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Si dice che Mare Nostrum costituisce un pull factor perché stimola maggiori flussi verso l’Europa. Essendo diminuito il costo della traversata, parte degli 800 mila stranieri presenti in Libia, si sostiene, potrebbe prendere il largo a bordo delle carrette del mare.
Una volta arrivati sul territorio italiano gran parte dei migranti se ne va verso altri paesi europei, talvolta rifiutando la fotosegnalazione (non ci sono strumenti cogenti per obbligarli). Ad attrarli sarebbe la generosità dei sistemi di accoglienza per i richiedenti asilo nord-europei. Non è anche questo un pull factor? Probabilmente sì, anche se non se ne parla. Se volessimo porre un freno agli sbarchi, che negli ultimi mesi sono aumentati di dieci volte rispetto all’analogo periodo nel 2013, dovremmo quindi cessare i salvataggi in mare e le politiche di accoglienza. Si tratta evidentemente di un’eventualità non all’ordine del giorno, che contrasta con la tradizione civile delle democrazie europee. Rispetto Convenzione di Ginevra Dal punto di vista italiano, non ci sono alternative ai salvataggi in mare. Il ritorno al passato significherebbe la ripresa dei “viaggi della morte”. Anche un allentamento delle politiche di accoglienza non è concepibile, perché contrasterebbe con il diritto internazionale, nonché con quello dell’Unione europea. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati fissa degli obblighi precisi per gli stati firmatari in materia di accoglienza e diritti. Al fine di creare uno spazio europeo uniforme dove chi fugge da persecuzioni e guerre possa godere di diritti civili ed economici il più possibile uniformi, le norme che l’Ue si è data negli anni sono ancora più stringenti e puntuali. Indietro non si torna quindi. E allora che fare? Possono le politiche di asilo venire incontro all’azione italiana di salvataggio in mare? Si può pensare a un meccanismo di redistribuzione dei migranti e richiedenti asilo in arrivo, anche se i dati mostrano che certi paesi dell’Ue processano un numero di richieste di asilo ben superiore a quelle italiane? Dublino III Ci sono varie possibilità. La più percorribile potrebbe essere l’attivazione della clausola discrezionale del nuovo regolamento Dublino (approvato nel 2013, stabilisce che il paese competente alla trattazione delle domande d’asilo è quello di primo arrivo). In base all’art. 17, i paesi membri possono derogare su base volontaria ai criteri di competenza dichiarandosi pronti a trattare le richieste di asilo per motivi umanitari. In presenza di afflussi massicci, potrebbe essere attivato un meccanismo di questo tipo. Si tratta però sempre di un meccanismo volontario e l’esperienza insegna che non vi è grande entusiasmo all’interno dell’Ue per meccanismi di “re-location” dei rifugiati (e per analogia dei richiedenti asilo). È difficile quindi che un meccanismo di questo tipo prevalga nel dibattito delle prossime settimane. Assisteremo probabilmente all‘usuale polemica fra i paesi del nord che ritengono di sostenere il costo maggiore dell’accoglienza, contando le domande di asilo, e quelli del Sud (in realtà, l’Italia quasi da sola) che spiegano come i salvataggi in mare siano ben altra cosa dalle domande avanzate in un ufficio della Polizia di frontiera. Verso la presidenza italiana dell’Ue Si rischia in questo contesto di avere una gara al ribasso nelle tutele dei migranti, piuttosto che un salto in avanti. Vedremo come evolve il dibattito al prossimo Consiglio europeo, e durante la Presidenza italiana dell’Ue ormai alle porte. Una cosa appare però chiara fin d’ora: l’unica politica condivisa da tutti per far fronte alla pressione migratoria, e che è tipicamente “win-win”, è la cooperazione con i Paesi di origine e transito dei flussi. Per l’Europa si tratta di a mobilitare risorse e attenzione verso i Paesi del Mediterraneo e africani, di affrontare con maggiore continuità le questioni migratorie in seno al Consiglio dei ministri degli esteri, in cooperazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Acnur, e di ”tarare” le politiche di sviluppo sulla prevenzione della migrazione irregolare. Solo così si creeranno le condizioni per una più efficace gestione delle migrazioni. Europa e Africa hanno senza dubbio interesse a collaborare. L’Africa è ormai l’unico continente (insieme all’Asia meridionale) in chiara espansione demografica, mentre in Europa l’invecchiamento prosegue. Si calcola che nel 2050 mancheranno 48 milioni di lavoratori. Le complementarietà sono evidenti. Per queste ragioni, l’Italia sta lavorando per lanciare un’iniziativa migratoria con il Corno d’Africa, coinvolgendo i paesi dell’Africa occidentale nella conferenza ministeriale su migrazione e sviluppo. L’auspicio è di arrivare a una gestione onnicomprensiva dei flussi fra i due continenti sulla base dei loro interessi convergenti in campo migratorio. Marco Del Panta, Direttore centrale per questioni Migratorie ed i Visti, Ministero degli Affari Esteri. | ||||||||
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