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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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lunedì 23 dicembre 2013

Auguri


A tutti gli amici e lettori di questo blog





I più sinceri Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo 

lunedì 16 dicembre 2013

Nuovo slancio per i negoziati commerciali globali?




Fonte: Economist Intelligence Unit. Chi non desidera questo post è pregato di comunicarlo a geografia2013@libero.it. Commenti:utilizzare la casella annessa al blog. (www.coltrinariatlantegeostrategico.blogspot.com)
10 dicembre 2013


In 7 dicembre negoziatori ad un dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) riunione di Bali, in Indonesia ha annunciato un accordo sugli aspetti del commercio mondiale. L'accordo si concentra sulla "facilitazione degli scambi", come la riduzione della burocrazia alle frontiere e la definizione di norme vincolanti per la circolazione delle merci a livello internazionale. Si affronta anche la sicurezza alimentare e l'accesso al mercato per i paesi meno sviluppati (PMS). L'accordo è un passo avanti minore per l'OMC, ma il più ampio Doha round è lungi dall'essere completa. Inoltre, agenda multilaterale dell'OMC continua ad essere minacciata dalla proliferazione di accordi di libero scambio regionali e bilaterali (ALS).
Il pacchetto Bali segna una delle prime realizzazioni significative della travagliata Doha round di negoziati commerciali dell'OMC in quanto i colloqui avviati nel 2001.L'accordo sulla facilitazione del commercio mira a snellire commercio mondiale di merci, riducendo burocrazia e dei costi di transazione. Paesi dovranno adottare procedure più standardizzate doganali e tecnologia. Auspica L'OMC che questo ridurrà la quantità di tempo che le merci attendono di sdoganamento-che, nei paesi in via di sviluppo, in particolare, può essere lungo. Un regime commerciale più trasparente potevano ridurre la corruzione e creare un ambiente operativo più prevedibile per gli esportatori e importatori, i quali, per esempio, sarebbe potenzialmente avere maggiore chiarezza sul rispetto delle norme doganali e sul tempo necessario per cancellare una spedizione attraverso la dogana.
Commercio più economico e facile promette benefici economici più ampi. Quantificare questi benefici è difficile, ma stima il WTO che il pacchetto di facilitazione del commercio Bali potrebbe ridurre i costi del commercio del 10-15%, aumentare gli investimenti esteri e aumentare il volume degli scambi di merci. Note L'OMC che la duplicazione di dati e documentazione doganale, e altre inefficienze, a volte può essere più costoso di dazi doganali reali. Dato il fatto che la resistenza da parte di paesi in via di sviluppo è stato un fattore significativo dietro ritardi nei negoziati OMC in questi ultimi anni, vale la pena notare l'affermazione del WTO che i benefici di facilitazione degli scambi matureranno principalmente ai paesi in via di sviluppo (molti dei quali anche beneficiare finanziaria e supporto tecnico per aggiornare i loro sistemi informatici, codificare i regolamenti e il personale del treno). Sdoganamenti più veloci potrebbero beneficiare esportatori di prodotti agricoli, riducendo gli sprechi dei prodotti deperibili. In linea di principio, i miglioramenti nella tecnologia e di trasparenza può aiutare i governi per aumentare le entrate doganali (in parte riducendo la corruzione) senza aumentare i dazi all'importazione e degli altri tributi che avrebbero potenzialmente avere un impatto negativo sui flussi commerciali.
L'altro principale risultato al vertice di Bali è stato quello di rassicurare i paesi in via di sviluppo, in particolare, India-che le politiche volte a migliorare la sicurezza alimentare non porterebbero a sanzioni legali, anche se nominalmente violato le regole dell'OMC sulle sovvenzioni e le politiche che distorcono il commercio. India, per esempio, fieramente difeso la sua politica di sovvenzionamento e di stoccaggio alimenti di base, e ha minacciato di bloccare il pacchetto globale di Bali se le sue richieste sono state ignorate. Nel caso, si è assicurato una rinuncia ad interim per i paesi in via di sviluppo su questo tema, insieme con l'accordo che la rinuncia continuerà ad applicarsi fino a quando una soluzione permanente viene negoziato. Per questo accordo funzioni, tuttavia, sarà importante per i paesi in via di sviluppo per dimostrare che i programmi alimentari di stoccaggio pubbliche non vengono abusati ai fini della concorrenza commerciale con altri paesi. Il vertice di Bali ha anche confermato precedentemente redatto decisioni in materia di sviluppo commerciale per i paesi meno sviluppati, tra cui misure relative norme di origine preferenziale, e sull'accesso al mercato dei duty-free e senza contingenti.
Il multilateralismo ancora sotto pressione
L'ultimo accordo prevede una spinta limitata ma tanto necessario per la credibilità del WTO, dopo molti anni in cui i progressi sul Doha round di negoziati commerciali è in fase di stallo. Oltre ai benefici economici di facilitazione degli scambi, l'OMC potrebbe scoprire che il successo dei negoziati a Bali rafforza marginalmente la sua autorità come arbitro in controversie commerciali transfrontaliere. Tuttavia, il multilaterale ideale di libero scambio incarnata dal WTO non è affatto sicura. In primo luogo, l'accordo di Bali lascia la maggior parte delle principali questioni politiche del ciclo di Doha incontaminati, tra cui passaggi chiave per affrontare i servizi e il commercio agricolo, e per ridurre ulteriormente le tariffe o quote sulle merci.
Il round di Doha rimane vulnerabile alla tendenza verso accordi di libero scambio bilaterali e grandi accordi di libero scambio regionali che hanno sempre gareggiato con multilateralismo dell'OMC negli ultimi anni. Soprattutto a causa delle prospettive diminuite del Doha Round, molti paesi si sono rivolti a tali offerte. Accordi proposti comprendono la Trans-Pacific Partnership, un accordo di libero scambio interregionale prevista, che comprende i paesi su entrambi i lati del Pacifico e che ancora potrebbe espandersi oltre il suo attuale adesione del 12 (Stati Uniti, Canada, Cile, Messico, Perù, Australia, Giappone , Singapore, Malaysia, Brunei, Vietnam e Nuova Zelanda). I colloqui hanno anche iniziato un patto commerciale transatlantico bilaterale tra gli Stati Uniti e l'Unione europea, mentre gli Stati Uniti hanno lanciato una iniziativa commerciale ampliata con dieci paesi del Sud-est asiatico. Ci sono stati molti altri esempi di accordi di libero scambio, quasi bilaterali e regionali troppo numerosi da menzionare, negli ultimi dieci anni. Uno dei problemi chiave con il round di Doha è stata la difficoltà di raggiungere un consenso tra tutti i 159 membri dell'OMC, come i negoziati 11 ore a Bali confermate. La tentazione per i governi di negoziare accordi bilaterali e regionali è dunque notevole, in quanto questi richiedono meno complicata (anche se ancora estesa) negoziati.
Questa tendenza ha pro e contro. La liberalizzazione degli scambi non sia completamente in assenza di progressi sul Doha round di negoziati commerciali.Inoltre, la gamma di offerte regionali attualmente sul tavolo, se tutto concluso con successo, avrebbe coperto la maggior parte dell'economia globale. Ciò consentirebbe di aumentare il commercio globale in forma aggregata. Tuttavia, le offerte regionali hanno il potenziale per deviare il commercio di quei paesi non inclusi. Questo ha diversi potenziali colpi di scena politici e distorcono il commercio: per esempio, Taiwan, che è un importante esportatore, ha molto da guadagnare dalla liberalizzazione multilaterale del commercio sotto l'egida dell'OMC, mentre l'affermazione della Cina continentale della sua sovranità sull'isola circoscrive la capacità di Taiwan per suggellare accordi bilaterali con altri paesi. Allo stesso tempo, i paesi meno sviluppati è probabile che non hanno la capacità istituzionale di essere in grado di negoziare e rispettare una moltitudine di differenti regimi commerciali. Ironia della sorte, la proliferazione di accordi di libero scambio bilaterali e regionali negli ultimi due decenni, rischia di favorire la diffusione di una complessa rete di accordi di libero scambio sovrapposti, ciascuno con regole diverse (una "ciotola di spaghetti" di obblighi, come quello accademico ha descritto). Anche se l'accordo di Bali mira a semplificare e snellire il commercio, e per ridurre i costi di conformità imprese ', la tendenza verso la competizione ZLS regionali e bilaterali può raggiungere il contrario.

