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domenica 30 aprile 2023

Antonio VIgliano. Intelligence da Fonti Umane negli odierni contesti globali HUMINT e Antiterrorismo

 

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“A volte, sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose… che nessuno può immaginare”

Imitation Game

 

2.1 HUMINT e Antiterrorismo    

 

Durante la seconda guerra mondiale per reclutare un agente, soprattutto da parte degli Alleati, si faceva leva soprattutto sui sentimenti patriottici e di resistenza contro l’invasore delle persone individuate. Ovviamente, questo comportava un certo rispetto verso l’agente da parte dell’agenzia che lo aveva reclutato, nonché l’instaurazione di un buon rapporto di fiducia e collaborazione tra l’agente e l’operatore. Successivamente durante la guerra fredda, si fece più largo uso del denaro come mezzo di persuasione, in quanto, le scelte di reclutamento ricadevano molto spesso su impiegati e funzionari governativi, che in buona parte decidevano di collaborare in cambio di denaro. La storiografia specialistica è ricca di esempi eclatanti di spie che hanno operato rispettivamente per i due blocchi, sotto pagamento di ingenti somme di denaro.

Dopo la caduta del muro di Berlino, la conseguente caduta dell’U.R.S.S. e i successivi fenomeni economici e sociali della globalizzazione, si sono venute a creare le condizioni per nuovi tipi di conflittualità di tipo asimmetrico. I nuovi fenomeni di insorgenza non caratterizzano più solamente piccole zone territoriali delimitate ma sono in grado di destabilizzare intere aree. La nascita e lo sviluppo del terrorismo internazionale ha segnato l’inizio di una nuova era per la sicurezza internazionale, chiamata a contrastare una minaccia senza confini definiti. Questo ha portato anche ad un’evoluzione nelle tecniche di reclutamento da parte degli operatori humint, che hanno iniziato a basarsi sul mind penetration, ovvero, la ricerca e lo sfruttamento delle debolezze intrinseche dell’individuo[1].

Il terrorismo, così come la guerriglia, per raggiungere i propri scopi, ha bisogno di informazioni, sia per una migliore copertura delle attività clandestine sia per reperire informazioni, per pianificare ed eseguire azioni eversive. La differenza fondamentale è il tempo, poiché, per pianificare e condurre atti di guerriglia c’è bisogno di condizioni sociali, territoriali ed economiche favorevoli; la maggior parte di esse dipende dal consenso popolare, in cui si possono ottenere ad esempio:

-           Informazioni (ubicazione, entità, numerico e spostamento delle truppe occupanti, o governative nel caso si parli di guerra rivoluzionaria)

-          Supporto logistico (acqua, viveri, vestiario, rifugio, diffusione di materiale propagandistico, ecc.)

-           Eventuali aiuti finanziari (gruppi di pressione favorevoli alla guerriglia, possono organizzare raccolte fondi, anche attraverso attività illecite, per finanziare gli insorti).

Per questo motivo, il consenso diventa un fattore fondamentale, sia per le forze insorgenti che per le forze occupanti. Entrambe le forze cercheranno di tutelare l’incolumità della popolazione civile per guadagnarne il consenso, aiutandosi anche con attività di propaganda e di contro-propaganda nei confronti dell’avversario. Soprattutto la guerriglia, la quale, non potendo affrontare una guerra classica, ricorre a tecniche di guerra non convenzionale e fa largo uso di propaganda. Di conseguenza, è di fondamentale importanza il potenziamento delle attività di intelligence, soprattutto della humint, che in questi contesti risulta essere il più efficace strumento di raccolta informativa.

La missione principale della humint in funzione anti guerriglia è quello di inserirsi all’interno del tessuto sociale, comprenderne la cultura, la lingua, le usanze, i bisogni e le problematiche, entrando in sintonia con le persone, comunicando le ragioni e gli scopi dell’intervento, ed influenzando principalmente i gruppi che sostengono la guerriglia[2]. Così facendo si creerà attorno ad essa terra bruciata a livello di consensi; nel frattempo si provvede a disarticolare la rete informativa degli insorti.

Per eseguire attentati terroristici non sono necessari lunghi periodi tra pianificazione ed esecuzione; quindi il terrorismo non necessita di una elevata attività di ricerca informativa con relativa rete di spionaggio, o una linea gerarchica e comunicativa ben definita (vedesi i noti casi di “lupi solitari”), né è fondamentale per un gruppo terroristico godere di un alto livello di consenso popolare, in quanto, spesso gli obbiettivi sono luoghi affollati[3], essendo l’obbiettivo principale del terrorismo quello di sovvertire l’ordine attraverso il caos e la paura. Inoltre, gli strumenti per realizzare un attentato terroristico sono economici e, in buona parte dei casi, di facile reperibilità e assemblaggio. A volte addirittura a costo zero, come nei casi di attentatori che si lanciano sulla folla con un autoveicolo o armati di coltello da cucina. In quest’ultimo caso diventa ancora più complesso prevedere un’azione terroristica da parte di questi soggetti, a volte insospettabili, non appartenenti a nessuna cellula terroristica, che rivendicano semplicemente la loro appartenenza a determinate organizzazioni. Essi, a seguito di processi di radicalizzazione subiti in determinati ambienti o addirittura in rete, successivamente ad una fase formativa quasi da autodidatta attraverso le pagine del dark web[4], agiscono da soli e con modalità quasi imprevedibili.

