Tutti per uno? La Francia invoca la clausola europea di difesa Marco Gestri 23/11/2015 |
Una novità assoluta. A portarla è stata l’invocazione, da parte della Francia, dell’art. 42 del trattato sull'Unione europea, ovvero la clausola di difesa collettiva.
Introdotta nell’Unione europea, Ue, col Trattato di Lisbona, si tratta di una disposizione analoga a quella che era prevista dall’art. V del Trattato del 1948 istitutivo dell’Ueo, estinto nel 2010 dai dieci Stati parti. L’idea di una norma sulla difesa collettiva nell’Ue, venne elaborata dalla Convenzione che presentò il Progetto di Trattato/Costituzione, firmato nel 2004, ma mai entrato in vigore.
Clausola di difesa collettiva e clausola di solidarietà
Il comma 7 dell’art. 42 stabilisce che “qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso”, in conformità coll’art. 51 della Carta Onu. Condizione d’attivazione è un’aggressione armata.
Da notare che una norma distinta (art. 222 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, Tfue) stabilisce una clausola di solidarietà europea con specifico riferimento ad attacchi terroristici.
La scelta francese d’invocare l’art. 42.7 sembra comunque legittima, ed è stata accolta unanimemente dagli altri membri, a conferma che anche un attacco terroristico sferrato da entità non statali, qualora proveniente dall’esterno e di particolare gravità, può esser qualificato “aggressione armata”.
L’articolo 222 del Tfue
Come si può però spiegare il mancato ricorso all’art. 222 Tfue? Quest’ultimo ha una dimensione essenzialmente interna, assicurando un’assistenza allo Stato vittima sul suo territorio, mentre la Francia richiede un aiuto anche all’esterno (ma a mio avviso le due clausole potrebbero comunque esser invocate simultaneamente).
Soprattutto, a differenza dell’art. 42.7, il meccanismo previsto dall’art. 222 prevede un obbligo di solidarietà non solo tra gli Stati membri ma anche da parte dell’Ue e, conseguentemente, un coinvolgimento diretto delle istituzioni europee (le modalità sono definite dalla Decisione Ue 2014/415).
Secondo alcuni commentatori, la Francia avrebbe evitato l’attivazione dell’art. 222 per mantenere un pieno controllo della crisi.
Inoltre, la clausola di solidarietà viene invocata quando lo Stato interessato “ritiene che la crisi oltrepassi chiaramente la sua capacità di reazione”.
Clausola europea e Nato
Potrebbe apparire sorprendente il fatto che la Francia abbia deciso d’invocare la clausola di difesa europea e non l’art. 5 del Trattato Nato (attivato dagli Usa dopo l’11 settembre). È un luogo comune che mentre la Nato assicura procedure e mezzi efficaci, la clausola europea avrebbe una portata più simbolica che operativa, non avendo l’Ue capacità militari.
Sul piano politico, la scelta conferma la volontà della Francia di sostenere lo sviluppo di una politica europea di difesa, per certi versi autonoma rispetto alla Nato (e agli Usa). Anche se lo stesso art. 42.7 afferma, per gli Stati Ue membri della Nato, il carattere prioritario dell’Alleanza quale meccanismo di difesa collettiva ed è ragionevole pensare che la scelta francese sia stata operata con un qualche coinvolgimento della Nato (il cui Segretario generale ha partecipato al Consiglio Ue).
Ma al di là del suo significato politico, evidenziato dall’Alto rappresentante Federica Mogherini e dal Ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian, quale l’impatto della clausola?
Cercasi assistenza concreta
L’art. 42.7 stabilisce un obbligo giuridico per gli altri Stati membri di prestare aiuto e assistenza (anche se, trattandosi di politica estera e sicurezza, essi non possono esser chiamati a risponderne di fronte alla Corte Ue). Si tratta poi di un obbligo qualificato.
Ogni Stato deve valutare i mezzi in suo possesso e il generico riferimento a “aiuto e assistenza” implica che sussiste un margine di discrezionalità e uno Stato non ha l’obbligo di partecipare direttamente a missioni armate.
Inoltre, l’obbligo non pregiudica il carattere specifico della politica di difesa di taluni membri (neutralità ma anche obblighi costituzionali di ottenere il consenso del parlamento nazionale per azioni armate).
Dunque, gli altri Stati dovranno “fare qualcosa” per assistere la Francia, ma la precisa individuazione dei mezzi più appropriati per assolvere a tale obbligo resta affidata al singolo Stato. Questi dovrà comunque decidere secondo buona fede e alla luce di negoziati bilaterali colla Francia.
Dalle dichiarazioni del Ministro Le Drian emerge che non viene richiesto un sostegno puramente simbolico, ma un’assistenza concreta che, secondo modalità da concordare caso per caso, potrà declinarsi in una cooperazione nei riguardi delle operazioni francesi in Siria e Iraq ovvero in interventi di supplenza rispetto al ruolo della Francia su altri scenari (Africa, Libano).