venerdì 13 dicembre 2013

Una politica militare da far crescere in Europa

Consiglio Europeo sulla Difesa
Ambizioni europeiste sulla politica di sicurezza e di difesa
Maurizio Melani
03/12/2013
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Dal prossimo Consiglio europeo centrato sulla politica di sicurezza e difesa comune (Psdc) si attendono nuovi progressi per rafforzare il ruolo dell'Europa nel mondo. Occorrerà un salto di qualità nella condivisione e messa in comune di risorse, senza limitarsi ad arricchire una scatola di strumenti costruita a suo tempo per la gestione di crisi che, soprattutto nei Balcani, avevano dimostrato tra gli anni ‘90 e l'inizio del nuovo secolo quanto fosse necessario un impegno comune dell'Ue.

Limiti nella volontà politica e condizionamenti ricollegabili anche al contesto transatlantico dell'epoca ne avevano però circoscritta la portata e frenate le ambizioni.

Attivismo
Tuttavia, vi è oggi una diffusa aspettativa, in Europa e nel mondo, di un ruolo più attivo dell'Ue nella sicurezza globale, soprattutto riguardo a quelle crisi nel suo vicinato che richiedono adeguate capacità in un contesto di nuovi equilibri geopolitici e di restrizioni finanziarie.

Dopo che il trattato di Maastricht aveva posto la Pesc quale pilastro intergovernativo di un’aggiornata architettura istituzionale, il processo fu stimolato dalle crisi balcaniche essendo state proprio le divisioni nell’Unione, le iniziali riluttanze americane e l'incapacità di impedire tragedie umanitarie ad indurre gli europei a fare di più.

Il trattato di Amsterdam incorporava successivamente nella Pesc i compiti di gestione militare delle crisi e creava la funzione di Alto rappresentante. Prima della ratifica del trattato, la dichiarazione franco-britannica di Saint Malo registrava nel 1998 l'intesa sulla costituzione di credibili capacità europee su cui prese forma la dimensione di sicurezza e di difesa dell'Unione poi sancita nel trattato di Nizza.

Vicinato stabile
Vennero costituiti appositi organi permanenti, definite procedure e stabiliti obiettivi di capacità militari e civili. Alla luce soprattutto dell'esperienza balcanica era infatti maturato il concetto, tipico dell'azione europea, di un approccio olistico e interdisciplinare alla gestione delle crisi, comprendente aspetti militari e di polizia, la ricostruzione delle istituzioni e della governance economica, il sostegno alla società civile e al settore privato.

È su tale base e nella consapevolezza del ruolo centrale da assumere nei Balcani che dal 2002-2003 sono state avviate operazioni prima di polizia e poi militari in Bosnia, in Macedonia e più recentemente in Kosovo, assieme ad iniziative in Africa, soprattutto nella regione dei Grandi Laghi e poi nel Corno e nel Sahel.

La Strategia di sicurezza europea adottata durante la presidenza italiana ne ha fornito il quadro concettuale, sottolineando la rilevanza della stabilità nel vicinato e della edificazione istituzionale per contrastare le maggiori minacce alla sicurezza dell'Ue nel post 11 settembre.

Ai successi nei Balcani hanno certamente contribuito le prospettive di adesione all'Unione dopo riforme sostenute da consistenti sostegni finanziari e verifiche rispetto a specifici parametri. Questo schema non è ovviamente trasferibile ad altre situazioni di crisi, ma lo è la sua componente del sostegno alla ricostruzione istituzionale, economica e della sicurezza.

Sforzi maggiori
Le crisi sviluppatesi nel Mediterraneo dal 2011 esigono di nuovo una gestione europea con riadeguate capacità comuni. Occorrerà fare di più, ma con meno risorse finanziarie, spinti anche da un nuovo atteggiamento americano meno caratterizzato da cautele, diffidenze e sospetti che le divisioni sull’Iraq e sulle proposte francesi di quartier generale militare autonomo dell'Ue avevano poi amplificato.

Su tale nuovo atteggiamento incidono ora le difficoltà di schieramento su troppi teatri, la riduzione degli stanziamenti per la difesa nell'ambito di una riconfigurazione delle priorità, una maggiore attenzione all'Asia orientale e la minore dipendenza dagli idrocarburi mediorientali dovuta allo shale gas. È quindi richiesto agli europei un maggiore impegno soprattutto nel Mediterraneo e in Africa.

Su grandi partite diplomatiche come le gestioni tra loro collegate della crisi siriana, dell’Iran e della questione israelo-palestinese si misurerà la capacità di realizzare una politica comune con tutti gli strumenti disponibili. La volontà in questo senso si vedrà anche dalle prossime scelte per la nomina al posto chiave di Alto rappresentante per gli affari esteri.

Più efficienza
Sarebbe auspicabile che tutti gli stati membri, in particolare quelli che hanno più da offrire, partecipino al processo di integrazione e sviluppo delle capacità e della loro base industriale e tecnologica. Se questo si rivelasse impossibile le cooperazioni strutturate offerte dal trattato di Lisbona, o nuovi strumenti, potrebbero comunque consentire a chi vuole di andare avanti.

