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venerdì 22 novembre 2019

Materiali per Analisi Parametrale 3


FAZIONI ETNICHE E RELIGIOSE

Valentina Trogu

La presenza di numerose fazioni etniche e religiose porta inevitabilmente a sottolineare una corrispondenza tra conflitti e instabilità politica. Alla base ci sono fattori di discriminazione e di intolleranza. Dove il sistema è intollerante verso una società multi-etnica e multi-religiosa si verificano condizioni di instabilità sociale. Gli indicatori sintomatici di questi aspetti sono due:
·         la connotazione etnica/religiosa di una élite in una società eterogenea
·         l’esistenza di polizie pubbliche che agiscono in maniera discriminatoria verso alcuni gruppi.
Ove sussistono questi indicatori troviamo le situazioni di rischio più elevate per le cosiddette minoranze presenti in un gruppo della popolazione che, a causa della non uniformità etnica, linguistica, religiosa e culturale, vengono sottoposte a trattamenti diseguali e differenziati da parte della maggioranza che si reputa universale ed impone le sue norme. Dal punto di vista sociologico, una minoranza può essere numericamente superiore ad una maggioranza risultando ugualmente discriminata e si riscontra la presenza di tali minoranze, tratteggiate da fattori economici, politici, storici, in tutti i paesi del mondo. Nella socio-economia, poi, il termine minoranza fa riferimento alla subordinazione sociale di un gruppo etnico distinto dagli altri per la lingua, la razza, la nazionalità o la religione. Ne sono un esempio i popoli indigeni, non solo in Africa ma anche nell’America Latina e in Oceania. Sono stati assoggettati, rinchiusi in riserve, impiegati come mano d’opera a basso costo e privati della loro terra e dei beni, come ad esempio i Pigmei nel cuore dell’Africa. Chi mette in atto le discriminazioni, spesso, è il governo oppure altri settori della società. Nel 2003, una ricerca condotta dall’University of Maryland’s Center for International Development & Conflict Management (CIDCM) ha individuato 31 Stati africani con minoranze etniche/religiose a rischio di azioni discriminatorie di cui nove Stati (Angola, Burundi, Camerun, R.D. del Congo, Nigeria, Senegal, Sudan, Uganda e Zimbabwe) presentano la situazione di rischio più elevato.
In Angola, per esempio, ci sono circa 90 gruppi etnici. Il principale è costituto dagli Ovimbundu, che rappresentano poco meno del 40% della popolazione e hanno costituito la base etnica dell’Unita durante la guerra civile. Seguono i Mbundu (25% circa della popolazione) e i Bakongo (14%). Meno numerosi ma rilevanti dal punto di vista dell’influenza economica e politica sono i mestiços, gruppi di popolazione mista di origine africana, europea e asiatica, che si concentrano soprattutto nelle città e costituiscono il 3-5% circa della popolazione totale. Per quanto riguarda la religione, la maggioranza degli abitanti del paese è cristiana (53%), mentre il resto della popolazione pratica culti tradizionali (46,8%). Una esigua minoranza di persone è di fede islamica.
In Nigeria ci sono più di 250 gruppi etnici che presentano una enorme varietà di tradizioni, lingue, culture e religioni. Le principali etnie nel Nord sono gli Hausa e i Fulb/Fulani, la maggioranza dei quali è di religione musulmana. Altri importanti gruppi etnici del nord della Nigeria sono Nupe, Tiv, e Kanuri. Nel sud-ovest predomina, invece, il popolo Yoruba che si divide quasi equamente fra fede islamica e cristiana mentre una minoranza professare l’antico culto animistico del loro
gruppo. L’etnia Igbo, invece, è di maggioranza cristiana e si trova nelle zone centrali del Sud-Est. Le confessioni più diffuse sono il protestantesimo ed il cattolicesimo ma sono presenti anche popolazioni di fede anglicana, pentecostale ed evangelica. Infine, Gli Efik, gli Ibibio, gli Annang
e gli Ijaw costituiscono altre popolazioni del Sud-Est della Nigeria.  