Ten. cpl. Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Appare
incontrovertibile che i fattori di crisi possono essere sia esogeni che
endogeni, ma è opportuno soffermarsi sugli aspetti interni in particolare
personali, i quali sono i più subdoli e difficili da individuarsi vista
l’adattabilità degli interessati.
Si deve
tenere presente che come in un organismo vivente ospite il virus, una volta
entrato, si libera del proprio involucro, scopre i propri geni e induce
l’ospitante a fabbricare le proteine virali da assemblare, altrettanto avviene
con le persone negli ambienti lavorativi dove esplicando la loro personalità
più recondita possono indurre a cambiamenti comportamentali opportunistici le
persone con cui sono in contatto, circostanza ancor più devastante se coloro
che influenzano sono di livello superiore.
Dobbiamo
considerare che solo la presenza di un sistema complesso, ossia l’interagire
delle persone in un ambiente strutturato, permette ai soggetti portatori di
valori negativi per l’organizzazione di esplicare le proprie funzioni, in
quanto tali soggetti acquistano consapevolezza solo agendo su altri.
La loro
virulenza si manifesta non prima di avere raggiunto una determinata densità, in
altre parole dopo aver modificato o creato le opportune colleganze, come nei
biofilm i microrganismi subiscono trasformazioni tali da indurli a
specializzarsi, così nelle organizzazioni i gruppi patogeni aggressivi tendono
a specializzarsi creando strutture interne e parassitarie rispetto alla vera e
propria organizzazione, non evidenti ai normali osservatori esterni, necessita,
pertanto, in primo luogo tentare di ostacolare il dialogo fra tali agenti per
impedire il formarsi dei biofilm negativi o, se già costituiti, alterare la
comunicazione per disaggregarli.
Principio
fondamentale è che gli esseri umani, come tutti i microorganismi, diventano
sociali superando l’individualismo nell’uso delle risorse solo in presenza di
loro scarsità o difficoltà nell’acquisizione tali da creare ostacoli nella
propria affermazione.
Deve
tuttavia riconoscersi la notevole importanza collaterale che queste figure
negative hanno nell’evoluzione organizzativa.
Permettono
di accelerare e rendere più facile la selezione strutturale attraverso eventi
endogeni, anzi che esogeni, i quali possono agire più lentamente, quest’ultima
osservazione porta a valutare le conseguenze dell’azione perniciosa per
l’organizzazione in termini di immunità acquisita, come memoria e relativa
reazione per l’aggressione subita, ma anche come trasferimento di conoscenze
presso altre strutture a seguito della morte dell’organizzazione aggredita,
costituendo pertanto i mattoni per una ricombinazione adattiva in strutture
diverse.
Se
un’organizzazione si avvita su se stessa senza reagire, significa semplicemente
che non possiede le risorse necessarie per una sua evoluzione e che sarà
opportuno, anzi liberare le risorse umane più efficienti così bloccate per una
nuova migliore strutturazione.
In realtà
uno dei segnali maggiori, che possiamo dire riassuntivo, del malessere
organizzativo è il venire meno della simmetria,
quale equilibrio nella crescita delle parti e nella distribuzione delle
risorse. Il malessere ambientale a cui si va incontro non è altro che
l’arroganza e il prevalere di una parte sulle altre, si crea una struttura
virtuale in cui il crollo avviene in forma progressivamente accelerata
attraverso un meccanismo di circuiti di rinforzo fino al limite di rottura, a
meno di riuscire a esternalizzare i costi crescenti dell’inefficienza
strutturale attraverso fenomeni monopolistici o accordi
politico/amministrativi.
La
traiettoria non sarà certa ma probabile secondo previsioni su valori medi, in
quanto, sebbene non accessibili i dati dei singoli componenti del sistema,
quello che importa sono le variabili macroscopiche che riguardano il
comportamento del sistema come un tutto.
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