Che dal prossimo Consiglio europeo escano risultati concreti è ritenuto da molti difficile. Il nuovo governo tedesco sarà nella migliore delle ipotesi appena formato, le elezioni britanniche non saranno lontane e l'onda crescente di euroscetticismo non favorirà coraggiose scelte strategiche verso l'integrazione.

Si tratta però di un obiettivo che va comunque perseguito e occorrerà che le forze politiche europeiste si impegnino a spiegare adeguatamente, anche in vista delle prossime elezioni europee, che più integrazione significa comunque più efficienza, minori costi e maggiore salvaguardia degli interessi collettivi.

Maurizio Melani è Ambasciatore d’Italia.
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giovedì 5 dicembre 2013

Balcani: verso una normalizzazione

Municipali in Kosovo
La Serbia mira a Bruxelles, non scordandosi di Priština
Andrea Cellino
26/11/2013
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Mentre a Belgrado si celebravano funerali di stato per Jovanka Broz, vedova dello storico leader jugoslavo Tito, il governo serbo era concentrato sulla preparazione delle elezioni municipali in Kosovo tenutesi una settimana dopo, il 3 novembre.

L’accostamento dei due eventi sintetizza, in modo semplicistico, la situazione della Serbia di oggi: in equilibrio tra passato e futuro. L’ultima icona della Jugoslavia se ne va proprio alla vigilia di un voto decisivo per le aspirazioni europee di questo paese balcanico, al centro dei conflitti degli anni ’90, ora fondamentale per la strategia di stabilizzazione regionale di Bruxelles.

In realtà, la svolta pro-europea era già avvenuta da qualche tempo a Belgrado. E il voto dei serbi, che sono maggioranza nel Kosovo settentrionale, è uno dei frutti di quella svolta che ha prodotto l’accordo con il governo kosovaro dell’aprile scorso, garantendo una forma di autonomia locale ai serbi del Kosovo, ma preservando la sovranità di Priština.

Due porte
Nel 2012, la sconfitta alle elezioni politiche del Partito democratico di Boris Tadić, fortemente pro-Ue, a favore di una coalizione di partiti guidati da ex-nazionalisti come il neo-presidente Tomislav Nikolić, aveva inizialmente allarmato alcune cancellerie europee. Della nuova leadership non convincevano, a parte alcune dichiarazioni goffamente nazionaliste, le intenzioni di mantenere “equidistanza” tra Bruxelles a Mosca.

Nikolić tratteggiò in parlamento l’immagine di una casa con due porte, una verso ovest e l’Unione europea, un’altra verso est e la Russia. Tali propositi non hanno retto alla prova dei fatti: a parte utili investimenti in settori chiave delle infrastrutture e dell’industria, la Russia non appare determinante nel generare i cambiamenti di cui la Serbia ha bisogno.

Come ha indicato più recentemente il primo ministro Ivica Dačić, le aspirazioni del governo sono di avere “la Serbia in Europa, e l’Europa - valori, regole e strutture - in ogni singolo villaggio serbo”.

Tali aspirazioni sono ben impersonate dal popolarissimo vice premier Aleksandar Vučić che, mentre Dačić si concentrava sulla politica estera e sull’accordo con Priština, ha preso le redini della politica interna ed economica. Leader del Partito progressista che detiene la maggioranza relativa in parlamento, Vučić ha lanciato una campagna contro la corruzione, una delle cause dell’impopolarità dell’ex-presidente Tadić, giudicato debole nel combatterla. Risultato: decine di politici e uomini d’affari arrestati.

Anche se confortata dal supporto popolare, tale politica è fortemente criticata dall’opposizione, soprattutto dal Partito democratico, ora guidato da Dragan Dijlas, ex-sindaco di Belgrado che vede presi nella rete molti suoi esponenti e ritiene gli arresti politicamente motivati.

Carta bianca
Vucic ha guadagnato credito sufficiente per avere carta bianca sulle riforme economiche che richiederanno impopolari misure di austerità. In Serbia un altissimo livello di disoccupazione si combina a elevato debito pubblico e debole crescita, intorno al 2% quest’anno, dopo un 2012 con segno negativo.

Oltre a iniziative mediatiche, come la designazione del controverso ex-direttore del Fondo monetario internazionale Domenique Strauss-Kahn come consigliere economico, Vučić ha nominato due tecnocrati di sua fiducia ai dicasteri economico-finanziari e trovato investitori stranieri. Dopo Ue e Russia, gli Emirati Arabi figurano tra i partner privilegiati, con investimenti in trasporti aerei, agricoltura e turismo.

Ruolo italiano
Tra i partner europei, l’Italia ha fatto la sua parte. Per rinforzare gli investimenti della Fiat nella produzione di auto, ma non solo, il ministro Bonino e il suo omologo serbo firmato hanno in ottobre un accordo sul regolamento del traffico di merci e viaggiatori. Inoltre, Roma sostiene politicamente le ambizioni europee di Belgrado, in particolare fornendo expertise nella lotta a corruzione e criminalità organizzata.

Con un’altra mossa mediatica, il governo serbo si è assicurato la consulenza dell’ex-ministro ed ex-vice presidente della Commissione europea Franco Frattini. La strategia brussellese continua e l’obiettivo è chiaro. Dopo aver ottenuto quest’anno lo status di paese candidato, la Serbia punta sull’apertura dei negoziati entro gennaio 2014 e molti parlano di adesione all’Unione entro il decennio.

Per un rigurgito del passato, tuttavia, lo scrutinio del 3 novembre nel nord del Kosovo stava per trasformarsi in una clamorosa sconfitta per Belgrado, poiché la corretta tenuta di tali elezioni locali e la partecipazione della comunità serba erano necessarie per l’apertura dei negoziati.

Estremisti serbi hanno sferrato attacchi violenti, costringendo alla chiusura anticipata tre seggi nel comune di Mitrovica nord, invalidando il risultato elettorale e rischiando di ritardare le ambizioni del governo. La ripetizione del voto, il 17 novembre, si è invece svolta correttamente, grazie alla presenza delle truppe Nato, oltre agli osservatori dell’Osce.

Due candidati serbi sono in testa a Mitrovica nord. Il primo dicembre si svolgeranno i ballottaggi in tutti i comuni del Kosovo. Nonostante le pressioni di Belgrado, meno del 25% dei serbi del nord Kosovo si è presentato alle urne: segno che l’accordo Belgrado-Priština necessiterà ancora di attenzione.