Capire le meccaniche dei processi di radicalizzazione è necessario per prevenire soprattutto questo tipo di fenomeni. Per questo motivo, negli ultimi anni, squadre di psicologi, sociologi e antropologi hanno effettuato ricerche sul fenomeno, per tracciare il profilo dell’individuo che più potrebbe essere soggetto a questo tipo di devianza, e trovare la soluzione con tutti gli strumenti che la società civile può mettere in campo (scuola, sanità, servizi sociali, ecc.), per evitare sul nascere questo tipo di fenomeno[5]. Oltre a luoghi comuni di ritrovo come centri sportivi, bar, centri di preghiera non autorizzati (le così dette “moschee garage”), una forte problematica inerente la radicalizzazione proviene dalle carceri.

Paradossalmente il carcere dovrebbe essere il luogo più sicuro da questo punto di vista, in quanto, all’interno delle sue mura il controllo di determinati soggetti dovrebbe essere assicurato; ma gli eventi terroristici ed eversivi degli ultimi anni ci hanno dimostrato il contrario.

Scavando nel passato di alcuni attentatori si è scoperto che essi hanno subito un processo di radicalizzazione all’interno del carcere dove erano detenuti per reati minori. Oppure, caso ben più eclatante, quello che riguarda la maggior parte dei dirigenti dell’ISIS, in precedenza detenuti in Iraq (Camp Bucca) e Giordania[6]. A questo proposito, sono diventate sempre più insistenti le proposte per utilizzare agenti delle forze dell’ordine in incognito negli istituti penitenziari o permettere ai servizi di informazione e sicurezza di condurre operazioni con agenti sotto copertura anche nelle carceri, al fine di identificare e isolare i sedicenti jihadisti. Queste proposte però, si scontrano in molti casi con i diversi sistemi giudiziari, e al momento, almeno in Italia, per quanto riguarda i servizi di informazione e sicurezza, tale procedura non è possibile, in quanto, la legge 124 del 2007 vieta espressamente agli apparati di intelligence di operare nelle carceri[7]. 

I conflitti non convenzionali rispetto alla guerra classica hanno una durata di difficile definizione, come anche gli esiti. Per questo motivo mettere in atto tutte le attività sopracitate richiede molto tempo, e un lavoro fatto di pazienza e costanza. Come dimostrato anche dalle ultime operazioni militari, condotte da forze armate convenzionali in determinati territori contro forze ribelli, il tempo risulta essere l’elemento determinante. Il protrarsi nel tempo di queste operazioni causa il logoramento dal punto di vista psicologico del personale impiegato, con conseguente calo del morale. Oltre a generare costi elevatissimi in termini economici e di vite umane, che ha anche un effetto indiretto in patria, con il calo dei consensi e il risentimento verso i decisori politici da parte della società civile. Pertanto è necessario un addestramento ad hoc, riguardante la conoscenza del contesto delle aree di operazione.

Grazie alle lezioni apprese nelle recenti operazioni militari internazionali, il governo U.S.A., tramite i dicasteri dedicati, ha disposto la formazione di appositi teams, impiegati in teatri operativi ad alto rischio, nei quali, al personale humint sono affiancati specialisti in campo sociologico, storico e antropologico. Questi specialisti hanno il compito di raccogliere elementi culturali ed etnografici dell’area di operazione. La conoscenza degli elementi culturali, quindi i processi sociali, politici, economici, comportamentali e le tradizioni di un popolo sono fondamentali per capire i loro modi di agire. Gli studi etnografici permettono di comprendere le varie tribù, etnie, confessioni religiose presenti in quella nazione e i rispettivi usi, costumi e forme di comunicazione tra i vari appartenenti alle suddette realtà.

Queste ricerche e sono quindi necessarie per poter successivamente interagire armonicamente con le popolazioni locali delle zone di operazione[8].

I progressi fatti in questo campo hanno dimostrato la maggiore efficacia negli approcci con il personale autoctono, che permette la formazione del rapporto di fiducia con il personale straniero in maniera più rapida. In questo modo si riesce a fronteggiare la minaccia asimmetrica in maniera più efficace, sottraendo risorse al nemico ma soprattutto risparmiando in termini di vite umane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Teti Antonio, Virtual Humint la nuova frontiera dell’intelligence, Rubbettino, p.80

[2] Masci Claudio – Piacentini Luciano, Humint questa sconosciuta…Rubbettino, pp. 153 - 157

[3] Ibid.

[4] Il dark web, o darknet (web oscuro, rete oscura) è una piccola parte del deep web (web profondo), la parte di web che non è indicizzata da motori di ricerca, a cui contenuti, si accede via Internet con l’utilizzo di specifici software e specifiche configurazioni.

[5] https://www.difesaonline.it/evidenza/interviste/radicalizzazione-jihadista-nelle-carceri-cause-e-proposte-di-prevenzione

[6] Pagani Alberto, Manuale di Intelligence e Servizi Segreti, Rubbettino, 2019, pp. 204 - 206

[7] https://www.poliziapenitenziaria.it/public-post-agenti-007-nelle-carceri-se-arrestati-potranno-nascondere-la-loro-identita-per-continuare-l8217-4417-asp/

[8] Masci Claudio – Piacentini Luciano, Humint questa sconosciuta…Rubbettino, p. 203

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