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venerdì 8 novembre 2019

Materiali per Analisi Parametrale


Rifugiati

Valentina Trogu

La misura della capacità di uno Stato deve essere messa in relazione con una sfida difficile da affrontare, quella dei fenomeni transnazionali di natura violenta come il traffico delle armi, la droga, le risorse preziose,  la criminalità organizzata, i gruppi terroristici, le Organizzazioni Non Governative e i rifugiati. Se lo Stato non è in grado di fronteggiare tali minacce si assisterà ad una diffusione di situazioni conflittuali in tutta l’area regionale interessata. I conflitti in questione assomigliano in tutto e per tutto a delle vere e proprie guerre civili che interessano realtà locali, provinciali, nazionali e regionali determinando un aumento del numero dei rifugiati.
La definizione base del termine “rifugiato” stilata dalla Convenzione Onu nel 1951 lo descrive come colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese.
È limitativo circoscrivere il termine rifugiato agli individui che temono di essere perseguitati se si prendono in considerazioni realtà come quelle del continente Africano (ma anche dell’America Latina) in cui è possibile assistere a spostamenti di massa di elevati numeri di persone che si allontanano da un paese caratterizzato da crisi sociali ed economiche in situazioni di conflitto. Ecco che, all’interno del termine rifugiato, è possibile leggere la definizione di sfollati interni - persone o gruppi di individui che sono stati costretti a lasciare le loro case o luoghi di residenza abituale, in particolare a causa di situazioni di violenza generalizzata, violazioni dei diritti umani o naturali, o per conflitti armati, che non hanno attraversato un confine internazionale riconosciuto – o di richiedenti asilo – persone che hanno presentato domanda di protezione internazionale, di cui non è stato ancora determinato l'esito ma che, in caso di esito positivo, verranno riconosciute come rifugiati acquisendo alcuni diritti e doveri, secondo la legislazione del Paese che lo accoglie. Ci sono, poi, i rifugiati “prima facie”, individui che fuggono in massa dal Paese a causa di conflitti e violazioni sistematiche dei diritti umani e per cui sarebbe inutile e impossibile esaminare singolarmente le domande di asilo. Alcuni esempi hanno come protagonisti i sudanesi che fuggono in Ciad, i Somali che vanno in Kenya e i ciadiani che a loro volta scappano nella Repubblica del Centro Africa.
Differente dalla definizione di rifugiato ma altrettanto attuale è l’utilizzo del termine migrante. I migranti sono coloro che privi di documenti oltrepassano le frontiere nazionali in cerca di aiuto per sfuggire ad una situazione di povertà estrema, conflitto generalizzato, crisi sociale ed economica. Nella maggior parte dei casi non hanno i requisiti per richiedere asilo, nonostante abbiano senza dubbio necessità di protezione internazionale, con la conseguenza di vedersi negato l’accesso ai servizi essenziali come l’istruzione, l’assistenza sociale, i servizi sanitari e il diritto al lavoro.
La differenza tra rifugiato e migrante, dunque, risiede principalmente sul piano legale ma notiamo spesso usare in modo intercambiabile i due termini dai mass media o nei dibattiti pubblici. Probabilmente perché in entrambi i casi si parla di persone costrette a lasciare il paese di origine per recarsi in un luogo sconosciuto in cui si pensa e spera si possa riuscire a vivere. L’individuo, però, viene a perdere ogni riferimento legato alle tradizioni, agli usi e ai costumi del proprio paese e si trova a vivere un processo di rifondazione e riappropriazione individuale del rapporto con la religione, con la società e con le altre persone. Gli immigrati non riescono a conservare in modo duraturo usi e costumi della società di origine e contemporaneamente si trovano a vivere in un contesto in cui sono visti come una minoranza e in cui mancano i precedenti riferimenti culturali. Da questa situazione di perdita dell’identità personale nasce la necessità di creare nuove identità che possono incarnarsi in una sottocultura dando l’impressione di conservare, almeno inizialmente, l’identità di origine ma che in realtà sono identità ricomposte, multiple, contestuali e di transizione. La riformulazione dell’identità avviene partendo da categorie prese dal paese di accoglienza che non sono né coincidenti con la cultura originaria né frutto di un processo di assimilazione. Occorre considerare, poi, che rifugiati, richiedenti asilo, migranti oltre alla creazione di una nuova identità devono affrontare i fantasmi che si portano dietro dal paese di origine. Violenze, guerre, carestia, sevizie, rapimenti, queste sono le motivazioni alla base della fuga, motivazioni che lasciano cicatrici interne ed esterne difficilmente sanabili se non vengono affrontate con il giusto supporto. Sintomi trascurati di un disagio psicologico sfoceranno, come dimostrano i fatti, in episodi di disadattamento e di aggressività.
Le conseguenze della migrazione potrebbero essere inserite in una lunga lista che parte proprio dai problemi legati alla perdita dell’identità di chi è costretto a lasciare il paese di origine ma che affronta, poi, le questioni sociali ed economiche che graveranno sul paese meta della migrazione o del rifugiato e che sono alla base delle decisioni di non accoglienza dei migranti. Un lungo dibattito si potrebbe affrontare sulla questione così come a lungo si potrebbe parlare di come porre fine al fenomeno intervenendo sulle cause che sono all’origine degli spostamenti. Le numerose conseguenze delle migrazioni e fuga dal paese di origine sono alla base della decisione di includere i rifugiati come parametro di valutazione della capacità di uno Stato inserendolo come fattore di squilibrio per la sicurezza dello Stato stesso.

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