Dal XVII al XXI secolo
Il concetto moderno di
guerra nel diritto internazionale
(Parte seconda)
Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Indice
·
Premessa
·
Cenni storici
·
Il concetto di guerra giusta nel XX
secolo
·
Guerre non convenzionali
·
Considerazioni finali.
PREMESSA
Nel nuovo
concetto di guerra rientra anche, seppure indirettamente, l’attuale pandemia,
la quale nel sconvolgere gli equilibri accelera le dinamiche in atto, diventando
da evento naturale un’arma, come nell’assedio di Caffa in Crimea da parte dei
tartari che causarono la “peste nera” in Europa o la pandemia nel IV secolo
d.C. nell’Impero romano portato dalle legioni che tornavano dall’Oriente che
indebolirono il tessuto sociale fondato sulle città, trasferendo il baricentro
nelle campagne e favorendo indirettamente le tribù germaniche le quali vivevano
disperse in villaggi su territori semi abitati.
Indirettamente
la guerra diventa quindi anche una guerra ideologica fondata sulla
comunicazione, dove sanità ed economia si intrecciano strettamente con i fatti
più strettamente bellici.
CENNI STORICI
Un aforisma accademico inglese recita
“La guerra ha fatto lo Stato, e lo Stato
fa la guerra”. Esso appare paradossale all’uomo occidentale, ormai abituato
a istituzioni benevole e molto attente al concetto di pace, così divenute dopo
un lungo e travagliato processo storico.
Uno dei
risultati più evidenti della nascita degli Stati moderni nel XVII secolo fu la
codifica della guerra. Dopo i massacri delle guerre di religione il formalismo
giuridico, nello sforzo di disciplinare l’uso della forza sul piano
internazionale, introdusse il concetto di “bellum utrimque justum”, tale fu il
risultato della ricerca di una base legale alternativa su cui fondare le
relazioni tra Stati.
Una
valutazione lasciata alle Cancellerie di Stati sovrani relativamente alla
legittimità delle pretese proprie e altrui, ma che non impediva il
riconoscimento delle pretese legittime degli altri Stati in lotta, con
l’introduzione, quindi, della differenziazione tra nemico “formalmente giusto”
e nemico “criminale o pirata”. Ciò significò che gli Stati divenissero entità
estranee a valutazioni morali ma dedite esclusivamente al proprio interesse,
cioè quello Stato sovrano amorale anticipato da Machiavelli e inteso come
“macchina da guerra”-
Nel venire
meno di una stabile autorità spirituale superiore, che potesse essere arbitro
sulla legittimità o meno di uno scontro e potesse imporre delle regole di limitazione
alla violenza della guerra, la possibilità di un riconoscimento reciproco prima
dello scontro ne introduceva un fattore di limitatezza, come le procedure di
trattativa, le regole sui prigionieri o, più in generale, il mantenimento dei
propri diritti di dignità.
La
rivoluzione francese reintroduce un elemento che inasprisce lo scontro,
delegittimando gli avversari, prototipo di quello che accadrà in alcuni casi
del XIX secolo, come la Comune, ma ancor più nel ‘900, l’ideologia, che nella
sua sacralizzazione riporterà la Storia alla ferocia delle guerre di religione.
Le campagne
napoleoniche ne saranno un anticipo, nella ferocia delle devastazioni, che
raggiungeranno il culmine nella campagna di Spagna, così ben ritratta dal Goya.
Lo “justus
hostis” nega la possibilità dell’annientamento di un nemico che domani potrà
essere alleato, viene pertanto meno la “justa causa” teologica per iniziare una
guerra, non essendovi autorità morali superiori a cui riferirsi.
Con il
Congresso di Vienna ( 1815), dopo gli orrori delle guerre napoleoniche, si creò
un sistema europeo, che riuscì ad evitare conflitti per un cinquantennio.
Su questa
linea la Convenzione internazionale dell’Aja diede vita ad una Corte
internazionale di arbitrato e tentò di porre un limite agli armamenti, a cui
seguì una seconda Convenzione nel 1907, ma la terza programmata per il 1915
venne annullata dalla Grande Guerra.
IL CONCETTO DI GUERRA
GIUSTA NEL XX SECOLO
Nel XX
secolo all’ideologia quale causa di conflitti, si aggiunge la crescente potenza
della tecnologia e l’intervento nei conflitti europei di una potenza
industriale di matrice europea, ma esterna al continente, che viene a dissolvere
lo “jus publicum europeum”, affiancandosi involontariamente all’ideologia
dissolutrice della “nuova Russia socialista”.
