispiegamento di 28 reggimenti, ognuno costituito da 2-3 battaglioni, dotati a loro volta di quattro sistemi ciascuno. Con questi numeri il sistema potrebbe non essere sufficiente a garantire la protezione dell'intero territorio russo, ma una volta dislocato lungo i confini e lungo le coste dovrebbe garantire la difesa delle città principali e delle installazioni strategiche.
Sviluppato dall'Almaz Central Design Bureau nella seconda metà degli anni '90, come upgrade della piattaforma S-300, l'S-400 può colpire un massimo di 26 bersagli simultaneamente, fino ad una distanza di 400 km e ad un altitudine di 50 km. Può inoltre utilizzare una vasta gamma di munizioni, capaci di coprire tutte le distanze di ingaggio e tutte le tipologie di bersagli, inclusi velivoli e missili, sia balistici che da crociera.
L'S-400 ha suscitato da sempre un certo interesse sul mercato internazionale, nonostante nel 2012 l'agenzia Rosoboronexport avesse chiarito che il sistema non sarebbe stato esportato prima del 2015 e che, nel frattempo, tutte le unità prodotte sarebbero state destinate al mercato interno. Secondo fonti di stampa, però, il Presidente russo Putin avrebbe recentemente autorizzato la vendita dell'S-400 alla Cina, interessata al sistema SAM già dal 2011. Una Cina dotata di S-400 risulterebbe certamente capace se non di modificare a proprio vantaggio i rapporti di forza sullo scacchiere asiatico, almeno di controbilanciare efficacemente le mosse dei propri avversari, costringendo Paesi come Taiwan, Giappone e India a rivedere, o a rafforzare, le proprie opzioni strategiche, sia in termini di armamenti che dottrinali.

Fonte CESI Roma

venerdì 16 maggio 2014

Potere d'acquisot dell'Asia


(versione originale in lingua inglese. traduzione automatica in lingia italiana)

