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lunedì 9 maggio 2016

Uno scenario designato

Europa
Brexit, se si riaccende la fiamma 
Antonio Armellini
03/05/2016
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Come andrà a finire il voto sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. L’ambasciatore Antonio Armellini delinea i due scenari opposti, ragioni e conseguenze. Nel primo articolo si era immaginata la vittoria della fuoriuscita di Londra dall’Ue. In questo si ipotizza invece la prevalenza nelle urne del fronte opposto.

Dunque è ufficiale: Londra rimane membro dell’Unione europea, Ue. L’incertezza, dopo che i primi exit poll avevano indicato un testa a testa, è finita nella giornata di ieri con la conferma che il “soccorso rosso” del voto laburista nel Nord dell’Inghilterra ha funzionato meglio del previsto.

Il numero di votanti ha superato di poco il 60% e lepercentuali - 52% a favore e 41% contro - ricordano quelle del referendum sulla Scozia del 2014. Le grandi città - Londra, Manchester, Birmingham - hanno votato compattamente per il remain, come la Scozia e l’Irlanda del Nord, ma quello che soprattutto ha contato è stato l’afflusso maggiore del previsto dei giovani: complice forse il cattivo tempo, sono stati probabilmente loro a decidere l’esito della contesa.

L’appoggio degli shirese del Sud dell’Inghilterra per il brexit non ha subito incrinature, cosicché il paese si presenta sempre più diviso su linee geografiche (Sud e Nord, Inghilterra e Irlanda e Scozia e Galles); generazionali (giovani e laureati e pensionati e lavoratori non qualificati); socio-culturali (grandi città e provincia e zone rurali).

Voto razionale
L’ultimo psicodramma greco, e il fallito tentativo di dare vita a un vero sistema di controllo comune alle frontiere mentre l’accordo con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan traballa vistosamente e si è aperto un nuovo drammatico fronte con la Libia, non sono bastati a convincere l’elettorato a scegliere quel miscuglio tipicamente britannico di insularismo fatto di diffidenza per tutto ciò che sa di straniero, di nazionalismo nutrito da nostalgie imperiali per una inesistente “anglosfera” in cui trovare rifugio salvifico dall’Europa, su cui avevano puntato i brexiteers per contrastare il coro degli argomenti che quasi tutta l’industria, la City e la grande maggioranza degli alleati avevano intonato per sostenere il governo nella campagna per il remain.

Non per questo il voto è stato ispirato da considerazioni razionali: del resto, di razionalità in questa campagna elettorale se ne è vista ben poca. Più semplicemente, le correnti psicologiche e “di pancia”, su cui il brexit pensava di fare leva, hanno ceduto il passo ad un’altra fondamentale componente della “pancia” del paese: il pragmatismo che l’ha indotto a scegliere il “diavolo che si conosce” piuttosto che farsi sedurre dal salto nel buio verso una immaginaria sovranità.

L’Europa che ha vinto è quella del mercato e delle convenienze economiche: essa - come ha ben chiarito l’eccezione sulla “evercloser union” voluta dal premier David Cameron - ha poco da spartire con l’idea di una Unione di paesi che condividano un comune obiettivo politico di integrazione, per quanto lontana.

Di questa Europa mercantile però gli inglesi hanno, per la seconda volta in quarant’anni, dichiarato di voler fare parte e sta ora agli altri fare i conti con la situazione. E decidere il da farsi.

Europa, un sospiro di sollievo
Le reazioni in Europa sono state, come prevedibile, di sollievo. Angela Merkel ha dichiarato che la Gran Bretagna ha fatto una scelta che la rafforzerà, e con essa rafforzerà tutta l’Europa. Matteo Renzi ha detto che si apre la prospettiva di una sempre più stretta cooperazione fra due grandi paesi che insieme possono costruire una Europa diversa, più libera e vicina ai cittadini.

Hollande si è unito al coro, non senza ricordare che passato questo scoglio decisivo, l’Europa intera deve ora riprendere con lena il cammino verso il completamento dell’Unione.

Tutt’altra musica fra i nuovi paesi membri dell’Europa dell’Est. L’ungherese Viktor Orban e il polacco Andrzej Duda hanno annunciato una riunione straordinaria del “Gruppo di Visegrad” per proporre un asse con la Gran Bretagna volto a superare l’illusione pericolosa dell’euro e mettere fine all’erosione delle sovranità nazionali voluta dalla burocrazia brussellese.

Applauditi in questo dall’Austria e criticati un po’ da tutti gli altri, ma non da Marine Le Pen e Matteo Salvini, che si sono fatti promotori di un manifesto dei movimenti euroscettici europei per “azzerare l’euro e cambiare l’Europa che affama i suoi cittadini” grazie anche (si presume) all’appoggio che a questo progetto dovrebbe dare Londra.

Cameron chiede nuove modifiche
David Cameron ha dichiarato che la Gran Bretagna resta in Europa per cambiarla, non ritenendo sufficiente quanto sin qui ottenuto, e si è impegnato a indire un nuovo referendum se, in capo a due anni, le modifiche richieste da Londra non saranno state accettate.

Una mossa ad un tempo difficile e pericolosa (per la stabilità dell’Ue), con la quale cerca di rafforzare la sua posizione nei confronti della maggioranza euroscettica del partito, decisa a continuare a dare battaglia.

Più che da Boris Johnson - il cui ruolo di “parricida” ufficiale appare un po’ appannato per l’eccesso di violenze retoriche fini a sé stesse - dovrà guardarsi dai mediatori che già si annunciano all’interno del governo. Da Michael Gove soprattutto, anche se un pensierino potrebbe farlo Philip Hammond.

Nigel Farage si è dimesso come annunciato e manovra per far confluire l’Ukip nei tories spingendone l’asse ancor più verso destra. Cosa questa che potrebbe innescare la reazione opposta di quanti guardano a personaggi come Kenneth Clarke per dare vita a un nuovo partito moderato e filo-europeo, in cui accogliere anche quanto resta della pattuglia liberale.

Ue, esame rimandato
La Gran Bretagna che rimane nell’Ue consente a questa di rimandare l’esame autocritico che una vittoria del brexit avrebbe reso inevitabile. Ma non di rinunciarvi: Londra continuerà ad opporsi a qualsiasi tentativo di dare maggiore coesione al processo di integrazione e starà attenta ad evitare, soprattutto, ogni decisione che immagini possa incidere negativamente sui suoi interessi.

Allo stesso tempo, appare sempre più chiaro che il futuro dell’euro è legato alla capacità dei suoi membri di compiere un salto di qualità in senso sovranazionale: un ministro unico delle Finanze, senza una politica fiscale comune e soprattutto senza un progetto politico condiviso, rischierebbe di essere l’ennesimo fuoco fatuo dell’Europa unita.

C’è una forte contraddizione fra l’Europa di Altiero Spinelli e quella di Margaret Thatcher: andrà risolta e nessuna delle parti ha ben chiaro come. Una grande confusione sotto il cielo, di cui non si sentiva davvero il bisogno.

Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).
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