Andrea Cellino è Direttore del Dipartimento politico e di pianificazione presso la Missione Osce in Bosnia Erzegovina. Le opinioni qui espresse sono sue personali.
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sabato 30 novembre 2013

Rassegna delle Notizie. 20 anni di Limes. Link

Da Nicolo Locatelli:

questa settimana la rubrica è in versione "rassegna", con link per approfondire le notizie più importanti.



Ne approfitto per invitarvi tutti alla festa per i 20 anni [non miei, purtroppo, ma...] di Limes a Genova, dal 13 al 15 dicembre.

Tre giorni di dibattiti, incontri pubblici e mostre d'arte. Io modererò una tavola rotonda sull'America Latina.

Qui il programma completo:


Graditi come sempre commenti, critiche e condivisioni
Grazie dell'attenzione, buon fine settimana
Niccolò

giovedì 28 novembre 2013

Master di II Livello di Geopolitica e Sicurezza Globale Scadenza 17 dicembre 2013


 con la presente abbiamo il piacere d'informarvi che, a partire dall'edizione 2014, l'IsAG sarà co-organizzatore del Master in Geopolitica e Sicurezza Globale dell'Università Sapienza di Roma, in partnership con CeSI e altri istituti. Le lezioni anche il prossimo anno si svolgeranno da gennaio a dicembre presso il Palazzo Marina, sede della Marina Militare.

Il Master, di II livello, grazie al suo approccio multidisciplinare alle questioni internazionali si rivolge a una pluralità di categorie: a laureati magistrali (o V.O.) di Scienze umane e dell'ambiente, di Lettere o di Giurisprudenza, a professionisti di tutti i settori in cui la realtà estera è rilevante, a dipendenti della P.A., delle FF.AA. e delle rappresentanze diplomatiche e consolari. Direttore del Master è il professor Gianfranco Lizza, che presiede un consiglio d'accademici che include anche il presidente dell'IsAG Tiberio Graziani.

I moduli didattici del Master coniugano gli inquadramenti generali con quelli specifici dell’analisi strategica e delle politiche di sicurezza. I partecipanti potranno acquisire i necessari approfondimenti culturali per accedere ai concorsi pubblici e alle aziende di settore al fine di migliorare il loro profilo professionale.

Il programma didattico del Master si articola in 18 moduli, per un totale di 60 cfu, per oltre 200 ore di lezioni frontali tenute da importanti accademici, professionisti del settore, diplomatici e militari. I moduli spaziano dallo storico-geopolitico al diritto internazionale, dalla finanza alle risorse energetiche, dalla difesa alla criminalità organizzata, affrontando poi l'analisi di singoli scenari geografici.

Ai frequentanti del Master sarà offerta la possibilità di inserirsi e confrontarsi col mondo del lavoro tramite stage presso centri di ricerca internazionalistici, studi legali specializzati nell'internazionalizzazione d'impresa, rappresentanze diplomatiche e aziende.

Nel sito ufficiale del Master (clicca qui per raggiungerlo) è possibile consultare gli elenchi integrali dei docenti e delle lezioni, delle opportunità di stage già attivate, e trovare le istruzioni dettagliate su come effettuare l'iscrizione. Il costo di iscrizione è pari a € 2500 e il Master dura 12 mesi.
 La scadenza per le iscrizioni è prevista al 17 dicembre prossimo.

martedì 26 novembre 2013

Terrorismo: le Brigate Abdullah Azzan in azione a Beirut

Libano
Libano 129
Un duplice attentato terroristico a Beirut, nei pressi dell’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran in Libano, ha causato la morte di 23 persone, tra le quali l’addetto culturale della sede diplomatica, e ferito decine di passanti. La dinamica dell’attacco ha fatto subito pensare a un’azione da parte di un gruppo qaedista: a una prima esplosione, provocata da un attentatore suicida, è seguita, con il sopraggiungere dei primi soccorsi, una seconda deflagrazione causata da un’autobomba. A provocare la maggior parte delle vittime sarebbe stata proprio quest’ultima esplosione.
L’attentato è avvenuto nel quartiere a maggioranza sciita di Bir Hassan, roccaforte di Hezbollah, ed è stato rivendicato, alcune ore dopo, dalle Brigate Abdullah Azzam, gruppo jihadista attivo in diversi Paesi della regione e legato a doppio filo ad al-Qaeda. Nel testo della rivendicazione, il gruppo ha minacciato nuovi attacchi se l’Iran e Hezbollah continueranno ad appoggiare il Presidente siriano Bashar al-Assad. Il conflitto in Siria rischia di ripercuotersi su altri Paesi della regione quanto più si caratterizza sempre più come uno scontro di matrice settaria, nell’ambito del quale l’asse sciita Teheran-Damasco-Hezbollah si trova contrapposto alle forze di opposizione sunnita, tra le quali un ruolo di crescente incisività è ricoperto da gruppi legati ad al-Qaeda.
Dopo l’attentato, il Partito di Dio libanese ha comunque fatto sapere che non rinuncerà al proprio impegno a sostegno del regime di Assad. Di fatto, tale posizione rischia di esasperare ancora di più le tensioni in un Paese, il Libano, già caratterizzato da equilibri etno-religiosi assai fragili.

lunedì 25 novembre 2013

Nonisma: Dalla crisi al cambiamento


 
di
Giuseppe Cucchi.
sintesi
 Gli shoks che si susseguono dai tempi del crollo del Muro di Berlino non possono essere più spiegati ricorrendo al concetto di crisi. Siamo invece vivendo un cambiamento complesso, i cui approdi non sono ancora noti. Gli Stati Uniti hanno cercato di dividere con le Nazioni Unite i costi di esercizio della leaderschip planetaria, ma il successo riportato in Iraq nel 1991 si è rilevato di corta durata. Hanno quindi scommesso sulla Cina per poi prendere atto che le ambizioni e le dimensioni della Repubblica Popolare non erano compatibili con la subordinazione di Pechino ai disegni di Waschington. Dopo aver cercato di diluire il G” nel G20 ora gli Stati Uniti si volgono nuovamente all’Europa. L’UE può adesso accettare passivamente la strategia oboniana, che ne prevede la soggezione agli interessi americani, oppure tentare di dividere uno degli attore-chiave del sistema internazionale, trasformandola in un gigante geopolitico: operazione che richiederebbe tuttavia una maggior e integrazione interna e lo stabilimento di rapporti privilegiati con la Russia e la Turchia. Per riuscire in questa impresa, all’Europa occorrerebbero soprattutto dei leader veri, che non si vedono all’orizzonte.

Nomos & Khaos. Rapporto Nonisma 2012-2013 sulle prospettive economico-strategiche. Osservatorio Scenari Strategici e di Sicurezza. (approfondimenti ed info:www. Nonimasma.it)
 

sabato 23 novembre 2013

Gran Bretagna: verso una secessione della Scozia?