Causa ultima
di un ritorno alla giusta causa del “bellum justum” è la stessa Europa, in cui
il continuo rilancio verso una guerra totale, tesa ad una vittoria totale,
vedasi il caso della guerra sottomarina totale tedesca del 1917, porta alla
dissoluzione etica dello “jus pubblicum europeum”.
Nasce l’idea
di Wilson della dottrina del “bellum justum”,
conseguenza ultima della guerra totale e della sua demonizzazione del nemico,
circostanza aggravata dall’essere il mondo in quella fase storica eurocentrica.
Anche il proposito di legare il territorio alla nazionalità quale metro per la
formazione dei nuovi confini statali, fu solo un espediente per raggiungere
fini che oggi definiremmo geopolitici e di cui fece le spese l’ Italia.
Tuttavia la
teoria del “bellum justum” presuppone l’esistenza di una autorità morale
superiore che funga da giudice, nonché di una serie di norme che nel regolare i
rapporti permettano di dichiarare giusto l’intervento per reprimere una loro
violazione.
La concezione
universalistica wilsoniana fa sì che coloro che violino le norme diventino
banditi, fuorilegge, pirati e come tali trattati.
Vi è
pertanto la necessità di creare un organo superiore che amministri e regoli i
rapporti fondamentali tra Stati, non essendovi più l’autorità morale del
pontefice romano propria della repubblica cristiana in cui Imperatori, principi
e comuni si riconoscevano.
La Società
delle Nazioni e l’ONU sono il prodotto dell’originale concezione cosmopolita
wilsoniana, a cui si aggiunge, sempre in termini universalistici, per tutto il
‘900, l’autorità che si arroga l’URSS in campo socialista, quale casa madre
primigenia. Dopo il 1945 si passò da cinquanta ad oltre centocinquanta Stati
indipendenti, molti dei quali attraverso insurrezioni e guerre con successive
ambizioni belliche, un risultato non molto brillante nel controllo dei
conflitti.
La violenza
e l’ampiezza del conflitto, che la moderna tecnica permette, fa sì che la
trasformazione da conflitto inter-statale a lotta per l’esistenza, dà voce alle
più estreme teorie nazionaliste, etniche e di lotta sociale.
Tutti i
fantasmi che si erano formati nell’Ottocento emergono, rafforzandosi a vicenda,
giustificando per tale via la teoria wilsoniana, quale tentativo di riportare
gli Stati ad una convivenza regolata giuridicamente.
La richiesta
all’art. 227 del Trattato di pace di processare il Kaiser ed alcuni altri
esponenti politici e militari tedeschi quali criminali di guerra, sebbene non
abbia avuto seguito, pone le basi per i successivi processi ai criminali di
guerra della II Guerra Mondiale e delle guerre balcaniche e medio-orientali a
cavallo tra XX e XXI secolo.
Scelle sottolinea che in un sistema
quale quello della Società delle Nazioni la guerra non ha più spazio giuridico,
perché se giusta non è più guerra ma solo operazione di polizia internazionale,
se ingiusta è solo un crimine e come tale deve essere trattato.
Giustamente
osserva Schmitt che la coerenza di un
sistema teorico giuridico non è determinata da una sola idea, bensì dal
collocare adeguatamente un concetto entro un sistema di concetti.
Nasce
tuttavia il problema dello “Stato terzo”, ossia di colui che non aderendo alla
Società delle Nazioni non rinuncia all’autonomia del proprio giudizio sulla
guerra intrapresa, né potrebbe essere giudicato con i parametri di una
organizzazione internazionale a cui non aderire.
Churchill avvertiva la pericolosità di un Tribunale dei
vincitori, composto e diretto dai vincitori, e ne aveva espresso le
perplessità, anche giuridiche, con l’osservazione che nella prossima guerra si
poteva essere dall’altra parte!
Considerata
di per sé giusta una guerra di legittima difesa, circostanza che porta ad una
netta distinzione dalle guerre giuste e dalle guerre sante, Walzer ammette tra le guerre giuste
oltre all’autodifesa la rivendicazione di un proprio diritto violato. Resta
tuttavia il problema dell’esistere o meno del diritto violato, che può talvolta
essere dubbio, senza che tuttavia possa esservi un riconoscimento da una
autorità etica superiore universalmente riconosciuta.
GUERRE NON
CONVENZIONALI
Altre forme
di guerra sono le guerre civili, dove il nemico perde umanità acquisendo
aspetti demoniaci e con essi i diritti, non vi sono più i limiti delle
relazioni tra Stati ed i rischi crescono con il crescere delle forme
autoritarie di governo, dove gli esseri sono mezzi e non fini.
Le aumentate
relazioni economiche diminuiscono il pericolo delle crisi militari, senza
tuttavia eliminarlo, non potendo escludere la sempre possibile “politica di
potenza”.
