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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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lunedì 30 settembre 2019

Lo scontro planetario

Fonte LIMES rivista di geopolitica
info:www.ilmioabbonamento.it

domenica 29 settembre 2019

Migrazione in Italia Bibliografia.

BIBLIOGRAFIA


Testi

·      Berger J.M., Morgan J., “The ISIS twitter census defining and describing the population of ISIS supporters on Twitter”, in The Brooking Project on US relations with the Islamic World, N.20/marzo 2015;
·      Coats D. R., “Worldwide Threat Assessment of the US Intelligence Community”, 2019;
·      Europol, “EU Terrorism Situation and Trend Report TE-SAT”, 2018;
·      Jean C., “Guerra, Strategia e Sicurezza”, Laterza, 2001;
·      Kingsley P., “The New Odyssey: The Story of Europe's Refugee Crisis”, 2016;
·      Maggioni M., Magri P., “Il marketing del terrore. Twitter e jahad: la comunicazione dell'Isis”, 2016;
·      Mastrojeni G., Pasini A., “Effetto serra effetto guerra”, 2017;
·      Napoleoni L., “ISIS. Lo Stato del terrore”, Feltrinelli, 2014;
·      Pisano V.,“Il terrorismo transnazionale dopo l’11 settembre 2001”, in periodico Affari Esteri N.149/2006;
·      Stato Maggiore della Difesa, Nota Dottrinale “La dimensione militare della comunicazione strategica”, ed. 2012;
·      US Department Of State - Bureau Of Counterterrorism And Countering Violent Extremism, “Country Reports Africa on Terrorism 2018”, 2018;
·      Winter C., “Media Jihad: The Islamic State’s Doctrine for Information Warfare”, International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence, 2017;

Articoli
·      Baptista R., “Comunicazione del terrore: impatto sociale e lotta al terrorismo”, in Inside Marketing, 26 luglio 2017;
·      Bastiani D. “Terrorismo e media – La comunicazione del terrore”, in Informazioni della Difesa, N. 2/2012;
·      Cavalcoli D., “Youtube lancia l’algoritmo anti-Isis”, in Corriere della Sera, 28 luglio 2017;
·      Cochi M., “Sahel e Africa Subsahariana”, in Osservatorio Strategico 2018, Anno XX n. I;
·      Dacrema E., “La nuova guerra fredda mediorientale”, in ISPI online, 16 gennaio 2019;
·      Gentili C., “Ciad: l’IOM necessita nuovi fondi per gestire i flussi migratori”, In Sicurezza Internazionale, 9 luglio 2018;
·      Giannetti C., “Migrazioni il cambiamento climatico presenta il conto”, in Gnosis, N.3/2018;
·      Luppi M., “Il Lago Ciad rischia di scomparire: a rischio milioni di persone”, in Agenzia S.I.R., 6 ottobre 2018;
·      Oriolo A., “Pirateria, terrorismo e sicurezza dei mari”, in Rivista Marittima, N.4/2009;
·      Teti A., “Isis e social network – Da Twitter a Facebook passando per Whatsapp e Youtube”, in Gnosis, 4/2015;
·      Teti A., “La cyber guerra del Califfato. Ecco come opera sui social network l’hacker division dell’Isis”, in Il Sole 24 ore, 20 settembre 2015; 
·      Villa M., “Migrazioni e Ue: l’impasse infinita”, in ISPI online, 17 ottobre 2018;
·      Kamel L., “Migranti: flussi, analisi delle cause e proposte di soluzioni”, in Affari Internazionali, 17 febbraio 2018.
Altri siti
·      Blog Coltrinari M., http://www.coltrinariatlanteafrica.blogspot.com/ (accesso gennaio 2019)
·      Global Incident, http://www.globalincidentmap.com/ (accesso dicembre 2018);
·      Global Terror, http://www.globalterroralert.com/ (accesso dicembre 2018);
·      Global Terrorism Database, https://www.start.umd.edu/gtd/ (accesso dicembre 2018);
·      Home Office annual report and accounts: 2016 to 2017, Core data https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/628157/Core_data_tables_2016-17.xlsx;
·      Il post, “Come funziona la propaganda dell’ISIS”, http://www.ilpost.it/2016/01/22/propaganda-isis/, 2016 (accesso ottobre 2018);
·      Il Post, “L’ISIS non si sconfigge così”, http://www.ilpost.it/2017/07/10/isis-perso-guerra/, 2017 (accesso dicembre 2018);
·      Limes, http://www.limesonline.com/ (accesso dicembre 2018);
·      McCaul M., “Empower our Allies to Fight Terrorism in Africa”, https://nationalinterest.org/feature/chairman-michael-mccaul-empower-our-allies-fight-terrorism-africa-30482, 2018 (accesso dicembre 2018);
·      NATO, Defence Against Terrorism Programme of Work (DAT POW),  https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_50313.htm (accesso settembre 2018);
·      “New Prevent strategy launched”, https://www.gov.uk/government/news/new-prevent-strategy-launched (accesso novembre 2018);
The Global Coalition against Daesh, http://theglobalcoalition.org/en/home/ (accesso dicembre 2018).

