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mercoledì 15 ottobre 2014

Dai BRICS ai MINT: Messico Indonesia Nigeria Turchia

 Pietro Stilo e Domenica Alessia Trunfio Geoeconomia 0 commentI
Dai BRIC ai MINT
Terence James O’Neil, noto ai più come Jim O’Neil, è un’economista britannico passato alla storia per aver coniato nel 2001 l’acronimo BRIC, con la relativa teoria. Ha iniziato la sua carriera di economista presso Bank of America nel 1982 occupandosi di finanza, successivamente ha lavorato per Goldman Sachs, dove nel 2010 è arrivato a ricoprire la posizione di presidente della divisione di Goldman Sachs Asset Management. L’acronimo BRIC, scisso in ogni sua parte, svela quelle che sono le quattro economie emergenti di inizio secolo, ossia Brasile, Russia, India e Cina, alle quali successivamente si aggiunge la “S” del Sudafrica, voluto nel “club” dalla Cina soprattutto per motivi geopolitici e geo-strategici, e non per la sua condizione economica che tra l’altro non è assimilabile alle performance degli altri membri del club.  E’ curioso notare come l’acronimo BRIC abbia una vaga assonanza con la parola inglese brick che significa mattone e di conseguenza potremmo immaginare questi paesi come dei veri e propri mattoni per la costruzione di nuovo impianto economico mondiale, ma qui rischiamo di sfociare nel campo delle supposizioni.
Perché O’Neil associa questi paesi in un gruppo omogeneo, i quali poi, come è ben noto, faranno gruppo tra loro per poter meglio affacciarsi sulla scena economica (e non solo economica) globale? Perché secondo O’Neil tutte queste economie condividono una situazione economica simile: sono economie in sviluppo, hanno una popolazione in rapida crescita con sacche di scolarizzazione e specializzazione in alcuni settori tecno-scientifici ragguardevoli, dei territori vasti con la presenza di abbondanti risorse naturali strategiche per l’industria. Tutti elementi che hanno contribuito a far impennare il valore dei loro Pil e la loro quota di commercio internazionale, aumentando di conseguenza il Pil mondiale che si è spostato sempre più verso di loro, tant’è vero che oggi rappresentano circa il 20% del Pil globale con un trend che, almeno stando alle stime, li rafforzerà sempre più. Ovviamente vanno fatti i dovuti distinguo paese per paese, ma andiamo per ordine.
Secondo la teoria messa a punto dell’economista britannico, questi paesi dovrebbero dominare l’economia mondiale nei prossimi anni. Le economie emergenti sono cresciute così rapidamente da riuscire a portare i livelli dei loro Pil al pari dei paesi del G6. Sta di fatto che dal 2000 tutti questi paesi hanno accresciuto il loro reddito pro-capite e di conseguenza il loro potere d’acquisto (soprattutto delle classi medie) del 99% contro il 35% dei sei maggiori paesi industrializzati. Leggendo i rapporti della Goldman Sachs, i paesi del BRICS (Cina e India in particolare), riusciranno a superare il Pil nominale dei paesi del G6 (Usa, Giappone, Francia, Regno Unito, Germania, Italia), riconsegnando così al continente asiatico il primato economico perso nel XIX secolo.  I BRICS, a differenza dei paesi di vecchia industrializzazione, si caratterizzano per avere un debito pubblico più basso e riserve internazionali molto elevate. La crisi dei debiti sovrani in Europa ne è la conferma più lampante. Ma la vera grande ricchezza di queste economie in ascesa è sicuramente la popolazione. Questi stati infatti rappresentano il 42% della popolazione mondiale complessiva, che com’è noto in una economia inserita nel sistema capitalistico è la principale determinante della domanda.
Se fino allo scorso anno, la situazione era quella che abbiamo appena delineato, adesso è venuto il momento di rivedere e aggiornare la classificazione dei paesi emergenti, con l’innesto di nuove realtà che si affacciano nel contesto economico globale con forza e determinazione, a tal punto da far concorrenza (almeno in alcuni settori) ai BRICS. Infatti guardando gli indicatori economici fondamentali di altri paesi, possiamo notare come altre economie stanno crescendo rapidamente negli ultimi anni, e secondo le stime più accreditate continueranno a farlo ancora per molto tempo.
