Rifugiati
Valentina Trogu
La misura della capacità di uno Stato deve
essere messa in relazione con una sfida difficile da affrontare, quella dei
fenomeni transnazionali di natura violenta come il traffico delle armi, la
droga, le risorse preziose, la
criminalità organizzata, i gruppi terroristici, le Organizzazioni Non
Governative e i rifugiati. Se lo Stato non è in grado di fronteggiare tali
minacce si assisterà ad una diffusione di situazioni conflittuali in tutta
l’area regionale interessata. I conflitti in questione assomigliano in tutto e
per tutto a delle vere e proprie guerre civili che interessano realtà locali,
provinciali, nazionali e regionali determinando un aumento del numero dei
rifugiati.
La definizione base del termine
“rifugiato” stilata dalla Convenzione Onu nel 1951 lo descrive come colui che temendo a ragione di essere
perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del
Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore,
avvalersi della protezione di questo Paese.
È limitativo circoscrivere il termine
rifugiato agli individui che temono di essere perseguitati se si prendono in
considerazioni realtà come quelle del continente Africano (ma anche
dell’America Latina) in cui è possibile assistere a spostamenti di massa di
elevati numeri di persone che si allontanano da un paese caratterizzato da
crisi sociali ed economiche in situazioni di conflitto. Ecco che, all’interno
del termine rifugiato, è possibile leggere la definizione di sfollati interni -
persone o gruppi di individui che sono stati costretti a lasciare le loro case
o luoghi di residenza abituale, in particolare a causa di situazioni di
violenza generalizzata, violazioni dei diritti umani o naturali, o per
conflitti armati, che non hanno attraversato un confine internazionale riconosciuto
– o di richiedenti asilo – persone che hanno presentato domanda di protezione
internazionale, di cui non è stato ancora determinato l'esito ma che, in caso
di esito positivo, verranno riconosciute come rifugiati acquisendo alcuni
diritti e doveri, secondo la legislazione del Paese che lo accoglie. Ci sono,
poi, i rifugiati “prima facie”, individui che fuggono in massa dal Paese a
causa di conflitti e violazioni sistematiche dei diritti umani e per cui
sarebbe inutile e impossibile esaminare singolarmente le domande di asilo.
Alcuni esempi hanno come protagonisti i sudanesi che fuggono in Ciad, i Somali
che vanno in Kenya e i ciadiani che a loro volta scappano nella Repubblica del
Centro Africa.
Differente dalla definizione di rifugiato
ma altrettanto attuale è l’utilizzo del termine migrante. I migranti sono
coloro che privi di documenti oltrepassano le frontiere nazionali in cerca di
aiuto per sfuggire ad una situazione di povertà estrema, conflitto
generalizzato, crisi sociale ed economica. Nella maggior parte dei casi non
hanno i requisiti per richiedere asilo, nonostante abbiano senza dubbio
necessità di protezione internazionale, con la conseguenza di vedersi negato
l’accesso ai servizi essenziali come l’istruzione, l’assistenza sociale, i
servizi sanitari e il diritto al lavoro.
La differenza tra rifugiato e migrante,
dunque, risiede principalmente sul piano legale ma notiamo spesso usare in modo
intercambiabile i due termini dai mass media o nei dibattiti pubblici.
Probabilmente perché in entrambi i casi si parla di persone costrette a
lasciare il paese di origine per recarsi in un luogo sconosciuto in cui si
pensa e spera si possa riuscire a vivere. L’individuo, però, viene a perdere
ogni riferimento legato alle tradizioni, agli usi e ai costumi del proprio
paese e si trova a vivere un processo di rifondazione e riappropriazione
individuale del rapporto con la religione, con la società e con le altre
persone. Gli immigrati non riescono a conservare in modo duraturo usi e costumi
della società di origine e contemporaneamente si trovano a vivere in un
contesto in cui sono visti come una minoranza e in cui mancano i precedenti
riferimenti culturali. Da questa situazione di perdita dell’identità personale
nasce la necessità di creare nuove identità che possono incarnarsi in una
sottocultura dando l’impressione di conservare, almeno inizialmente, l’identità
di origine ma che in realtà sono identità ricomposte, multiple, contestuali e
di transizione. La riformulazione dell’identità avviene partendo da categorie
prese dal paese di accoglienza che non sono né coincidenti con la cultura
originaria né frutto di un processo di assimilazione. Occorre considerare, poi,
che rifugiati, richiedenti asilo, migranti oltre alla creazione di una nuova
identità devono affrontare i fantasmi che si portano dietro dal paese di
origine. Violenze, guerre, carestia, sevizie, rapimenti, queste sono le
motivazioni alla base della fuga, motivazioni che lasciano cicatrici interne ed
esterne difficilmente sanabili se non vengono affrontate con il giusto
supporto. Sintomi trascurati di un disagio psicologico sfoceranno, come
dimostrano i fatti, in episodi di disadattamento e di aggressività.
Le conseguenze della migrazione potrebbero
essere inserite in una lunga lista che parte proprio dai problemi legati alla
perdita dell’identità di chi è costretto a lasciare il paese di origine ma che
affronta, poi, le questioni sociali ed economiche che graveranno sul paese meta
della migrazione o del rifugiato e che sono alla base delle decisioni di non
accoglienza dei migranti. Un lungo dibattito si potrebbe affrontare sulla
questione così come a lungo si potrebbe parlare di come porre fine al fenomeno
intervenendo sulle cause che sono all’origine degli spostamenti. Le numerose
conseguenze delle migrazioni e fuga dal paese di origine sono alla base della
decisione di includere i rifugiati come parametro di valutazione della capacità
di uno Stato inserendolo come fattore di squilibrio per la sicurezza dello
Stato stesso.
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