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domenica 20 febbraio 2022

Lapo Loris. UN’AREA STRATEGICA VULNERABILE. Le linee difensive nel Friuli-Venezia Giulia durante la Guerra Fredda V Parte

  IV Parte La III Parte è stat pubblicata in data 31 gennaio 2022. su questo blog

Dopo la soppressione della Guardia di Frontiera alla fine della guerra, per il presidio delle opere dal 31 luglio 1950 furono attivati i battaglioni da posizione, dal 1962 i battaglioni da posizione divennero reparti di fanteria d’arresto.
Furono formati il 73o   Lombardia, il 53o   Umbria, il 52Alpi come reggimenti di fanteria d’arresto, 54o   e 74rimasero in posizione quadro mentre il 225rimase sulla carta. Lo stesso avvenne per gli alpini che ebbero due reggimenti di alpini d’arresto. Con la riforma dell’esercito del 1975 le brigate e i battaglioni divennero le principali formazioni operative. Di conseguenza i reggimenti d’arresto passarono il testimone ai battaglioni d’arresto che vennero distribuiti in organico alle principali unità schierate nel territorio friulano. Come per le opere che avrebbero dovuto presidiare, anche i reparti d’arresto furono sciolti nel 1992.

Il sistema difensivo che abbiamo esaminato sarebbe stato realmente efficace? Una risposta non l’avremo mai, tuttavia possiamo trarre alcune conclusioni.
La soglia di Gorizia fu la principale rotta d’accesso che con tutta probabilità sarebbe stata la direttrice di un attacco all’Italia da est. Molto probabile che sarebbero state le forze ungheresi quelle principalmente impiegate per l’attacco vista la posizione geografica dell’Ungheria. Le sue truppe però erano composte da una divisione corazzata e 5 di fanteria meccanizzata per un totale di 1200 carri dei quali solo un centinaio dei moderni T72. Anche se tutti gli analisti occidentali diedero per scontato che una eventuale offensiva del Patto di Varsavia si sarebbe concentrata verso le pianure tedesche, non è escluso che anche reparti sovietici avrebbero potuto essere usati per un attacco al fianco sud della Nato e quindi verso l’Italia.

La fiducia in una difesa statica, tipo Maginot, fu subito messa in discussione dallo Stato Maggiore Italiano che aggiornò a più riprese la tattica da seguire in caso di attacco. Svanita la possibilità di una difesa avanzata oltre confine, si optò per una difesa su più linee scaglionate dietro i maggiori corsi d’acqua della regione. Una difesa in profondità su più linee, seguendo in parte l’esempio attuato da Kesselring nella campagna d’Italia. Questi però ebbe la possibilità di cedere terreno in misura notevolmente maggiore.

 



Tavola 4. Dislocazione delle principali opere difensive in Friuli-V.G.

 https://www.associazionenazionalefantiarresto.itopere-e-armiarmi- individualioper.jpg 20.03.21

 

L’avvento delle armi nucleari tattiche però impose un mutamento di strategia già durante gli anni ‘50; infatti, l’uso di queste avrebbe comunque infranto qualsiasi linea di difesa statica. Si giunse così a considerare le fortificazioni come parte integrante di un sistema difensivo basato sulla manovra. Le unità mobili e corazzate si sarebbero giovate dell’appoggio dei punti di resistenza offerti dalla linea fortificata. Questa avrebbe svolto una funzione ritardatrice e avrebbe incanalato gli assalitori verso i punti favorevoli ai difensori, fornendo anche supporto per i contrattacchi. Il tutto sarebbe servito per guadagnare il tempo necessario alla Nato per inviare rinforzi e raggiungere la supremazia aerea, seguendo poi la nuova dottrina americana dell’AIR LAND BATTLE sarebbero stati colpiti i reparti avversari di seconda schiera evitando l’uso di armi nucleari.

 Con l’avvento delle nuove strategie e le lezioni apprese dopo la guerra del Kippur, la linea difensiva perse via via importanza, mentre gli stanziamenti per il suo ammodernamento vennero ridotti per poi essere sospesi del tutto.
Crollata l’Unione Sovietica la linea di fortificazioni, comprese caserme e depositi, venne rapidamente abbandonata, i reparti d’arresto sciolti mentre l’intero sistema delle FFAA fu ridimensionato. Un articolo apparso su Panorama Difesa nel 1992 sostenne che un equilibrato mantenimento del sistema avrebbe costituito un valido elemento di deterrenza per la difesa dei confini nazionali a un costo contenuto9. Certamente oggi il concetto di difesa è stato profondamente rivisto, le missioni non solo nell’area più prospiciente ai confini europei, quali il bacino del Mediterraneo, il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Atlantico settentrionale ma più in generale in tutte quelle aree del mondo dove è necessario prevenire o fermare qualsiasi tipo di crisi che possa diventare una minaccia alla stabilità, hanno assunto un ruolo determinante nell’ottica del Comprehensive Approach adottata dalla Nato.

Tuttavia, le nuove tensioni con la Federazione Russa e la frammentazione della ex Iugoslavia con al suo interno forti enclave pervase da un islamismo radicale mantengono sempre viva l’attenzione a est. Come il Vallo Alpino tornò utile nel secondo dopoguerra, così un upgrading oculato e selettivo delle opere difensive e delle strutture, lascito della Guerra fredda, avrebbe potuto avere ancora una sua validità, non solo per un effetto di deterrenza ma anche come contributo alla difesa di un confine da sempre situato in una posizione storicamente esposta.

 

NOTE:

1 Marco Boglione, L'Italia Murata, Blu Edizioni, 2012, pagg.16-26.

2 Maccagno, Borean, Canavese, Maltesta, Cogni, Ultimo Bunker a Nord-est, Treviso, Editrice Storica, 2020, pag.113.

3 Nucleare Batteriologico Chimico N.d.R..

4 Vivian Rowe, The Great Wall of France, New York, Putnams’s Sons, 1961, pagg.65-69.

5 Feldmaresciallo, comandante delle forze tedesche in Italia. N.d.R..

6 Marco Boglione, L’Italia Murata, Torino, Blu Edizioni, 2012.

7 Le Forze Armate di Israele N.d.R..

8 Maccagno, Borean, Canavese, Maltesta, Cogni, Ultimo Bunker a Nord-est, Treviso, Editrice Storica, 2020, pagg. 96,110, 121-131.

9 M.Milanese, E.Celotti, La fortezza va in pensione, Panorama Difesa, n.94, Firenze, Edai, 1992, pag.60.

                               


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