Alla fine di aprile Programme confronto internazionale della Banca mondiale (ICP) ha pubblicato nuovi dati che evidenzia che lo spostamento del peso economico di sviluppo ai mercati emergenti è ancora più rapido quando l'attività economica è misurata a parità di potere d'acquisto (PPP) tassi di cambio. Ad aprire la strada sono stati tre grandi economie emergenti dell'Asia (Cina, India e Indonesia), che nel 2011 aveva classificato come secondo, terzo e decimo più grandi economie del mondo, rispettivamente, secondo i calcoli della ICP. I nuovi numeri suggeriscono che la Cina soppiantare gli Stati Uniti come più grande economia del mondo nel 2014 su questa misura, ma ci sono molte ragioni per trattare i dati con cautela.
L'idea che la Cina supererà gli Stati Uniti come più grande economia del mondo quest'anno ha fornito carburante profeti di sventura in quest'ultimo paese preoccupato per il declino dell'influenza degli Stati Uniti sulla scena mondiale. In precedenza, in base all'ultima versione del PPA forniti dalla ICP nel 2005, aveva guardato come la Cina potrebbe superare gli Stati Uniti solo nel 2019. In Asia, l'India ha superato il Giappone a diventare la terza più grande economia del mondo misurata in cambio PPP tassi.Quando l'ICP ha fatto la sua ultima revisione nel 2005, aveva classificato l'economia indiana come solo il 10 ° più grande in termini di PPP.
Il grafico mostra i dieci maggiori economie nel 2011 con PPA e tassi di cambio di mercato
La Cina è davvero più grande economia del mondo?
È importante notare che la ICP non ha scoperto nuove attività economiche. Il "potere" economico di paesi come Cina e India non è aumentato: le transazioni economiche globali sono condotte a tassi di cambio di mercato, non quelli PPP. L'Economist Intelligence Unit prevede che il PIL della Cina a tassi di cambio di mercato raggiungerà US $ 10.4trn nel 2014, ma questo è ancora inferiore al 60% della dimensione dell'economia degli Stati Uniti, a US $ 17.6trn.
In pratica, l'uso delle PPA tende ad aumentare la dimensione apparente delle economie in via di sviluppo rispetto a quelli più ricchi. Questo riflette il fatto che una certa quantità di dollari convertiti ai tassi di cambio di mercato comprerà più beni e servizi in molti mercati emergenti che lo farà in un paese sviluppato. Tuttavia, il compito di misurare l'attività economica a tassi di cambio PPA rimane molto difficile. La teoria dietro l'idea è semplice: la produzione economica di un paese comprende molti beni che non sono commerciabili attraverso le frontiere, in modo da utilizzare i tassi di cambio di mercato per misurare il PIL può essere fuorviante se i prezzi dei beni non commerciabili sono sistematicamente diversi. Dato che i beni non commerciabili, come i pasti al ristorante o tagli di capelli, sono spesso alta intensità di lavoro, i bassi salari nei mercati emergenti in genere significa che questo è il caso. Inoltre, i tassi di cambio di mercato possono oscillare violentemente da un anno all'altro, distorcendo il confronto tra le economie. Il sistema dei tassi di cambio PPA cerca di produrre un modo di confrontare i prezzi di un paniere di beni e servizi tra i paesi per produrre una misura della performance che conta la quantità di beni e servizi prodotti non distorto da tali differenze di prezzo.
Ci sono molti difetti nell'idea di PPP, tuttavia. Forse il più importante è che trovare un paniere di beni e servizi di confrontare i prezzi tra i vari paesi è praticamente impossibile. Paesi producono (e consumano) molto diversi tipi di beni e servizi, e le differenze di qualità sono difficili da prendere in considerazione. Il cibo in Cina può essere più conveniente che negli Stati Uniti, ma i consumatori negli Stati Uniti non si deve preoccupare nella stessa misura per la sicurezza alimentare, perché una parte del prezzo più alto che pagano va verso il mantenimento di un regime di regolamentazione e di controllo più severe. Ad aggravare queste preoccupazioni, ci sono stati taglienti cambiamenti nei tassi di cambio PPP utilizzati dal ICP tra il 2005 e il 2011, che solleva interrogativi sulla presunta maggiore stabilità dei tassi di cambio PPP.
Allora a che serve PPP?
I problemi legati all'uso PPA significa che molti economisti considerano i tassi di cambio di mercato l'unica misura adeguata da utilizzare quando la classifica le dimensioni delle diverse economie di tutto il mondo. Certo, per le aziende che vogliono valutare le opportunità di business, i tassi di mercato sono quelli che contano. Il governo cinese sembra condividere questo punto di vista, e si rifiutò di cooperare con l'ICP nel suo lavoro (sollevando ulteriori informazioni sui dati utilizzati per la Cina). La decisione della amministrazione cinese potrebbe essere stato spinto in parte dalla preoccupazione che i dati risultanti possono essere utilizzati da coloro sostenendo che la crescente peso economico della Cina significa che il paese dovrebbe fare di più per affrontare problemi globali come il cambiamento climatico.
PPA sono i più utilizzati per confrontare e il contrasto produzione pro capite nei diversi paesi, piuttosto che di rango economie in termini di dimensioni. La forza economica della Cina, India e Indonesia deriva in parte dai loro grandi popolazioni. Essi sono molto più deboli in termini di prodotto pro capite, pari a US $ 9202, US $ 4,960 e US $ 8389 rispettivamente nel 2011 sotto le cifre PPP appena aggiornati. Ciò a fronte di US $ 51.605 negli Stati Uniti e una media globale di US $ 13.258.
Indicando monete sottovalutate
Un ulteriore uso del PPA è quello di avere un'idea di quali valute sono sottovalutati.India e le azioni di Indonesia dell'economia mondiale sotto misure di PPP, al 6,4% e al 2,3% rispettivamente, sono circa il doppio proprie quote se misurato dai tassi di cambio di mercato. (Entrambi i paesi hanno registrato un sensibile deprezzamento delle loro valute nei confronti del dollaro USA a partire dal 2011, che non farà che hanno ampliato il rapporto). Questo suggerisce che i prezzi di beni e servizi che non sono negoziati attraverso i confini sono molto a buon mercato in India e in Indonesia, anche in confronto con quelli di molte nazioni a basso reddito in Africa. Il livello dei prezzi per la spesa pubblica in Indonesia è stato particolarmente basso rispetto alle altre componenti di spesa del PIL a PPA, suggerendo che la spesa pubblica potrebbe essere un modo più efficace per ridurre la povertà, che rimane endemica nel Paese. Al contrario, il livello dei prezzi per la formazione di capitale fisso in India era alto.Questo potrebbe riflettere una serie di fattori, tra cui problemi come il trapianto che aumentano il costo dell'investimento.
I mercati emergenti arrivano a dominare l'economia globale
I nuovi dati del tasso di cambio PPP hanno molti problemi e possono essere facilmente fraintese. Tuttavia, qualunque sia la fondatezza delle figure, che hanno nuovamente attirato l'attenzione su una tendenza secolare che è evidente sia con PPP o cambio di mercato. I mercati emergenti sono rappresentano una quota crescente della produzione economica globale, e più grandi economie asiatiche stanno conducendo la carica. Le aziende che desiderano avere successo in questo ambiente globale dovranno seguire il denaro.
Fone Economic Intelligence UNIT 13 maggio 2014