La stessa
“intensità” della guerra varia con l’introduzione delle nuove tecnologie, dove
può esservi e consumarsi un attacco strisciante, difficilmente individuabile
come una classica guerra, l’opinione pubblica attraverso i nuovi mezzi di
comunicazione di massa risulta essere facilmente manipolabile, come i sistemi
di controllo degli Stati avanzati risultano possedere una propria fragilità
paralizzante e tale da destrutturare gli stessi.
Gli attacchi
risultano difficilmente identificabili, in una riedizione di guerra
asimmetrica, tutti i possibili vecchi parametri risultano insufficienti se non
svuotati, né organizzazioni sovranazionali sono in grado di produrre un
qualsiasi giudizio.
Come si
manifestano guerre condotte per interposta persona da gruppi privati assoldati
per l’occasione, secondo una riedizione moderna delle compagnie di ventura del
XIV e XV secolo. Tale evoluzione annulla il significato dell’aforisma citato
all’inizio, in quanto, mentre un tempo non esisteva uno Stato senza un
esercito, oggi, come nel caso dei mongoli nel Medio Evo, esistono eserciti
senza Stato ( almeno ufficialmente) e Stati “autoproclamati”.
Il venire
meno della divisione del mondo in due blocchi ed il contemporaneo accrescersi
di accordi multilaterali che hanno dato vita a nuove organizzazioni
sovranazionali, hanno permesso di consacrare definitivamente la sacralizzazione
della guerra.
L’autorità
etica medievale del pontefice romano è rinata, trasferendosi nella superpotenza
rimasta al termine della Guerra fredda che,
nume tutelare per peso economico, tecnologico e morale delle
organizzazioni internazionali, determina la scomunica degli Stati definiti
“canaglia”, a cui può pertanto non applicarsi lo “jus bellum” del “nemico
giusto”.
CONSIDERAZIONI FINALI
La
conseguenza ultima di questo processo del ‘900, iniziato con la Grande Guerra,
è la perdita della “proceduralizzazione” della guerra, ossia di quegli atti
amministrativi di politica internazionale che, nel confermare l’esistenza di un
reciproco riconoscimento, permettevano di incanalare laicamente la violenza
bellica.
La violenza
della Grande Guerra, la sua estensione nello spazio e nel tempo, costrinsero a
sacralizzare il sacrificio, identificando i caduti con il corpo mistico della
Nazione, ma la Nazione non è sempre coincidente con lo Stato, neppure in
relazione con i nuovi Stati voluti da Wilson.
Questo
condusse a distinguere tra “giusti” e “ingiusti”, tra coloro che perseguendo il
bene adempivano ad una volontà superiore e coloro che lo negavano, la guerra da
“giusta” si sacralizzava in una guerra dai caratteri “santi”; così che
l’aspetto eucaristico che la Nazione e i suoi alleati vivevano attraverso la
guerra demonizzava il nemico, tanto che una volta sconfitto questi doveva fare
opera di contrizione e scontare i suoi peccati per una possibile futura
redenzione.
D’altronde è
pur vero che il violare sistematico delle regole procedurali internazionali
relative alla guerra, come la violazione improvvisa dei patti senza previa denuncia
o l’aggressione senza formale dichiarazione, legittimano la visione sacrale
della guerra “giusta” e la demonizzazione del nemico.
Si può
quindi concludere con le parole di Hillgruber, “In questo modo Roosvelt ottenne la possibilità di realizzare i suoi
obiettivi, che avevano una portata globale quanto quelli di Hitler. Egli
aspirava né più né meno che ad un ruolo- guida mondiale indiretto per gli USA.
Tale ruolo, tuttavia, fondato com’era su principi liberal-democratici, lasciava
agli altri Stati, grandi o piccoli che fossero, uno spazio di manovra autonomo
relativamente grande. E al contrario della rigida determinazione di Hitler,
ancorato ad assiomi ideologico-razziali ,(….), il ruolo- guida americano era
suscettibile di applicazioni e adattamenti a situazioni e congetture nuove e
impreviste” ( 93, Hillgruber A.,Storia
della 2^ guerra mondiale,Economica Laterza, 1994).
Con tali
presupposti si pone la domanda di J. Keegan : la guerra potrà mai finire?
BIBLIOGRAFIA
·
Bonanate
Luigi, La guerra, Editori Laterza, 2011;
·
Bonanate
Luigi, Prima lezione di relazioni internazionali, Ed. Laterza, 2010;
·
Schmitt
Carl, Il concetto discriminatorio di guerra, Editori Laterza, 2008;
·
Keegan
John, La guerra e il nostro tempo, Mondadori, 2002;
·
Renan
Ernest, Che cos’è una nazione, Archinto, 1994.
Nessun commento:
Posta un commento