Devolution in Gran Bretagna
Scozia, verso il referendum per tagliare la corda
David Ellwood
12/11/2013
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Il confronto definitivo sullo status costituzionale della Scozia all’interno del Regno Unito sarebbe stata solo una questione di tempo. Questo almeno quello che si pensava quando, dopo una pausa di quasi trecento anni, nel 1999 è stato riaperto il Parlamento di Edimburgo. Il trionfo del Partito nazionale scozzese (Scottish national party, Snp) - che alle elezioni del 2011, per la prima volta, conquistò inaspettatamente una posizione di maggioranza assoluta a Edimburgo - ha aperto la strada al referendum sull’indipendenza lungamente promesso da quel partito.

Da allora, il dibattito tra i sostenitori del Snp e quelli - laburisti, liberali e conservatori - determinati a mantenere lo status quo è stato sempre più fervido. Ogni settimana qualche personaggio pubblico interviene per alzare la temperatura della battaglia.

Petrolio
Tre pesanti fattori hanno prodotto nel tempo la situazione attuale. Come tutte le nazioni occidentali, la Gran Bretagna è entrata in una sofferta crisi d’identità con l’avvento della globalizzazione e la fine della Guerra fredda. Nel caso britannico, ciò ha coinvolto l’eredità di Margaret Thatcher e la sempre più marcata finanziarizzazione dell’economia nazionale, ma ha anche messo in crisi il senso di appartenenza culturale dei vari componenti dell’Unione: nord-irlandesi, gallesi e poi scozzesi.

Il ruolo del petrolio del nord - tutto in acque scozzesi - nel sostenere le fragili finanze nazionali ha provocato un particolare senso di frustrazione. La Gran Bretagna, dicono i nazionalisti, è insieme all’Iraq, l’unica nazione produttrice di petrolio al mondo che non ha costituito un fondo permanente di risparmio da questi introiti per garantire la propria stabilità e un futuro di rinnovamento.

Laburisti in crisi
Il secondo fattore che spinge le fortune dei nazionalisti è il tramonto in Scozia dei partiti che hanno tradizionalmente dominato la scena nazionale a Westminster. I conservatori scozzesi non si sono mai ripresi dall’epoca della Lady di ferro, universalmente detestata al nord del Vallo di Adriano. Dalle elezioni generali del 2001 in poi, il partito ha un solo deputato scozzese a Londra, ma l’epoca di Tony Blair e di Gordon Brown non ha favorito nemmeno i laburisti.

Il laburismo ha per decenni egemonizzato la Scozia, forte del suo controllo permanente di Glasgow e di altre città delle vecchie zone industriali. Senza il voto laburista scozzese il partito non potrebbe mai raggiungere una maggioranza a Londra. Ma come sempre, una tale permanenza al potere produce inevitabilmente introversione, cinismo e corruzione, e le ondate innovative di Blair sembrano aver toccato ben poco il laburismo scozzese, protetto anche dallo scozzessismo di Gordon Brown.

Le squallide vicende degli ultimi mesi ruotando attorno a scambi di voti, oscuri manovre da parte del sindacato per favorire questo o quell’altro candidato parlamentare, e la quasi distruzione di un grande impianto petrolchimico a Grangemouth, vicino ad Edimburgo per via di una manovra sindacale andata malissimo. Tutto ciò non ha fatto altro che migliorare le chance dei nazionalisti.

Social democratico scandinavo
Terzo fattore a spingere l’affermazione recente del Snp è il successo personale del suo leader, Alex Salmond, riconosciuto generalmente come il personaggio politico più abile dell’intera nazione britannica. Di formazione economista, Salmond ha conosciuto tutte le fasi, anche quelle più marginali, dell’avventura del partito e l’ha trasformato in un partito nazionale e non nazionalista.

Salmond ha voluto dare al suo partito un’identità politica di tipo social-democratico in senso scandinavo e un progetto economico che guarda verso l’Irlanda pre-crisi. Ha una serie di obiettivi in campo sociale che possano produrre un’idea scozzese di benessere civico radicalmente diverso dal fondamentalismo liberista dominante - si presume - a Londra.

Intanto il governo di Londra fa di tutto per bloccare il progetto di Salmond, sottolineando diverse difficoltà: separare le monete e il debito nazionale; mantenere due politiche della difesa - una nucleare, l’altra no - in una sola isola; costruire rapporti diversificati con l’Unione europea; mantenere un welfare state minimamente coeso. In questi giorni, ha stravolto la cantieristica navale britannica, decimandola, ma facendo capire che quella che rimane in Scozia vivrà solo se quella nazione rimane dentro il Regno Unito. I laburisti hanno applaudito.

Referendum
Il 26 novembre, il partito di Salmond produrrà la sua dichiarazione programmatica sul futuro della Scozia. Nonostante lo straordinario senso di fiducia dimostrato dal recente congresso nazionale, il partito nazionale scozzese non può illudersi. In vista del referendum sull’indipendenza della Scozia previsto per il prossimo settembre, i sondaggi non hanno mai registrato una quota di favorevoli superiore al 36%. Molto dipenderà anche dalla formulazione del quesito.

Se il fronte del sì incassasse un buon risultato, anche se non vincente, Londra sarebbe costretta a fare altre concessioni lunga la strada della devolution. Altrimenti Salmond e suoi saranno umiliati: anche in questo settore la storia dimostra che un governo ipercentralizzato come quello di Londra non prende prigionieri.

David Ellwood è Senior Adjunct Professor, Johns Hopkins University, SAIS Europe, Bologna.
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venerdì 22 novembre 2013

La Shanghai Cooperation Organization:

  Organizzazione regionale di potenze globali.

A partire dal 1986 era stata avviata un’iniziativa di soluzione delle dispute di confine (conosciuta come l’iniziativa di Vladivostok, sostenuta da Gorbaciov). I negoziati proseguirono tra il 1991 e il 1994 tanto che si ebbe, il 26 aprile 1996, l’Accordo di Shanghai “sul rafforzamento delle misure di fiducia reciproca nelle aree di confine” (cd. Forum “Shanghai Five” con Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan). Il 24 aprile 1997 a Mosca si siglò un altro accordo “sulla riduzione reciproca delle forze militari nelle aree di confine”.
Successivamente, infine, si tennero i Vertici di Almaty e di Bishkek (3 luglio 1998 e 24-25 agosto 1999).