Tra tutte le 250 fazioni etniche-religiose, gli Hausa-Fulani, gli Yoruba e gli Igbo  sono i tre gruppi etnici da considerare “leader” dato che hanno condizionato la storia nigeriana dalla sua indipendenza. Dagli anni Sessanta, infatti, all’interno del Paese si è radicalizzata una forte contrapposizione tra il Nord musulmano ed il Sud cristiano. Le due aree da sempre si contendono la spartizione delle risorse dello Stato federale e il potere di controllo politico e militare dei territori causando scontri di natura interna e spinte secessionistiche, come la sanguinosa guerra civile del Biafra, nel 1967, tentata dall’etnia Igbo per ottenere il pieno dominio sui territori del Sud. Nonostante il ritorno alla democrazia nel 1999 e la balcanizzazione della Nigeria in 36 Stati federati diversi come tentativo di fornire ad ogni gruppo etnico il proprio riconoscimento ed una maggiore rappresentanza politica ed economica sul territorio occupato, negli ultimi decenni sono state numerose le occasioni di conflitto fra i diversi gruppi etnici, tutte di natura politica ed economica. Nella regione del Delta del Niger, per esempio, i gruppi degli Ogoni e degli Ijaw hanno portato avanti degli aspri conflitti con il governo centrale e le multinazionali estere per il controllo del petrolio e dei suoi profitti economici. In Nigeria, dunque, così come nel Sudan, sono le differenze religiose unite a interessi economici alla base dei conflitti.
Nel Ruanda e nel Burundi, invece, i conflitti sono spesso provocati da gruppi etnici che si ribellano in nome di una identità etnica. I due gruppi etnici che costituiscono la quasi totalità della popolazione del Ruanda e del Burundi sono gli Hutu (circa l’85% della popolazione) e i Tutsi (circa il 14% della popolazione). Hutu e Tutsi vivevano insieme in società feudali dalla struttura simile ma con rilevanti differenze. In Ruanda si trova, dal XVI secolo, un regno dalla struttura molto centralizzata, basato su una rigida divisione di ruoli tra gli allevatori-guerrieri tutsi e i coltivatori hutu e con a capo un sovrano tutsi che esercitava un potere effettivo su una classe di capi della stessa etnia. C’era anche una terza etnia, i pigmei twa, ma era minoritaria e relegata in una posizione di marginalità. Lingua, religione, tradizioni erano le stesse per gli hutu come per i tutsi ma il nord del Ruanda, governato dagli hutu, per lungo tempo rimase restio a sottomettersi alla struttura feudale del resto del paese, e ha comunque sempre conservato un forte senso della propria diversità. Il Burundi differiva per la sua struttura feudale che si caratterizzava dall’esistenza di una classe nobile ritenuta «neutra», cioè né hutu né tutsi, detta ganwa, e dall’esistenza di un insieme di principati locali che mal accettavano l’intromissione del sovrano nelle loro vicende, orgogliosi di mantenere una propria autonomia. I regni del Ruanda e dell’Urundi sono caduti, dopo la Conferenza di Berlino, sotto la sfera di influenza tedesca, con conseguenti spedizioni e tentativi di penetrazione. I risultati furono molto diversi per i due regni. In Ruanda il sovrano scelse di collaborare ufficialmente con i colonizzatori, anche se si sviluppava una nascosta resistenza passiva mascherata da un’apparente sottomissione. In Burundi seguirono, invece, una lunga serie di scontri e violenze a cui gli occupanti tedeschi risposero con campagne militari estremamente dure. Passati in mano ai Belgi, le due etnie iniziarono ad essere studiate da un punto di vista etnico-razziale, sulla base delle concezioni scientifiche dell’epoca. Venne avvalorata l’idea per cui i tutsi fossero una popolazione con una distinta origine razziale dagli hutu e vennero descritti dai colonizzatori come i capi naturali, con un grande talento politico, abili nel nascondere il proprio pensiero, caratterizzati da un’educazione volta all’acquisizione di un grande autocontrollo dei sentimenti. Al contrario, gli hutu sono stati dipinti come una popolazione naturalmente destinata a restare subordinata, come agricoltori senza ambizioni, sinceri e spontanei in modo ingenuo, facili all’ilarità e alle esplosioni incontrollate. Questa forte distinzione di identità ha portato alla guerra civile e al genocidio del 1994 allontanando la risoluzione delle problematiche del paese.
Nello Zimbabwe il gruppo etnico più diffuso è quello degli Shona ma sono presenti molte altre culture che possono includere credenze e cerimonie diverse. Circa l’80% dei cittadini del paese si identifica come cristiani di cui il 63% sono protestanti (soprattutto seguaci delle Chiese africane) mentre i seguaci delle religioni etniche sono circa l’11%. L’1% sono musulmani, provenienti principalmente dal Mozambico e dal Malawi, lo 0,1% sono indù e lo 0,3% sono Baha’is. Circa il 7% dei cittadini non sono religiosi o sono atei. La struttura sociale è rigida e si basa su regole prestabilite e rapporti tradizionali consolidati. Per la protezione della propria cultura, lo Zimbabwe è rimasto un paese isolato dal punto di vista economico, sociale e politico.
Nell’ambito dell’analisi parametrale, dunque, la presenza di fazioni etnico-religiose mette a rischio la capacità di coesione sociale che sta alla base di uno stato stabile e solido.



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