venerdì 27 settembre 2019

martedì 24 settembre 2019

domenica 22 settembre 2019

giovedì 19 settembre 2019

lunedì 16 settembre 2019

Migrazione e Italia


Fabio Mariani
 Una possibile strategia

mercoledì 11 settembre 2019

MIgrazione in Italia


Nota a cura di Fabio Mariano 


Cosa significa fare prevenzione della radicalizzazione? Arrestare un individuo prima che commetta un attacco è già repressione. Cresce il numero di individui pericolosi, aumentano gli obiettivi e le situazioni a rischio e si riduce il tempo di reazione. Si consolida l’idea che la repressione da sola non basti.
Prevenire significa intervenire a monte, prima che i soggetti a rischio diventino pericolosi per la comunità e perciò di interesse per gli inquirenti. La prevenzione della radicalizzazione è come un vaccino: evita la pandemia, riduce al minimo i soggetti contagiati che, essendo in numero limitato, possono essere sottoposti a cure intensive. La figura che segue mostra proprio l’importanza di integrare le azioni classiche (militari/di polizia), efficaci soprattutto nella gestione del problema già manifesto, con una strategia comunicativa che agisca soprattutto nel settore della prevenzione del fenomeno. In questo dominio, l’esempio virtuoso della strategia comunicativa della Gran Bretagna[1], presentato nei capitoli precedenti, è la riprova di quanto sia importante presidiare il dominio cognitivo per contrastare i fenomeni in esame.
La comunicazione, dunque, è lo strumento principe per la prevenzione della radicalizzazione per la sua intrinseca capacità di entrare a monte dei processi cognitivi, influenzare percezioni e attitudini, incidere su scelte e comportamenti individuali e di gruppo. Essa opera in uno spazio che è off- limits per qualsiasi attività di repressione: il pensiero che guida scelte e azioni.
La proposta analizzata in questo studio ha riguardato una potenziale soluzione, in grado di integrare/razionalizzare le iniziative già in atto fungendo da raccordo, da cabina di regia: una strategia integrata di comunicazione che, agendo nel dominio cognitivo, intervenga principalmente nella prevenzione del fenomeno e, al contempo, sostenga le iniziative già in atto che, come suddetto, sono più efficaci nel settore del contrasto, contenimento e controllo.
L’analisi del caso Daesh e della sua capacità di sfruttare il dominio cognitivo, il citato virtuoso esempio inglese e lo studio sulle origini e prospettive del problema migratorio, ci fanno comprendere lo stretto legame tra fenomeni così ampi e complessi. Essi si materializzano nelle interazioni tra network umani, in cui i “cattivi”, sfruttando le criticità strutturali di numerose aree dell’Africa che generano il “disagio dei deboli”, agiscono quasi incontrollati alimentando un ciclo della criminalità, dei traffici e del terrore che si autosostiene. Tale network, destinato a crescere a causa sia del perdurare di problematiche socio-economiche ataviche, sia di una crescita demografica fuori controllo, può essere contrastato soltanto attraverso la creazione di un network nazionale - sconfiggere il network creando un network.
Pertanto, appare necessario nel breve termine un approccio da parte italiana sempre più integrato e coordinato che valorizzi le crescenti interazioni geopolitiche tra Maghreb, Levante, Golfo Persico e Sahel; che interconnetta le diverse crisi e le sfide della regione; che capitalizzi le potenzialità dell’intero bacino Mediterraneo e che ponga ogni iniziativa sul suo futuro nel quadro di una strategia di sviluppo sostenibile. A tal fine, è necessario strutturare un piano interministeriale e inter agenzia che coordini e disciplini la condotta di azioni sinergiche e multi dimensionali di prevenzione e contrasto, attraverso “operazioni” congiunte politico-diplomatiche, di polizia e militari condotte in Italia, ai confini, nel Mediterraneo fino a penetrare le aree dove il problema ha origine.
Per le ragioni sopra esposte, un piano nazionale strutturato di tale portata non può prescindere dal sostegno di un elemento che funga da “collante e propellente”, capace di supportare e integrare tutte le azioni: una strategia di comunicazione fondata su programmi di monitoraggio, prevenzione e intervento, che coordini e sostenga iniziative nuove o già esistenti concordate nell’ambito di un board/cabina di regia[2] - Integrated Communications Information Centre - facente capo alla Presidenza del Consiglio. Tale strumento deve avere la licenza/capacità di analizzare le aree obiettivo e sincronizzare le azioni/progetti[3] di tutti i Dicasteri/Agenzie, ottimizzando gli sforzi (in termini di risorse umane e finanziarie), in linea con gli indirizzi programmatici del Governo, al fine di perseguire/difendere/sostenere gli obiettivi e gli interessi strategici nazionali.