martedì 13 maggio 2014

Lavoro: una prospettiva europea da sinistra

Diritto del lavoro
La battaglia globale della nuova sinistra europea
Andrea Scavo
09/05/2014
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La globalizzazione dell'economia è entrata negli ultimi decenni in una fase estremamente avanzata, che sta radicalmente modificando le dinamiche economiche nelle diverse aree del globo, cambiando gli equilibri storici tra capitale e lavoro all'interno delle economie nazionali.

L'evoluzione delle tecnologie di comunicazione, l'abbattimento dei costi di trasporto delle merci e la riduzione delle barriere tariffarie sui traffici commerciali sono tre fenomeni che stanno di fatto realizzando una transnazionalizzazione dei sistemi produttivi. Il capitale, molto più del lavoro, si "globalizza", e l'impresa transnazionale si mette nelle condizioni di organizzare un ciclo produttivo su cinque continenti.

Dumping sociale
Le economie nazionali entrano in competizione tra loro per attrarre questo capitale. I governi nazionali cercano in tutti i modi di rendere il sistema-paese più appetibile agendo sulle leve fiscali, offrendo incentivi, ma anche mantenendo "economicamente vantaggiosa" la manodopera nazionale.

Si realizza così un vero e proprio dumping sociale, in cui le economie emergenti sfruttano le loro normative più flessibili in materia di lavoro per agevolare le imprese straniere che hanno investito sul loro territorio. E le economie occidentali arrancano, in una "corsa al ribasso" che si realizza sulle spalle dei lavoratori.

Questo dumping, questa concorrenza "sleale" è la faccia perversa della globalizzazione.

Contro-rivoluzione industriale 
In Occidente, il tessuto industriale si sta inesorabilmente sfaldando. La concorrenza delle economie emergenti è fortissima. A partire dai settori produttivi a più basso valore aggiunto, ma sempre più anche in settori "di eccellenza", come la meccanica di precisione, il design e o l'hi-tech. Le imprese occidentali delocalizzano alla ricerca dei minori costi di produzione.

È una vera e propria contro-rivoluzione industriale con conseguenze tragiche per l’occupazione. Gli “operai” sono passati da un terzo a un quarto del totale dei lavoratori europei negli ultimi vent’anni. Solo in Italia si sono persi più di due milioni di posti di lavoro nel manifatturiero in trent’anni.

Non va molto meglio per le economie emergenti: l'attrazione dei capitali stranieri garantirà sì una crescita in doppia cifra, ma la struttura economica e sociale ne risulta compromessa. La dipendenza dal capitale straniero rende quelle economie estremamente esposte alle fluttuazioni economiche internazionali, così come la natura export-led della domanda.

L'assenza di un mercato interno consistente e stabile (il ceto medio) crea disuguaglianze e iniquità. Il vantaggio competitivo rappresentato da una manodopera a basso costo (e priva di diritti) permette di attrarre investimenti, ma costituisce un freno allo sviluppo economico e (soprattutto) sociale. Dover essere (e dover restare) competitivi può diventare una "trappola da sottosviluppo".

Deindustrializzazione e crisi
La spina dorsale del sistema economico europeo sta crollando, sotto i colpi della deindustrializzazione. E un sistema in difficoltà, come abbiamo imparato in questi ultimi anni sulla nostra pelle, è facile preda della speculazione internazionale.

In Europa, la crisi economica che stiamo vivendo è nata a causa del debito sovrano. In alcuni paesi mediterranei il rapporto debito/Pil è diventato insostenibile. In realtà il problema sta nel secondo termine di questo rapporto: è il Pil a non crescere più abbastanza. Soprattutto a causa della deindustrializzazione in atto. La crisi finanziaria americana iniziata nel 2007 ha solo accelerato il declino. L'economia europea era già in agonia.

L'Europa deve recuperare la sua vocazione produttiva. Deve rimettere al centro il lavoro ed evitare di trasformarsi in una terra destinata solo al consumo. Per fare questo deve spezzare la dinamica del dumping sociale e della corsa al ribasso. È vano illudersi di poter competere "al ribasso" con i paesi in via di sviluppo. È inutile e socialmente distruttivo.