I fattori che hanno determinato il successo e l’ascesa di questi paesi a nuovi colossi dell’economia mondiale sono molteplici; fra questi troviamo la disponibilità di materie prime, tra cui petrolio, gas naturale, metalli preziosi e il basso costo della manodopera che aumenta la competitività con le economie emergenti classiche e di conseguenza la capacità di attrazione di investimenti esteri, soprattutto di IDE (Investimenti Diretti Esteri), portatori (almeno in teoria) di competitività, know how e posti di lavoro.
Il mondo corre velocemente e di conseguenza cambia con una rapidità mai conosciuta prima, comportando la necessità per tutti i paesi di adeguarsi a tali cambiamenti per potersi agganciare ai potenti motori che trainano l’economia mondiale e non rimanere indietro in questo confronto “senza fine e senza confine”. I BRICS non bastano più allo scopo, o almeno non sono più soli in questo contesto. Ecco dunque che vediamo affacciarsi sulla scena globale i MINT.
Questo infatti è il nuovo acronimo, coniato da Jim O’Neil per definire le nuove economie in rapida crescita, quei paesi che potremmo definire come gli esordienti tra gli emergenti.
Ma chi sono i MINT? O meglio quali paesi fanno parte di questo nuovo club secondo l’economista britannico? L’acronimo MINT sta per Messico, Indonesia, Nigeria, Turchia.
Possiamo affermare che di MINT si discuteva già nel 2010, quando il presidente dei liberaldemocratici al Parlamento Europeo, Guy Verhofstadt scriveva all’allora presidente del Consiglio dell’Unione Europea Herman Van Rompuy che: “Nel 2050 il G7 sarà composto da Usa, Cina, India, Russia, Brasile, Messico e Indonesia”. Secondo quelle che erano le stime del FMI, il Pil di questi paesi avrebbe superato quello dei paesi avanzati e a quanto pare questa è la tendenza.
Anche se questo nuovo acronimo ha iniziato a circolare nel mondo economico solo in tempi recentissimi, sempre per merito di O’Neil, era già stato messo in giro nel 2011 dal gruppo finanziario Fidelity. Ciò che accomuna tutti questi paesi è soprattutto la loro crescita demografica e il fatto di avere molte opportunità ai loro confini geografici.
Il Messico per esempio, si colloca per Pil dopo la Spagna ma prima dell’Olanda al 14° posto nella scala mondiale; subito dopo ci sono Indonesia e Turchia mentre la Nigeria è al 39° posto. Quello che però stupisce è la previsione che la banca d’affari americana Goldman Sachs fa da qui al 2050, quando Messico e Indonesia (secondo gli analisti a stelle e strisce) saliranno rispettivamente al 9° e 10° posto, ossia più in alto di Regno Unito, Francia e Germania. Il fatto che tutti questi paesi abbiano una popolazione molto numerosa fa sì che gli sia garantita sufficiente manodopera a prezzi bassi fino al 2050. Per quel che riguarda l’aspetto geografico invece, possiamo evidenziare la vicinanza del Messico agli Usa (con i quali insieme al Canada diedero vita ad un accordo economico regionale molto importante, il NAFTA) e all’America Latina (con la quale ci sono legami culturali e linguistici oltre che geografici). Se tutto ciò garantisce al Messico l’accesso a mercati diversi e molto grandi, stessa cosa vale per l’Indonesia nel cuore del Sud-Est asiatico, vicinissima alla Cina, mentre la Turchia da sempre rappresenta un ponte fra Est e Ovest non solo geografico e ideale ma anche economico. Ma vediamo nello specifico le caratteristiche che consentono ad ognuno di questi paesi di entrare di diritto tra le economie emergenti.
