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domenica 4 maggio 2014

Vaticano: guardando ad oriente

Vaticano
Quanto conta un papa in Polonia? 
Antonio Armellini
28/04/2014
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Ero a Varsavia quando fu eletto Giovanni Paolo II. Nel silenzio dei media ufficiali - le notizie sulla chiesa cattolica venivano date allora con il contagocce - la gente aveva seguito da vicino l’andamento del Conclave, nel quale il Cardinale Wyszynsky, Primate di Polonia, appariva destinato a giocare un ruolo di primo piano (qualcuno azzardava che avrebbe potuto essere proprio lui il nuovo Papa).

Pochi pensavano che il Cardinale di Cracovia, Karol Woityla, avrebbe avuto un ruolo altrettanto determinante.

Woityla e Comunismo
I due prelati erano molto diversi fra loro. Rappresentavano entrambi un punto di riferimento fondamentale in un Paese fortemente cattolico che sopportava a fatica un socialismo visto soprattutto come espressione dell’odiato nemico sovietico (fra anticomunisti dichiarati e silenziosi, gli oppositori erano la maggioranza).

Entrambi ritenevano l’ideologia comunista un male da estirpare, ma il loro approccio al regime di Gierek era diverso. Per Wyszynsky il comunismo rappresentava solo uno dei molti incidenti nella storia millenaria della Chiesa, che questa avrebbe sicuramente dominato. Proprio perché non destinato a sopravviverle, si poteva con esso dialogare al fine di conservare alla chiesa tutto lo spazio possibile in attesa del trionfo definitivo.

Per Woityla il comunismo rappresentava una minaccia mortale e la battaglia contro il secolarismo incombente avrebbe dovuto essere combattuta da subito e con decisione, senza scendere a compromessi. Per tali ragioni si mormorava che fra i due vi fosse un po’ di ruggine: il regime preferiva comprensibilmente trattare con il Primate di Varsavia piuttosto che con il suo collega di Cracovia.

Quella sera ero stato invitato da amici: genitori e figli si dividevano quello che era stato un tempo il grande appartamento borghese di famiglia e che, per dare un minimo di privacy ad entrambi, era stato diviso da una lunga parete di cartone. Rappresentavano, gli uni e gli altri, l’essenza dell’opposizione laica e antisovietica, più che anticomunista: intellettuali disincantati e cosmopoliti, agnostici quanto era lecito essere nella Polonia del tempo.

La madre era stata la traduttrice di Moravia, la figlia era una italianista di valore e il genero un amico e collega del regista Krzystof Zanussi. Tutte frequentazioni che li collocavano al margine esterno del limite di tolleranza da parte del regime, che essi facevano attenzione a non travalicare.

Rivalsa polacca
Mentre stavamo cenando, la parete di cartone cominciò a sussultare pericolosamente e, dopo qualche istante, i genitori entrarono nella metà dell’appartamento dei figli gridando: “È successo l’evento più importante nei novecento anni della storia di Polonia: è stato eletto un Papa polacco!”.

A questo annuncio tutti - padri, figli e altri amici presenti - cominciarono ad abbracciarsi piangendo e a pregare, dicendo: “abbiamo sofferto per decenni sotto il giogo assurdo sovietico, ma questo ci ripaga di tutto: la Polonia vivrà per sempre!”.

Assistevo esterrefatto e commosso a questa scena, ad un tempo così intensa e così irreale, come lo erano tante cose nella Polonia di allora. La presa di Mosca sul paese era sì avvolta in un guanto di velluto, ma nessuno si azzardava a pensare che non fosse destinata a durare a lungo.

Era difficile immaginare, quella sera, che il papa polacco la sua guerra contro il comunismo la avrebbe portata avanti come aveva promesso sin dai tempi di Cracovia, e la avrebbe vinta. Non lo pensai io ma i miei amici polacchi - sotto la spinta di un entusiasmo che faceva della fede uno strumento di affermazione nazionale - ci credevano; la storia ha dato loro ragione.

Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).
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