Riforma del regime del commercio internazionale
L'Unione europea, che ha competenza esclusiva in materia di commercio internazionale, deve proteggere la nostra concezione dei diritti e del welfare. Il commercio internazionale non può incentivare il deterioramento delle condizioni dei lavoratori e lo smantellamento dello stato sociale. Il regime del commercio internazionale deve essere riformato per impedire che il non rispetto dei diritti fondamentali del lavoro rappresenti una fonte di vantaggio competitivo.

Come farlo? Con una "clausola sociale", introdotta nell'ordinamento del Wto che condizioni la partecipazione degli stati membri al libero commercio internazionale all'adozione di alcuni standard fondamentali in materia di diritto del lavoro. Per iniziare, si può fare riferimento alle convenzioni fondamentali dell’International labour oraganization (Ilo). Chi non le rispetta, non può commerciare liberamente con i paesi socialmente più avanzati.

Non sarebbe una mossa protezionistica. Di fatto, una simile clausola avrebbe l'effetto di promuovere in tutto il mondo l'innalzamento del diritto del lavoro agli standard occidentali. Un obiettivo politicamente ambizioso, ma ampiamente condivisibile.

Un obiettivo che l'Europa deve porsi, se vuole trovare una ragion d'essere che vada oltre le politiche dell'austerity e le direttive della Banca centrale. Una battaglia finalmente politica per parlare ai cittadini e farsi vedere vicina ai loro interessi.

Una battaglia globale che, in Europa, una nuova sinistra europea può e deve combattere.

Andrea Scavo è Dottore di ricerca in Scienza della Politica e autore di Il ratto di Europa.
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Verso le elezioni europee del 25 maggio

Il Parlamento 
europeo per la 
nuova Unione





a cura di Gianni Bonvicini

Quaderni IAI n. 9,
Aprile 2014


Le prossime elezioni del Parlamento europeo si svolgono in uno scenario profondamente diverso da quello dei precedenti appuntamenti. Le ragioni sono molteplici: il Trattato di Lisbona, se da una parte ha notevolmente accresciuto alcuni poteri del Parlamento, dall'altra ha spostato l'equilibrio istituzionale verso il Consiglio europeo a scapito della Commissione, che si è trovata a svolgere una funzione sempre più burocratica, e dello stesso Parlamento.
A complicare ancora di più il quadro hanno notevolmente contribuito le modalità con cui è stata affrontata, sotto la spinta dell'emergenza, la crisi economica. Invece di trovare all'interno del Trattato gli strumenti per ridimensionarla, il Consiglio ha escogitato soluzioni istituzionali al suo esterno, con il varo di due trattati internazionali, il Fiscal Compact e l'Esm, con un conseguente minore ruolo per il Parlamento.
L'azione svolta dal Parlamento per affrontare questi problemi e i suoi tentativi di influenzare l’evoluzione politico-istituzionale di questi ultimi anni sono rimasti largamente sconosciuti; certamente non hanno avuto un significativo impatto su un'opinione pubblica sempre più scettica e critica nei confronti delle istituzioni europee. Questo volume cerca di rimediare alla scarsa conoscenza del Parlamento europeo e di delineare una via di riscatto del processo di integrazione, a partire proprio da un ruolo più centrale e strategico del futuro Parlamento.

Vedi anche Il Fiscal Compact, Quaderni IAI n. 5




domenica 4 maggio 2014

South Steam: energia vitale per l'Europa

Energia
South Stream, avanti tutta!
Nicolò Sartori
14/04/2014
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Mentre si acuiscono le tensioni nelle regioni orientali dell’Ucraina e si continuano a registrare movimenti di truppe e blindati russi al confine tra i due paesi, Vladimir Putin ha reso nota la posizione del Cremlino sul futuro delle forniture di gas naturale.

In una lettera indirizzata ai leader dei paesi europei, il presidente russo ha puntato il dito contro l’Ucraina per le sue inadempienze nella partita degli approvvigionamenti di gas, che, a suo dire, mettono a repentaglio la stessa sicurezza energetica europea.

Il rischio - a questo punto estremamente concreto - è che si possa ripetere quanto accaduto nel 2009, quando di fronte ad appropriazioni di gas in transito verso l’Europa da parte di Kiev, il Cremlino decise di ridurre le esportazioni destinate ai mercati europei.