Concludendo, si tratta di un progetto ambizioso, ma moderno e pragmatico, teso a fronteggiare in maniera strutturata nel breve, medio e lungo termine gravi fenomeni destinati, purtroppo, ad aggravarsi. In tale progetto, all’Italia è richiesto di giocare, in un’Europa densa di competizioni e divergenze, un ruolo guida, da protagonista, in un’area strategica per la sicurezza e l’economia nazionale, alla quale ci unisce una vicinanza geografica, storica e culturale: in sintesi un progetto moderno, una sfida da Sistema Paese.








[1] Per esempio, il RICU (Research, Information and Communications Unit). Il RICU è una unità interagency costituita nel 2007 con il compito di guidare le attività di comunicazione del governo (analisi, consulenza, prevenzione, contrasto e gestione delle crisi) per far fronte alla minaccia estremista e garantire la coesione della comunità nazionale.
[2] Che, a differenza di consessi esistenti (cabine di regia, board, tavoli tecnici), affronti con approccio sistematico e pragmatico le tematiche, coordini e faccia deconfliction delle azioni e produca un piano strutturato di interventi attuabile e sostenibile.
[3] Tra le iniziative rivolte al dominio della comunicazione, in ottica “prevenzione”, da mettere a sistema, come detto, in un unico piano integrato, preme citare ad esempio la pregevole iniziativa denominata “Cinemarena”, progetto avviato dal ministero degli Esteri e dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo Sviluppo (AICS) in 200 villaggi africani[3] (Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Guinea, Gambia e Sudan) che affianca alla diffusione di classici di animazione e del cinema muto, la sensibilizzazione ai rischi della migrazione irregolare. Al pubblico, oltre alle proiezioni, saranno offerte anche altre attività, tra cui workshop e spettacoli teatrali. Questa edizione è finanziata con le risorse del Fondo Africa, realizzata insieme al Ministero dell’Interno e in sinergia con la campagna “Aware Migrants" dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim).