1. Lo sviluppo.

Nel 2001 il Forum diventa Organizzazione, con l’adesione dell’Uzbekistan, quale membro a pieno titolo.
Gli scopi perseguiti della neonata Organizzazione sono i seguenti:
·         promuovere la cooperazione attraverso i rapporti di buon vicinato e di collaborazione nei settori della vita sociale;
·         risolvere i contenziosi sorti lungo i 3.645 km di confine sino-russo e quelli con i Paesi dell’Asia Centrale ex sovietici;
·         combattere i “tre mali”: terrorismo, estremismo religioso e separatismo nella regione;
·         concorrere a costruire un nuovo ordine internazionale fondato sul multipolarismo in una concezione multipolare delle relazioni internazionali.
Lo spirito di Shangai è un insieme di fiducia reciproca, relazioni di buon vicinato con il desiderio di mettere in comune il meglio di ciascun Paese a favore di tutti gli altri.
Tutti i membri si impegnano reciprocamente a combattere qualsiasi forma di eversione dell’ordine statale e regionale in vista del mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità regionale che possa assicurare l’indipendenza reciproca, la sovranità territoriale, la non interferenza negli affari interni degli Stati membri, attraverso il rifiuto della minaccia o dell’uso della violenza.

2. Il Consolidamento.

Nel 2002, per volontà del presidente russo Putin, si forma il Gruppo di Contatto con l’Afghanistan, al fine di prendere in considerazione la realtà socio-politica afgana (che però non è mai decollato del tutto per la difficoltà di gestire  i rapporti con le Istituzione afgane).
Successivamente, la decisione di far partecipare India, Iran, Pakistan, Mongolia come osservatori permanenti, fornisce un nuovo impulso geopolitico al continente eurasiatico in forte ascesa economica e militare.
L’Organizzazione è andata progressivamente rafforzandosi in vari settori (lotta al terrorismo, sviluppo economico, sfruttamento delle risorse energetiche, ecc.) sino alla costituzione, nel 2004, di due strutture permanenti: una politica, con sede a Pechino, con al vertice il Segretario Generale ed una di sicurezza, con sede a Tashkent (capitale dell’Uzbekistan), rivolta al coordinamento delle iniziative di contrasto alle attività terroristiche ed al narco-business in Asia Centrale (la Struttura Regionale Anti-Terrorismo - RATS).
Nel 2005 con il Vertice di Astana le istituzioni si consolidano e i rapporti commerciali si intensificano. Durante tale vertice si chiede, inoltre, il ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan.
Cresce anche la cooperazione con altre organizzazioni regionali (ASEAN, EUSASEC e INTERPOL) nonché con l’UE e le Nazioni Unite.
Nel vertice di Shangai del 2006 si festeggiano i 5 anni dell’Organizzazione e si redige il bilancio dell’attività svolta, nonché si affrontano problematiche attinenti le prospettive future.

Gli osservatori partecipano ai vertici ed hanno un dialogo privilegiato con tutti i membri. Alcuni hanno anche chiesto di diventare membri a pieno titolo (Pakistan ed Iran).
I membri si definiscono tutti uguali ma chiaramente la presenza della Russia e della Cina mette questi due Paesi in una situazione di preminenza, tanto che l’Organizzazione è stata definita a composizione: 1+1+4 ovvero 2+4.
L’Organizzazione è composta da Paesi che ricoprono uno spazio di 32 milioni di Kmq corrispondenti ai 3/5 dell’area euroasiatica. Se si considerano le potenzialità del Club di Shanghai, esso raggruppa la metà della popolazione mondiale e dispone della metà delle riserve di gas e di petrolio del pianeta, e contestualmente unisce i Paesi più ricchi di risorse (come Russia, Iran, Kazakistan) ai Paesi in forte ascesa economica ma privi di risorse (Cina, India).
Nel febbraio del 2007 si sono riuniti a Tashkent (Uzbekistan), i rappresentati dei Paesi membri e i dirigenti di società energetiche per discutere i termini della realizzazione di un “Club dell’Energia” all’interno della Shanghai Cooperation Organization.
L’Organizzazione è orientata al consolidamento delle proprie strutture e sembra non avere intenzione di aggregare nuovi membri (in particolare l’Iran che è il membro che modificherebbe la natura e l’assetto dell’Organizzazione).
Nel 2008 si è tenuto il Vertice di Dushanbe (28 agosto 2008). L’Agenda è stata focalizzata sulla crisi in atto nel Caucaso. Nella dichiarazione finale del vertice sono stati sanciti diversi richiami alla “diplomazia preventiva” e pochi riferimenti alla crisi in argomento. Inoltre, sono stati sottolineate specifiche linee programmatiche circa il razionale utilizzo di acque e risorse energetiche a vantaggio di tutti i membri. L’Organizzazione, inoltre, si è dotata di un regolamento sullo status di “partner dialogue”. Per ciò che attiene alla crisi caucasica la dichiarazione finale richiama il ruolo pacificatore della Russia nell’area ed i membri, piuttosto che entrare nel merito della questione georgiana, hanno attaccato la conduzione della vicenda afgana, chiedendo l’intervento del Consiglio di Sicurezza per una nuova definizione del ruolo della missione in Afghanistan. L’Organizzazione rivolge la sua attenzione anche al campo militare. Annualmente vengono effettuate alcune esercitazioni congiunte. Le prime si sono tenute nel 2002 con la partecipazione di Cina e Kyrghizstan.  Alle attività esercitative prendono parte sempre più Paesi. Lo scenario delle operazioni è quello della simulazione di un attacco terroristico su vasta scala al quale tutti i Paesi reagiscono congiuntamente. L’esercitazione del 2005 è consistita in un’operazione militare navale. L’attività è sembrata una  sorta di dimostrazione di forza delle capacità che l’Organizzazione è in grado di esprimere anche in mare (la maggior parte dei Paesi della SCO, infatti, non hanno sbocco al mare).  Quest’anno l’esercitazione si è, invece, svolta presso un’azienda energetica di Volgograd (i Paesi membri hanno voluto mettere alla prova le proprie capacità nella protezione di una struttura energetica).

