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martedì 15 dicembre 2015

L'ISOLAMENTO TURCO

Alessio Pecce

Dopo l'iniziale difesa degli Stati Uniti, sembra arrivato il momento anche da parte loro, di passare ad una risoluzione ONU in grado di porre fine alla disputa terroristica  in Medio Oriente, condotta dall'ISIS, il quale è stato in grado di creare i presupposti per un'alleanza tra Putin e Obama. L'obiettivo della risoluzione è quello di porre un freno al mondo sunnita, le monarchie del Golfo e la Turchia, colpevoli di aver finanziato le basi del califfato. Ragion per cui i turchi hanno deciso di inviare truppe militari in Iraq, col fine di addestrare i peshmerga curdi contro l'avanzata dello Stato Islamico, ma l'ingresso dei militari turchi in Iraq, circa 150 (non secondo le fonti statunitensi che parlano di circa 1200 unità), ha provocato sentimenti di discordia presso Baghdad. È bene sottolineare come Mosul, città a nord dell'Iraq, sia un grande centro petrolifero, che nel 2014 ha dato la “spinta” decisiva alla crescita del califfato e in virtù di ciò il governo iracheno ne chiede il ritiro immediato, accusando la Turchia di violazione della sovranità territoriale. Il premier Haider al-Abadi afferma di un ingresso   militare turco in terra irachena, ufficialmente per addestrare la popolazione, ma senza alcuna autorizzazione da parte delle autorità irachene. A rincarare la dose ci ha pensato anche Fouad Masoum, presidente iracheno, il quale parlando dell'ingresso turco fa riferimento, senza giri di parole, ad una violazione del diritto internazionale, chiedendo pertanto il ritiro immediato e sollecitando il ministero degli Esteri a prendere le dovute precauzioni per garantire il rispetto della sovranità. Il governo turco, dal canto suo, si difende invocando alle attività di addestramento a favore del popolo iracheno e giustificandosi come portatore della conoscenza/pratica difensiva, a base militare. A sostegno di ciò ci ha pensato il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, il quale cerca un ritorno al dialogo con la Russia, contrariamente ad Erdogan che sostiene di poter attingere alle risorse di gas e petrolio tramite altri paesi, snobbando così l'importanza geopolitica/strategica con il Cremlino e incrementando di conseguenza la disputa iniziata dall'abbattimento aereo sulla Penisola del Sinai. Nel frattempo è in fase di avvio un riposizionamento delle potenze regionali, vista la possibilità di un'eventuale alleanza USA-Russia e Teheran (alleata di Mosca) ha subito colto “la palla al balzo”, a differenza dei “colleghi” arabi e turchi, forti anche di strategie a medio-lungo periodo, in previsione della fine delle sanzioni all'Iran. Basti pensare che già quattro anni fa l'Iran, in concomitanza con gli Hezbollah, era  l'unico paese a offrire sostegno a Damasco e a contrastare i jihadisti: strategia che ha dato i suoi frutti, considerando  che ad oggi è presente, oltre alla Russia, un'alleanza occidentale composta da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, le quali a loro volta, solo nel 2013, erano decise a bombardare Assad.


Alessio Pecce (alessio-p89@libero.it)

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