di Alessandro Ugo Imbriglia
In Siria, nelle ultime settimane, le potenze
sunnite hanno fornito missili anticarro a gruppi dell’Esercito Siriano Libero e
del Fronte Islamico, mentre non si dimostra efficace l’offensiva delle forze
armate del regime, sostenute dal supporto logistico e militare iraniano oltre
che dai raid russi. Dunque il piano di Vladimir Putin, finalizzato a facilitare
lo scontro tra Assad e i jihadisti per aumentare il potere di contrattazione
del regime in un eventuale patto con la comunità internazionale, si sta
rivelando più complicato del previsto. La Russia vorrebbe svolgere un ruolo da
protagonista nella soluzione della crisi, perché ne uscirebbe rafforzata sul
piano del prestigio, consolidando la propria posizione in Medio Oriente. Per
tal motivo sta rafforzando i contatti con le altre potenze internazionali,
lasciando intendere che la resistenza potrebbe partecipare al negoziato. La
Russia sarebbe favorevole ad un passo indietro del presidente siriano dopo le
elezioni, mentre Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia sosterrebbero le elezioni
solo dopo l’uscita di scena di Assad. Nel frattempo, sul fronte iracheno,
l’esercito e le tribù sunnite locali hanno sottratto il 40 per cento della
provincia di Ramadi, a circa 127 chilometri a ovest di Baghdad, al gruppo Stato
Islamico, compreso l’impianto di raffinazione di Baiji. La provincia di Ramadi
si estende per 138.500 chilometri quadrati nella parte occidentale del paese, e
prima del conflitto aveva un milione e mezzo di abitanti. Una seconda
operazione via terra, condotta dai peshmerga e coaudivata dalle forze
statunitensi è stata effettuata a sette chilometri a nord dalla città di Hawija,
nell’area occidentale dell’Iraq, al
confine con il Kurdistan iracheno, e ha condotto alla liberazione di circa
settanta ostaggi che stavano per essere giustiziati. Era previsto che le truppe statunitensi si
limitassero a fornire consulenza ai combattenti curdi, ma sono intervenute sul
campo a causa delle difficoltà incontrate dal contingente curdo. Durante
l’incursione ha perso la vita un militare statunitense, il primo da quando il
presidente Obama ha ordinato il ritiro delle truppe dall’Iraq nel 2011. Inoltre
è la prima volta che un soldato americano perde la vita in un combattimento sul
terreno contro il gruppo Stato islamico. Il soldato è stato colpito a Hawija e
poi trasportato all’ospedale di Erbil, dove è deceduto. A questo punto sarà fondamentale per le forze irachene
consolidare le due vittorie e giungere ad una riconciliazione con gli abitanti
dei territori sottratti al controllo dello Stato Islamico. Una fonte del ministero
della difesa iracheno ha rivelato che il governo iracheno non era stato informato dell’operazione di salvataggio. In questo
quadro complicato gli Stati Uniti provano a coniugare gli interessi delle forze
curde con gli obiettivi delle autorità irachene, che combattono entrambe contro
lo Stato islamico, nonostante l’equilibrio precario che ha contraddistinto da
sempre i loro rapporti. Dall’anno scorso diversi consiglieri militari e
istruttori statunitensi sono tornati in alcune zone dell’Iraq per addestrare le
truppe irachene e i combattenti curdi.
A questo punto
sarà fondamentale per le forze curde ed irachene consolidare le due
vittorie e giungere ad una riconciliazione con gli abitanti dei territori
sottratti al controllo dello Stato Islamico.
27 ottobre 2015
Alessandro Ugo Imbriglia
uogo1990@hotmail.it