Putin ha fornito ai leader europei dettagli tecnici per garantire il flusso ininterrotto di gas all’Europa per il prossimo inverno, invitandoli a cooperare per la stabilizzazione dell’economia ucraina attraverso consultazioni immediate.

Nel medio periodo, tuttavia, l’unica soluzione credibile per mettersi al riparo dalle conseguenze di una prolungata disputa tra Russia e Ucraina è l’accelerazione sulla realizzazione del gasdotto South Stream. A meno che le relazioni con Mosca non si deteriorino a causa di un’escalation militare in Ucraina, il gasdotto del Mar Nero appare la migliore - se non l’unica - delle opzioni sul tavolo.

In debito con Gazprom
Secondo i dati presentati dal presidente russo, tra agosto 2013 e marzo 2014 il governo ucraino ha accumulato con Gazprom un debito di circa due miliardi di dollari per le forniture di gas. Affondando il colpo, Putin ha avvertito i leader europei che in caso di mancato pagamento dei debiti da parte di Kiev, Gazprom esigerà dall’Ucraina, in base alle clausole contrattuali esistenti, il pagamento anticipato delle forniture mensili. Ha inoltre avvertito che, in caso di ulteriori inadempienze, Gazprom si troverà costretta a sospendere - completamente o in parte- le forniture di gas all’Ucraina.

Per evitare possibili interruzioni alle forniture per l’Europa durante il prossimo inverno, il Cremlino sostiene che sia necessario pompare 11,5 miliardi di metri cubi di gas nei depositi ucraini entro l’autunno, per un valore di circa 5 miliardi di dollari sulla base dei prezzi (non più scontati) in vigore dal primo aprile.

Date le drammatiche condizioni di bilancio in cui naviga il governo ucraino è difficile poter pensare che Kiev possa sostenere da sola un simile sforzo finanziario, e per questo Putin ha invitato i partner europei ad un impegno congiunto per far fronte alla situazione.

Il gemello del Nord Stream è più lento
Grazie anche alla lungimiranza italiana, all’indomani della prima crisi del gas - nell’ormai lontano 2006 - veniva lanciata l’idea di South Stream, un gasdotto ideato per aggirare il territorio ucraino e consentire agli approvvigionamenti russi di raggiungere direttamente i mercati europei evitando paesi di transito.

Tuttavia, mentre il suo gemello settentrionale Nord Stream ha visto rapidamente la luce e oggi contribuisce a rafforzare la sicurezza energetica tedesca di fronte alle vicende ucraine, il completamento di South Stream è stato rallentato (oltre che da altissimi costi di realizzazione), da forti perplessità dell’opinione pubblica europea sullo scopo del gasdotto.

L’iniziativa di Gazprom, infatti, è vista come un modo per rafforzare il controllo russo sui mercati dell’Europa orientale altamente dipendenti dal gas di Mosca, e non come un tentativo di diversificazione delle vie di transito.

Oggi, il gasdotto ideato da Gazprom ed Eni - alle quali si sono aggiunte in corsa la tedesca Wintershall e la francese Edf - rappresenta l’unica reale soluzione per assicurare che le quarantennali relazioni energetiche tra Europa e Russia non vengano minacciate dalla condotta di paesi terzi. Il gasdotto, inoltre, collegando direttamente produttore e consumatori, produrrebbe una responsabilizzazione delle relazioni tra le parti, impedendo a Mosca di invocare responsabilità esterne di fronte ad eventuali sospensioni delle forniture.

Sicurezza energetica europea
Mentre la Russia è intenzionata ad accelerare i tempi per la realizzazione del progetto, i messaggi che arrivano da Bruxelles non sono rassicuranti. Il mese scorso il Commissario europeo per l’energia Oettinger aveva annunciato la sospensione dei negoziati sul futuro della pipeline a causa del protrarsi della crisi ucraina.

All’indomani della lettera di Putin, la sua portavoce ha confermato la freddezza della Commissione nei confronti del gasdotto guidato da Gazprom. Sebbene sia necessario che South Stream si conformi alla legislazione antitrust europea, l’approccio di Bruxelles nei confronti del partner russo continua a essere diffidente, nonostante la forte interdipendenza energetica e la storica affidabilità di Gazprom nelle relazioni con i propri partner europei.

A patto che le relazioni con Mosca non si deteriorino a causa di un’escalation militare che porti al coinvolgimento diretto di paesi europei (e/o della Nato) in Ucraina, South Stream rappresenta chiaramente un’opportunità per rafforzare la sicurezza energetica europea.