Messico: Situato in America Centrale, il Messico confina a Nord con gli Stati Uniti d’America, a Sud con Belize e Guatemala ed è bagnato a Ovest dall’oceano Pacifico e ad Est dall’Atlantico. Come già detto la posizione geografica è una delle caratteristiche importanti dei MINT. Nel caso del Messico, questa gli consente di beneficiare non solo dell’influenza economica degli USA ma anche di poter entrare in contatto con le economie e i mercati dell’America Latina. A proposito della sua presenza nell’economia mondiale, il Messico è inserito dal 1994 nel NAFTA (North American Free Trade Agreement) il trattato di libero scambio commerciale stipulato fra Messico, Canada e Stati Uniti il cui scopo principale è quello di eliminare tutte le barriere tariffarie esistenti (99% per l’esattezza) fra i paesi aderenti e l’apertura del mercato alle società nordamericane. Il Messico è l’unico paese a poter vantare la più grande rete di accordi di libero scambio con le più grandi economie mondiali, oltre che con gli USA. Ha stipulato accordi con UE, Giappone ed EFTA. Negli ultimi anni le esportazioni hanno contribuito significativamente alla crescita del paese, rappresentando nel 2006 il 4% del PIL totale. Al fine di crescere ed arrivare a ricoprire la quattordicesima posizione fra le economie più importanti del mondo, il Messico ha in questi anni modificato e ammodernato il proprio sistema politico ed economico, sviluppando un ambiente liberale caratterizzato dalla combinazione di industria e agricoltura. Le amministrazioni più recenti hanno guardato con interesse ai settori della costruzione di infrastrutture, telecomunicazioni e alla produzione di energia e distribuzione di gas naturale. Il paese centroamericano è anche una delle nazioni più popolose dell’America Centrale e, come sappiamo, anche il requisito demografico influisce e non poco sulla capacità di crescita economica di una nazione. Il Messico conta circa 106 milioni di abitanti e una forza lavoro di 48 milioni di persone, molto giovane e a buon mercato. Sono questi fattori dunque che fanno rientrare questo paese nei MINT. Se guardiamo nel dettaglio i dati percentuali degli indicatori economici, notiamo quanto siano interessanti: Popolazione 109.955,400 Mln abitanti; PIL 893.4 Mld; PIL nominale 1.058.349 $; Pil pro-capite 17.085 $; disoccupazione 5.1%; alta formazione/istruzione 4%; modernizzazione tecnologica 3.7%.
Indonesia : Con una popolazione stimata attorno ai 240 milioni di abitanti, l’Indonesia  rappresenta il più grande paese del Sud-Est asiatico. E’ fortemente integrato con i paesi dell’ASEAN (Association of South-East Asian Nations), un’organizzazione politica, economica e culturale di nazioni del Sud-Est asiatico, della quale fanno parte anche Filippine, Malaysia e Thailandia. L’associazione esiste dal 1967 e ha lo scopo di promuovere la cooperazione e l’assistenza reciproca fra gli stati membri per accelerare il progresso economico e aumentare la stabilità della regione. L’Indonesia è anche membro del G20. Questo paese è stato protagonista negli ultimi anni di una transizione che lo ha visto passare da nazione sull’orlo del baratro fallimentare a sistema economico stabile. Il dato più sorprendente è che l’Indonesia cresce allo stesso ritmo di un altro colosso asiatico, quello cinese. Nel 2011 questo paese, ha mostrato una crescita del suo PIL del +6.4%. Anche i flussi commerciali hanno dimostrato di essere in crescita registrando variazioni positive pari al 36% per le esportazioni e al 32% per le importazioni. L’Indonesia è stata oggetto di IDE, pari a 19.7 mld di $ nel 2011 ossia 6 mld in più rispetto all’anno precedente, diventando così la meta più appetibile del Sud-Est asiatico, seguita da Thailandia e Vietnam. Anche per l’Indonesia, come per il Messico e la Turchia, vale lo stesso discorso della posizione geografica strategica e della popolazione in forte crescita, entrambi elementi utili all’economia di un paese che vuole avere parte da protagonista nell’economia mondiale. A guardare gli indicatori macroeconomici vediamo il PIL pari a 1.137 mld $; il PIL pro-capite 4.568 $.
Nigeria: La Repubblica federale di Nigeria, con una popolazione di 160 milioni di persone, è la realtà economica africana più interessante. Nonostante il dato drammatico del 61,2% della popolazione che vive con meno di 1$ al mese, il Pil nominale di questo paese è stimato in 247 miliardi di $ pari a 190 milioni di €, dato che nel 2012 è cresciuto del 6,48%. Il reddito nominale pro-capite è stato nel 2011 di 1500 $. Grazie a questi dati possiamo ritenere che la Nigeria punti entro il 2020 a rientrare fra le 20 economie più importanti del pianeta, prevedendo una crescita potenziale del Pil fino a 900 miliardi di $ e un reddito pro-capite di 4000 $. Il settore economico più importante è sicuramente quello rappresentato dalla produzione del petrolio, materia che concorre per il 95% ai proventi delle esportazioni, per l’80% al bilancio e per il 40% alla formazione del Pil.