domenica 8 settembre 2019

Le vie di comunicazi9one ed i punti sensibili

Fonte LIMES Rivista di Geopolitica. 7.2019.

venerdì 6 settembre 2019

mercoledì 4 settembre 2019

Migrazione in Italia I Parte


Nota di Fabio Mariano

Negli ultimi anni, la diffusione di fenomeni complessi e di difficile soluzione come il terrorismo e le migrazioni rappresentano per l’Africa e l’Europa una sfida determinante. L’Europa cerca di trovare una formula coerente per fronteggiare le grandi masse di migranti che fuggono dalle guerre e povertà del Sud, con il sogno di raggiungere “un’isola felice” al Nord; speranze o illusioni spesso insinuate da una propaganda sostenuta da organizzazioni criminali e terroristiche.
Per tali ragioni, l’Italia non può restare affacciata al balcone del Mediterraneo, accontentandosi di strumenti di contrasto al fenomeno migratorio poco efficaci (complice la polveriera libica), che tendono a contenere, a mitigare il problema, senza tuttavia allungare le mani per estirparne le radici. Occorre, quindi, che l’Italia, mancando di rassicurazioni concrete dai partner europei che verosimilmente non arriveranno mai, agisca da Sistema Paese, fondando una strategia strutturata, multi dimensionale, interministeriale e inter agenzia, che permetta di combattere il problema all’origine, salvaguardando la sicurezza e gli interessi strategici nazionali. Le iniziative finora messe in campo, alcune anche valide e concrete, spesso appaiono disgiunte e scoordinate, poiché probabilmente manca un piano integrato, che ottimizzi gli sforzi e le risorse.
L’Italia è, dunque, costretta ad un’inevitabile quanto necessaria “presa di coscienza”, che ponga la questione africana nel suo complesso al centro del dibattito politico, non solo perché legata alle vicende dell’immigrazione, quanto piuttosto come opportunità di sistema Paese, in una visione coordinata e prospettica che coinvolga tutti gli asset nazionali.
L’Africa è un Continente in cui si sovrappongono sfide e minacce crescenti, quali la pressione demografica[1], la sicurezza, i flussi migratori (interni ed esterni), la radicalizzazione ed i traffici criminali, in un mosaico di attori statuali, iniziative regionali, potenze globali e centri di influenza, non di rado contrapposti tra loro, ed espressione di interessi confliggenti.
In tale quadro, gli attori non-statuali - cellule paramilitari, tribù, milizie, gruppi jihadisti, clan, apparati criminali, network di trafficanti di esseri umani - hanno assunto influenza crescente, riempiendo il “vacuum” governativo e mortificando qualsiasi forma di pluralismo culturale e confessionale. Nel disordine regionale conseguente hanno ripreso influenza protagonisti internazionali come la Cina e la Federazione Russa. Il Mediterraneo di oggi appare difatti come una realtà multipolare, dove i centri di potere risultano moltiplicati e le agende politiche – a partire da quelle di Doha, Mosca, Pechino e Il Cairo – sono sempre più competitive. Nel suo doppio movimento, quasi inarrestabile, ad “allargarsi” e “dividersi”, il Mediterraneo del XXI secolo ha acquisito una nuova centralità globale, risultando più largo, più frammentato e più interconnesso[2]. Per poter essere analizzato, tutto questo richiede strumenti interpretativi moderni.