Il messaggio di Putin si chiude con un invito a una maggiore cooperazione tra Europa e Russia sul dossier ucraino, e un’accelerazione su South Stream può rappresentare il punto di partenza sul quale riprendere la collaborazione bilaterale e intavolare un negoziato neutrale (privo di riflessi energetici) sul futuro dell’Ucraina.

Nicolò Sartori è ricercatore dell’Area Sicurezza e Difesa dello IAI
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Vaticano: guardando ad oriente

Vaticano
Quanto conta un papa in Polonia? 
Antonio Armellini
28/04/2014
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Ero a Varsavia quando fu eletto Giovanni Paolo II. Nel silenzio dei media ufficiali - le notizie sulla chiesa cattolica venivano date allora con il contagocce - la gente aveva seguito da vicino l’andamento del Conclave, nel quale il Cardinale Wyszynsky, Primate di Polonia, appariva destinato a giocare un ruolo di primo piano (qualcuno azzardava che avrebbe potuto essere proprio lui il nuovo Papa).

Pochi pensavano che il Cardinale di Cracovia, Karol Woityla, avrebbe avuto un ruolo altrettanto determinante.

Woityla e Comunismo
I due prelati erano molto diversi fra loro. Rappresentavano entrambi un punto di riferimento fondamentale in un Paese fortemente cattolico che sopportava a fatica un socialismo visto soprattutto come espressione dell’odiato nemico sovietico (fra anticomunisti dichiarati e silenziosi, gli oppositori erano la maggioranza).

Entrambi ritenevano l’ideologia comunista un male da estirpare, ma il loro approccio al regime di Gierek era diverso. Per Wyszynsky il comunismo rappresentava solo uno dei molti incidenti nella storia millenaria della Chiesa, che questa avrebbe sicuramente dominato. Proprio perché non destinato a sopravviverle, si poteva con esso dialogare al fine di conservare alla chiesa tutto lo spazio possibile in attesa del trionfo definitivo.

Per Woityla il comunismo rappresentava una minaccia mortale e la battaglia contro il secolarismo incombente avrebbe dovuto essere combattuta da subito e con decisione, senza scendere a compromessi. Per tali ragioni si mormorava che fra i due vi fosse un po’ di ruggine: il regime preferiva comprensibilmente trattare con il Primate di Varsavia piuttosto che con il suo collega di Cracovia.

Quella sera ero stato invitato da amici: genitori e figli si dividevano quello che era stato un tempo il grande appartamento borghese di famiglia e che, per dare un minimo di privacy ad entrambi, era stato diviso da una lunga parete di cartone. Rappresentavano, gli uni e gli altri, l’essenza dell’opposizione laica e antisovietica, più che anticomunista: intellettuali disincantati e cosmopoliti, agnostici quanto era lecito essere nella Polonia del tempo.

La madre era stata la traduttrice di Moravia, la figlia era una italianista di valore e il genero un amico e collega del regista Krzystof Zanussi. Tutte frequentazioni che li collocavano al margine esterno del limite di tolleranza da parte del regime, che essi facevano attenzione a non travalicare.

Rivalsa polacca
Mentre stavamo cenando, la parete di cartone cominciò a sussultare pericolosamente e, dopo qualche istante, i genitori entrarono nella metà dell’appartamento dei figli gridando: “È successo l’evento più importante nei novecento anni della storia di Polonia: è stato eletto un Papa polacco!”.

A questo annuncio tutti - padri, figli e altri amici presenti - cominciarono ad abbracciarsi piangendo e a pregare, dicendo: “abbiamo sofferto per decenni sotto il giogo assurdo sovietico, ma questo ci ripaga di tutto: la Polonia vivrà per sempre!”.

Assistevo esterrefatto e commosso a questa scena, ad un tempo così intensa e così irreale, come lo erano tante cose nella Polonia di allora. La presa di Mosca sul paese era sì avvolta in un guanto di velluto, ma nessuno si azzardava a pensare che non fosse destinata a durare a lungo.

Era difficile immaginare, quella sera, che il papa polacco la sua guerra contro il comunismo la avrebbe portata avanti come aveva promesso sin dai tempi di Cracovia, e la avrebbe vinta. Non lo pensai io ma i miei amici polacchi - sotto la spinta di un entusiasmo che faceva della fede uno strumento di affermazione nazionale - ci credevano; la storia ha dato loro ragione.

Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).
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