Oltre al petrolio, la Nigeria è l’11° produttore mondiale di gas con 41.323 milioni di metri cubi nel 2011. L’agricoltura contribuisce per 1/3 del Pil. Fra le maggiori produzioni agricole troviamo riso, cacao, arachidi, grano e sorgo. Le industrie nigeriane sono per la maggior parte quelle estrattive di greggio e di gas, di carbone, stagno, columbite.
Ecco in breve i dati macroeconomici che ci indicano come la Nigeria possa essere collocata fra i MINT: Pil nominale (mln €) (2012) 213.290; popolazione (mln) 169; Pil pro-capite ($) nel 2012 1.913; disoccupazione (2012) 29, 3%.
Turchia: L’economia turca viene generalmente definita come un’economia in salute. Questo paese è uno dei pochi vicini all’area Euro-mediterranea che meno ha risentito della crisi globale e più degli altri ha visto negli ultimi tempi tassi di crescita notevoli. I dati diffusi in questi ultimi anni ci mostrano come questa crescita sia confermata da un PIL che è praticamente triplicato. Gli IDE sono cresciuti esponenzialmente e la crescita totale è stata mediamente del 5%; a sua volta il PIL pro-capite è passato dai 3.500$ del 2003 ai 10.000$ del 2012. Dal canto suo, il presidente Recep Tayyip Erdogan (in carica dal 2003) in occasione dell’ultima campagna elettorale ha pubblicizzato un programma che aveva come obiettivo quello di attuare varie riforme entro il 2023, anno in cui la Turchia festeggerà il centenario dalla sua nascita. Si stima che entro questa data la Turchia vedrà crescere il proprio reddito pro-capite fino ad attestarsi attorno ai 25.000 $, le esportazioni raggiungeranno quota 500 miliardi di $ e l’industria darà il via alla produzione di automobili, velivoli e mezzi militari 100% made in Turkey. Tutte queste previsioni trovano in qualche modo conferma grazie ai dati economici attuali che vedono la Turchia come una delle realtà più dinamiche al mondo, grazie anche alla sua collocazione geopolitica che la vede affacciata nell’area del Mar Nero, nel Mediterraneo Orientale, in Medio Oriente e in Asia Centrale. Motore trainante di questa crescita sono, sin dagli anni ’60, le industrie manifatturiere. Dal 2010 i dati mostrano come il PIL turco sia cresciuto rispetto agli anni precedenti del +9%, del +8.5% nel 2011 e così via, e secondo le previsioni del FMI entro il 2017 i dati a nostra disposizione raddoppieranno grazie ad una crescita stimata, nel periodo fra il 2013 e 2017, fra il 3.2% e il 4.6 % annuo.
Nel dettaglio vediamo quali sono gli indicatori economici che confermano quanto affermato: PIL totale +1.3%; PIL pro-capite 11.582$; disoccupazione 10.5%; popolazione 75.8 milioni di abitanti. Tutto ciò in Turchia ha portato ad un crescente interesse da parte degli investitori stranieri, interesse che ben presto si è tradotto in IDE in entrata, che in quattro anni sono cresciuti oltre venti volte. Sicuramente tutto ciò ha consentito che il tenore di vita della popolazione turca, soprattutto quella borghese, aumentasse, mentre diverse invece sono le condizioni di vita dei lavoratori non qualificati, degli operai e dei pubblici impiegati. Al ridotto aumento dei loro stipendi, infatti, fa da contraltare l’aumento del costo della vita nelle città, con un’inflazione dell’8.9% che sicuramente riduce gli effetti di questo miglioramento generale.
Come si può evincere da quanto affermato sin ora, i MINT esprimono grossissime potenzialità, anche se ognuno di essi si trova costretto ad affrontare sfide di non poco conto, soprattutto per quel che riguarda le questioni di sperequazione dei redditi e del capitale umano. Ma con la sua tipica fiducia, O’Neil ritiene che essi possano ripercorrere le orme dei BRICS e riuscire ad agganciare le maggiori economie mondiali nel giro di pochissimi anni.

Pietro Stilo è Dottorando di ricerca in Scienze economiche e metodi quantitativi all'Università di Messina.
Domenica Alessia Trunfio è Dottoressa in Scienze Politiche e delle Relazioni internazionali.

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