3. Considerazioni finali.


La Shanghai Cooperation Organization ha costituito negli ultimi anni un importante strumento con cui la Russia e la Cina, che sono i principali attori dell'Organizzazione,  hanno inteso affrontare i complessi equilibri geopolitici nell'area dell'Estremo Oriente e che ha prodotto il risultato di migliorare i rapporti tra le due potenze. Infatti nell'ambito dell'Organizzazione si sono sviluppate attività di cooperazione nella difesa comune (che hanno portato allo svolgimento di regolari esercitazioni militari in Asia e nel Mar della Cina) unitamente ad accordi di programmazione economica. Il messaggio per le potenze occidentali e gli USA, a parere degli osservatori, e' risultato essere che, seppure non sempre d'accordo, Mosca e Pechino sono disposte a garantirsi reciproco supporto difensivo ed economico per preservare, da interferenze esterne, il prezioso scacchiere geopolitico asiatico. Per alcuni analisti, l’Organizzazione è stata presto definita il nuovo “Patto di Varsavia” o la “NATO dell’Est” tesa a contenere l’unipolarismo della superpotenza statunitense. Gli USA avevano sempre guardato all'area come ad uno spazio nel quale non avrebbero dovuto avere posto ne' Cina ne' Russia ne' , a maggior ragione, l’Iran. In tale ottica avevano incrementato la loro presenza in Asia Centrale sottovalutando inizialmente il ruolo dell’Organizzazione. Nel momento in cui la SCO ha iniziato ad attrarre, anche solo a mero titolo di osservatori, India ed Iran, l'atteggiamento degli USA nei suoi confronti e' mutato. Infatti, è parso del tutto evidente il crescente ruolo in chiave di contrasto alla penetrazione USA nell'area, svolto dall’Organizzazione. Risulta, infine, chiaro che la Shanghai Cooperation Organization  sta assumendo sempre maggior peso nel contesto delle relazioni internazionali. Al contempo, la costituzione in seno alla SCO della cd. “Dialogue Partner”, potrebbe divenire un nuovo forum di dialogo all’interno dell’Organizzazione, in cui, per la prima volta, potrebbero partecipare anche gli USA e l’Unione Europea e/o la NATO, facendo così allontanare l’allarmante ipotesi di una SCO come blocco militare in contrapposizione all’Occidente.




martedì 12 novembre 2013

La Libertà nel mondo Sintesi per Stato

SU 193 STATI NEL MONDO 
Free
90 countries
(46%)
                                Partly Free
                                58 countries
                                (30%)
                                                           Not Free
                                                           47 countries
                                                           (24%)


La Libertà nel Mondo.2013. Parametrazione

FREEDOM IN THE WORLD 2013: DEMOCRATIC BREAKTHROUGHS IN THE BALANCE

PR and CL stand for political rights and civil liberties, respectively; 1 represents the most free
and 7 the least free rating.

▲ ▼ up or down indicates an improvement or decline in ratings or status since the last survey.

  up or down indicates a trend of positive or negative changes that took place but were not
sufficient to result in a change in political rights or civil liberties ratings.

* indicates a country’s status as an electoral democracy.

NOTE: The ratings reflect global events from January 1, 2012, through December 31, 2012.



Independent Countries

Country Freedom Status PR CL Trend Arrow 
Afghanistan Not Free 6 6 
Albania* Partly Free 3 3 
Algeria Not Free 6 5 
Andorra* Free 1 1 
Angola Not Free 6 5 
Antigua and Barbuda* Free 2 ▲ 2 
Argentina* Free 2 2 
Armenia Partly Free 5 ▲ 4 
Australia* Free 1 1 
Austria* Free 1 1 
Azerbaijan Not Free 6 5 
Bahamas* Free 1 1 
Bahrain Not Free 6 6 
Bangladesh* Partly Free 3 4 
Barbados* Free 1 1 
Belarus Not Free 7 6 
Belgium* Free 1 1 
Belize* Free 1 2 
Benin* Free 2 2 
Bhutan* Partly Free 4 5  
Bolivia* Partly Free 3 3 
Bosnia and Herzegovina* Partly Free 3 ▲ 3 
Botswana* Free 3 2 
Brazil* Free 2 2 
Brunei Not Free 6 5 
Bulgaria* Free 2 2 
Burkina Faso Partly Free 5 3 
Burma Not Free 6 ▲ 5 ▲ 
Burundi Partly Free 5 5 
Cambodia Not Free 6 5 
Cameroon Not Free 6 6 
Canada* Free 1 1 
Cape Verde* Free 1 1 
Central African Republic Partly Free 5 5  
Chad Not Free 7 6 
Chile* Free 1 1 
China Not Free 7 6 
Colombia* Partly Free 3 4 
Comoros* Partly Free 3 4 
Congo (Brazzaville) Not Free 6 5 
Congo (Kinshasa) Not Free 6 6 
Costa Rica* Free 1 1 
Côte d’Ivoire Partly Free ▲ 5 ▲ 5 ▲ 
Croatia* Free 1 2 
Cuba Not Free 7 6 
Cyprus* Free 1 1 
Czech Republic* Free 1 1 
Denmark* Free 1 1 
Djibouti Not Free 6 5 
Dominica* Free 1 1 
Dominican Republic* Free 2 2 
East Timor* Partly Free 3 4 
Ecuador* Partly Free 3 3  
Egypt Partly Free ▲ 5 ▲ 5 
El Salvador* Free 2 3 
Equatorial Guinea Not Free 7 7 
Eritrea Not Free 7 7 
Estonia* Free 1 1 
Ethiopia Not Free 6 6 
Fiji Partly Free 6 4 
Finland* Free 1 1 
France* Free 1 1 
Gabon Not Free 6 5 
The Gambia Not Free 6 6 ▼ 
Georgia* Partly Free 3 ▲ 3 
Germany* Free 1 1 
Ghana* Free 1 2 
Greece* Free 2 2  
Grenada* Free 1 2 
Guatemala* Partly Free 3 4 
Guinea Partly Free 5 5  
Guinea-Bissau Not Free ▼ 6 ▼ 5 ▼ 
Guyana* Free 2 3 
Haiti Partly Free 4 5 
Honduras Partly Free 4 4 
Hungary* Free 1 2 
Iceland* Free 1 1 
India* Free 2 3 
Indonesia* Free 2 3 
Iran Not Free 6 6 
Iraq Not Free 6 ▼ 6 
Ireland* Free 1 1 
Israel* Free 1 2 
Italy* Free 2 ▼ 1 
Jamaica* Free 2 3 
Japan* Free 1 2 
Jordan Not Free 6 5  
Kazakhstan Not Free 6 5  
Kenya Partly Free 4 4 ▼ 
Kiribati* Free 1 1 
Kosovo Partly Free 5 4 
Kuwait Partly Free 5 ▼ 5 
Kyrgyzstan Partly Free 5 5 
Laos Not Free 7 6 
Latvia* Free 2 2 
Lebanon Partly Free 5 4  
Lesotho* Free ▲ 2 ▲ 3 
Liberia* Partly Free 3 4 
Libya* Partly Free ▲ 4 ▲ 5 ▲ 
Liechtenstein* Free 1 1 
Lithuania* Free 1 1 
Luxembourg* Free 1 1 
Macedonia* Partly Free 3 3 
Madagascar Partly Free 6 4  
Malawi* Partly Free 3 4  
Malaysia Partly Free 4 4 
Maldives Partly Free 5 ▼ 4 
Mali Not Free ▼ 7 ▼ 5 ▼ 
Malta* Free 1 1 
Marshall Islands* Free 1 1 
Mauritania Not Free 6 5 
Mauritius* Free 1 2 
Mexico* Partly Free 3 3 
Micronesia* Free 1 1 
Moldova* Partly Free 3 3 
Monaco* Free 2 1 
Mongolia* Free 1 ▲ 2 
Montenegro* Free 3 2 
Morocco Partly Free 5 4 
Mozambique Partly Free 4 3 
Namibia* Free 2 2 
Nauru* Free 1 1 
Nepal Partly Free 4 4 
Netherlands* Free 1 1 
New Zealand* Free 1 1
Nicaragua Partly Free 5 4 
Niger* Partly Free 3 4 
Nigeria Partly Free 4 4  
North Korea Not Free 7 7 
Norway* Free 1 1 
Oman Not Free 6 5  
Pakistan Partly Free 4 5 
Palau* Free 1 1 
Panama* Free 1 2 
Papua New Guinea* Partly Free 4 3 
Paraguay* Partly Free 3 3  
Peru* Free 2 3 
Philippines* Partly Free 3 3 
Poland* Free 1 1 
Portugal* Free 1 1 
Qatar Not Free 6 5 
Romania* Free 2 2 
Russia Not Free 6 5  
Rwanda Not Free 6 6 ▼ 
Saint Kitts and Nevis* Free 1 1 
Saint Lucia* Free 1 1 
Saint Vincent and Grenadines* Free 1 1 
Samoa* Free 2 2 
San Marino* Free 1 1 
São Tomé and Príncipe* Free 2 2 
Saudi Arabia Not Free 7 7 
Senegal* Free ▲ 2 ▲ 3 
Serbia* Free 2 2 
Seychelles* Partly Free 3 3 
Sierra Leone* Free ▲ 2 ▲ 3 
Singapore Partly Free 4 4 
Slovakia* Free 1 1 
Slovenia* Free 1 1 
Solomon Islands Partly Free 4 3 
Somalia Not Free 7 7 
South Africa* Free 2 2 
South Korea* Free 1 2 
South Sudan Not Free 6 5 
Spain* Free 1 1 
Sri Lanka Partly Free 5 4  
Sudan Not Free 7 7 
Suriname* Free 2 2  
Swaziland Not Free 7 5 
Sweden* Free 1 1 
Switzerland* Free 1 1 
Syria Not Free 7 7  
Taiwan* Free 1 2 
Tajikistan Not Free 6 6 ▼ 
Tanzania* Partly Free 3 3 
Thailand* Partly Free 4 4 
Togo Partly Free 5 4 
Tonga* Free ▲ 3 2 ▲ 
Trinidad and Tobago* Free 2 2 
Tunisia* Partly Free 3 4 
Turkey* Partly Free 3 4 ▼ 
Turkmenistan Not Free 7 7 
Tuvalu* Free 1 1 
Uganda Partly Free 5 4  
Ukraine* Partly Free 4 3  
United Arab Emirates Not Free 6 6  
United Kingdom* Free 1 1 
United States* Free 1 1 
Uruguay* Free 1 1 
Uzbekistan Not Free 7 7 
Vanuatu* Free 2 2 
Venezuela Partly Free 5 5 
Vietnam Not Free 7 5 
Yemen Not Free 6 6 
Zambia* Partly Free 3 4 
Zimbabwe Not Free 6 6 