Spesso si associa il problema immigrazione e traffici illeciti alle Regioni del Nord Africa, ove il fenomeno si manifesta in tutta la sua complessità e disumanità, portato quotidianamente alla ribalta dai Media di tutto il Mondo. Tuttavia, è certamente banale e fuorviante ridurre lo studio e gli interventi ai soli Stati che si affacciano sul Mediterraneo. Infatti, nell’attuale scenario di riferimento, l’analisi deve necessariamente allargare le proprie “chiavi di lettura” a quelle aree e Regioni ove i fenomeni hanno origine e che, nel medio periodo, rappresentano ulteriori fattori di rischio per la stabilità e il futuro dell’intera area africana: dall’Algeria all’Egitto, con impatto diretto sul Mediterraneo e sull’Italia.  Al riguardo, è necessario inoltre evidenziare che, finora, il problema dei migranti e delle organizzazioni criminali e terroristiche ad esso associate, è stato affrontato di “pancia” e in emergenza, principalmente con attività/operazioni tese a contrastare il fenomeno nel Mediterraneo e a contenerlo sulle coste africane, mentre ben poco è stato fatto per prevenirlo, o, quantomeno, le iniziative sono state sporadiche e non integrate/strutturate.  Osservato da questa prospettiva, il fenomeno prende la forma di un iceberg, con un’ampia area nascosta, oscura; per essere affrontato alla radice, tale problema richiede un approccio sistematico, in grado di combinare azioni in tutti i domini (cognitivo, diplomatico, militare, economico, infrastrutturale, sanitario, ecc..), integrando le operazioni di contrasto, contenimento e controllo, con quelle, certamente più complesse ma  assolutamente necessarie, riguardanti la prevenzione.
A tal proposito, possibili soluzioni/strategie, ci vengono ispirate proprio da uno degli attori più pericolosi e influenti degli ultimi anni: il sedicente Stato Islamico.  Nella sua lotta contro l’Occidente, l’ISIS ovvero Daesh ha sfruttato gli odi radicati, prediligendo un linguaggio mirato a provocare tensioni locali e internazionali, mettendo in discussione il sistema di valori e gli ideali occidentali attraverso gli strumenti mediatici tipici della cultura contemporanea.  Lo Stato islamico si è dimostrato particolarmente abile nell’utilizzo di social media per realizzare una efficiente rete per il reclutamento, la raccolta dei fondi e il marketing ideologico. Le sue campagne di propaganda hanno mostrato in tempo reale immagini di militanti vittoriosi che sollevavano bandiere nere e pattugliavano le città conquistate, mostrando nemici impauriti, soggiogati e umiliati; hanno utilizzato film di propaganda, realizzati con tecniche cinematografiche all’avanguardia, per ostentare determinazione ed enfatizzare l’aspetto eroico dei propri combattenti. Tuttavia, l’ascesa della propaganda di Daesh è anche frutto dell’inadeguatezza delle misure a protezione del communication space, a cominciare dal concetto di counter- narrative. Comunicare “contro” serve a poco e spesso aumenta legittimità e forza della controparte. Il communication space va, quindi, presidiato e protetto con programmi di monitoraggio, prevenzione e intervento. Non farlo significherebbe lasciare dei vuoti che altre organizzazioni riempiranno, appropriandosene, proiettando la propria ideologia in maniera spregiudicata e mettendo a rischio la sicurezza collettiva. Non agire equivale alla scelta consapevole di trasformarlo in terreno di coltura dell’estremismo.


[1] I dati dell’immagine sono tratti da fonti UN; tutte le figure senza fonte sono assemblate/realizzate dallo scrivente.
[2] Il raddoppio del canale di Suez, gli effetti dell’allargamento di quello di Panama, le scoperte energetiche nelle sue acque orientali e il progetto di nuova “via della seta” varato da Pechino, rendono il Mediterraneo uno snodo cruciale sul piano infrastrutturale, dei trasporti e delle reti logistiche. Un sistema economico in espansione, dove passa il 30% del commercio mondiale di petrolio e dove si concentra il 20% del traffico marittimo. Un mercato di 500 milioni di consumatori il cui PIL negli ultimi venti anni è cresciuto ad una media del 4,4% l’anno, che può contare su 450 tra porti e terminal, su 400 siti patrimonio dell’UNESCO, 236 aree marine protette e su un terzo del turismo mondiale.