Per il momento, al di là della solidarietà dichiarata, tra molti partner europei, inclusa l’Italia, sembra prevalere la prudenza (se non l’attendismo).
Marco Gestri è Professore di diritto internazionale nell’Università di Modena e Reggio Emilia e nella Johns Hopkins University, SAIS Europe.
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Clausola di difesa collettiva e clausola di solidarietà
Il comma 7 dell’art. 42 stabilisce che “qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso”, in conformità coll’art. 51 della Carta Onu. Condizione d’attivazione è un’aggressione armata.
Da notare che una norma distinta (art. 222 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, Tfue) stabilisce una clausola di solidarietà europea con specifico riferimento ad attacchi terroristici.
La scelta francese d’invocare l’art. 42.7 sembra comunque legittima, ed è stata accolta unanimemente dagli altri membri, a conferma che anche un attacco terroristico sferrato da entità non statali, qualora proveniente dall’esterno e di particolare gravità, può esser qualificato “aggressione armata”.
L’articolo 222 del Tfue
Come si può però spiegare il mancato ricorso all’art. 222 Tfue? Quest’ultimo ha una dimensione essenzialmente interna, assicurando un’assistenza allo Stato vittima sul suo territorio, mentre la Francia richiede un aiuto anche all’esterno (ma a mio avviso le due clausole potrebbero comunque esser invocate simultaneamente).
Soprattutto, a differenza dell’art. 42.7, il meccanismo previsto dall’art. 222 prevede un obbligo di solidarietà non solo tra gli Stati membri ma anche da parte dell’Ue e, conseguentemente, un coinvolgimento diretto delle istituzioni europee (le modalità sono definite dalla Decisione Ue 2014/415).
Secondo alcuni commentatori, la Francia avrebbe evitato l’attivazione dell’art. 222 per mantenere un pieno controllo della crisi.
Inoltre, la clausola di solidarietà viene invocata quando lo Stato interessato “ritiene che la crisi oltrepassi chiaramente la sua capacità di reazione”.
Clausola europea e Nato
Potrebbe apparire sorprendente il fatto che la Francia abbia deciso d’invocare la clausola di difesa europea e non l’art. 5 del Trattato Nato (attivato dagli Usa dopo l’11 settembre). È un luogo comune che mentre la Nato assicura procedure e mezzi efficaci, la clausola europea avrebbe una portata più simbolica che operativa, non avendo l’Ue capacità militari.
Sul piano politico, la scelta conferma la volontà della Francia di sostenere lo sviluppo di una politica europea di difesa, per certi versi autonoma rispetto alla Nato (e agli Usa). Anche se lo stesso art. 42.7 afferma, per gli Stati Ue membri della Nato, il carattere prioritario dell’Alleanza quale meccanismo di difesa collettiva ed è ragionevole pensare che la scelta francese sia stata operata con un qualche coinvolgimento della Nato (il cui Segretario generale ha partecipato al Consiglio Ue).
Ma al di là del suo significato politico, evidenziato dall’Alto rappresentante Federica Mogherini e dal Ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian, quale l’impatto della clausola?
Cercasi assistenza concreta
L’art. 42.7 stabilisce un obbligo giuridico per gli altri Stati membri di prestare aiuto e assistenza (anche se, trattandosi di politica estera e sicurezza, essi non possono esser chiamati a risponderne di fronte alla Corte Ue). Si tratta poi di un obbligo qualificato.
Ogni Stato deve valutare i mezzi in suo possesso e il generico riferimento a “aiuto e assistenza” implica che sussiste un margine di discrezionalità e uno Stato non ha l’obbligo di partecipare direttamente a missioni armate.
Inoltre, l’obbligo non pregiudica il carattere specifico della politica di difesa di taluni membri (neutralità ma anche obblighi costituzionali di ottenere il consenso del parlamento nazionale per azioni armate).
Dunque, gli altri Stati dovranno “fare qualcosa” per assistere la Francia, ma la precisa individuazione dei mezzi più appropriati per assolvere a tale obbligo resta affidata al singolo Stato. Questi dovrà comunque decidere secondo buona fede e alla luce di negoziati bilaterali colla Francia.
Dalle dichiarazioni del Ministro Le Drian emerge che non viene richiesto un sostegno puramente simbolico, ma un’assistenza concreta che, secondo modalità da concordare caso per caso, potrà declinarsi in una cooperazione nei riguardi delle operazioni francesi in Siria e Iraq ovvero in interventi di supplenza rispetto al ruolo della Francia su altri scenari (Africa, Libano).
Per il momento, al di là della solidarietà dichiarata, tra molti partner europei, inclusa l’Italia, sembra prevalere la prudenza (se non l’attendismo).
Marco Gestri è Professore di diritto internazionale nell’Università di Modena e Reggio Emilia e nella Johns Hopkins University, SAIS Europe.
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