* indicates a country’s status as an electoral democracy

Libertà nel mondo. Freedom Hause



Sintesi Metodologia

La libertà nel mondo indagine fornisce una valutazione annuale dei risultati e il declino della libertà in 195 paesi e 14 territori connessi e contestato. L'indagine, che comprende sia i report analitici e valutazioni numeriche, misura la libertà secondo due grandi categorie: i diritti politici e delle libertà civili. Valutazioni dei diritti politici si basano su una valutazione dei tre sottocategorie: processo elettorale, il pluralismo politico e la partecipazione, e il funzionamento del governo. Civili valutazioni libertà si basano su una valutazione di quattro sottocategorie: la libertà di espressione e di credo, i diritti associativi e organizzativi, Stato di diritto, e di autonomia personale e dei diritti individuali. 
Ogni paese viene assegnato un punteggio numerico da 1 a 7 per entrambi i diritti politici e delle libertà civili, con 1 che rappresenta la più libera e 7 i meno liberi. I rating sono determinati dal numero totale di punti (fino a 100), ogni paese riceve su 10 domande di diritti politici e delle libertà 15 questioni civili; paesi ricevono 0-4 punti su ogni questione, con 0 che rappresenta il più piccolo grado e 4, il massimo grado della libertà. La media dei diritti politici e civili valutazioni libertà, conosciuto come il rating libertà, determina lo stato generale: libero (1,0 a 2,5), in parte libera (da 3.0 a 5.0), o non liberi (da 5,5 a 7,0). Freedom House assegna anche verso l'alto o verso il basso frecce di tendenza per i paesi che hanno visto le tendenze generali positive o negative durante l'anno che non erano abbastanza significative da comportare un cambiamento rating.
Il sondaggio assegna la designazione di democrazia elettorale in paesi che hanno raggiunto determinati standard minimi. Il riferimento numerico per un paese per essere elencati come una democrazia elettorale è un totale di 7 o più punti (su un massimo di 12) per i 3 diritti quesiti sottocategoria politici sul processo elettorale, così come per un totale di 20 punti o più ( su un massimo di 40) per tutte le 10 domande di diritti politici.
Freedom House non mantiene una visione legata alla cultura della libertà. La metodologia di indagine si fonda su principi fondamentali dei diritti politici e delle libertà civili, che derivano in larga misura dalle parti pertinenti della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Queste norme si applicano a tutti i paesi e territori, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica, la composizione etnica o religiosa, o il livello di sviluppo economico.
L'indagine non i governi dei tassi o le prestazioni del governo di per sé, ma piuttosto i diritti reali e le libertà per gli individui. Libertà possono essere colpiti da azioni statali, nonché da attori non statali, inclusi i ribelli e altri gruppi armati.
I risultati sono raggiunti dopo un processo multilivello di analisi e di valutazione da parte di un gruppo di in-house e consulenti esperti regionali e studiosi. L'indagine, che è stata pubblicata dal 1972, consente un esame delle tendenze in libertà nel corso del tempo e su base comparativa tra le regioni con differenti sistemi politici ed economici. libertà nel mondo rating s 'e relazioni narrative sono utilizzati da politici, importanti studiosi , i media e le organizzazioni internazionali a monitorare il flusso e riflusso della libertà in tutto il mondo.