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Presidenza Trump, Brexit, rilancio della cooperazione con l’Unione europea, Ue, Russia, stabilità su fianco est e fianco sud: nuove e tradizionali sfide si presentano alla Nato nel suo sforzo di continuare a contribuire alla sicurezza euro-atlantica nell’attuale quadro internazionale.
La strada per attuare le decisioni dell’ultimo vertice di Varsavia, in prospettiva del prossimo a marzo 2017 che vedrà la presenza a Bruxelles del neopresidente repubblicano, si annuncia molto impegnativa e incerta per l’Alleanza su una serie di temi che saranno discussi anche nel corso della conferenza organizzata dallo IAI il 17 novembre. Londra non riduce l’impegno Nato, ma Trump batte cassa La Brexit e l’elezione di Trump rappresentano due variabili importanti che la Nato deve considerare. Per quanto attiene al primo aspetto, Londra ha più volte ribadito che la sua uscita dall’Ue non influirà sul suo ruolo nell’Alleanza: l’impegno di agire da alleato guida di uno dei quattro battaglioni multinazionali dell’Enhanced Forward Presence, Efp, nei Paesi baltici va in questa direzione, così come l’assenso alla dichiarazione congiunta Nato-Ue volta a rafforzare la cooperazione tra i due attori. Inoltre, è probabile chela Gran Bretagna concentri la sua politica di difesa e sicurezza su due canali: da un lato, rafforzando le sue attività in seno alla Nato; dall’altro, percorrendo maggiormente la strada al bilateralismo, rinvigorendo i legami con i Paesi tradizionalmente più vicini nel settore della difesa come Francia e Stati Uniti. Da parte sua, in campagna elettorale Trump non ha esitato a considerare la Nato una struttura “obsoleta”, e a incalzare sulla necessità degli Alleati di assumere maggiore oneri e responsabilità, oltre a prospettare un approccio di Washington più distaccato dagli affari europei che non riguardino direttamente gli interessi nazionali. La questione annosa di un burden sharing -condivisione di oneri - più equo all’interno della Nato viene dunque rivestita da un nuovo impeto, ma non è nuova. Se è vero che gli europei necessitano della protezione Usa, è anche vero che gli Stati Uniti continuano a necessitare di Alleati fidati e in grado di contribuire alla sicurezza internazionale. Questo potrebbe essere un elemento per smussare lo scetticismo mostrato finora da Trump verso Nato ed Ue. I pilastri del partenariato Nato-Ue Tanto nell’Eu Global Strategy, Eugs, quanto nella Dichiarazione finale del Vertice di Varsavia, emerge chiaramente la volontà di rilanciare il partenariato Nato-Ue, nella convinzione che un’Unione più forte e coesa nel campo della difesa benefici anche la Nato. In attesa che l’Ue traduca questa volontà in un piano di attuazione della Eugs previsto entro dicembre 2016, nella dichiarazione congiunta dello scorso luglio i due partner hanno designato sette aree di cooperazione: contrasto alle minacce ibride; cooperazione marittima, soprattutto nel Mediterraneo; coordinazione nella sicurezza e difesa cibernetica; sviluppo di capacità di difesa complementari Nato-Ue; cooperazione industriale; un calendario di esercitazioni coordinate e parallele nel 2017 e 2018; costruzione di capacità di sicurezza e difesa, e della resilienza, dei partner nel vicinato meridionale ed orientale. L’International Staff Nato da un lato, e dall’altro il Servizio Europeo di Azione Esterna - con il sostegno della Commissione dove opportuno e sotto la supervisione dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini - dovranno presentare entro dicembre 2016 delle proposte concrete nell’ambito di tali aree. Tuttavia, la questione turco-cipriota tuttora irrisolta, connessa al problema della condivisione di informazioni e capacità, rischia di inficiare il processo, e la presidenza Trump rappresenta un’incognita in tal senso. Soprattutto, il maggior ostacolo resta l’Ue stessa, o meglio l’incertezza sulla sua capacità politica di trovare una sintesi tra i diversi interessi nazionali e cogliere l’opportunità per il dichiarato rilancio sia della cooperazione Nato-Ue che dell’Europa della difesa. Italia, pedina importante nella relazione Nato-Ue In questo quadro di sfide e di processi in corso, l’Italia può giocare un ruolo rilevante. Nei rapporti Nato-Ue, Roma è in una posizione privilegiata per contribuire alla rapida attuazione delle proposte della dichiarazione. Si pensi alla cooperazione marittima nel Mediterraneo e alla gestione dei flussi migratori, dove potrebbe mettere a disposizione le valide competenze e l’esperienza in termini di defence capacity building, spingendo gli alleati ad occuparsi maggiormente di dossier cruciali per gli interessi nazionali. Sul fianco sud, inoltre, l’Italia potrebbe assumere un ruolo di guida nella cooperazione con i Paesi del Nord Africa, rispondendo all’esigenza di “proiettare” stabilità in contesti politico-istituzionali precari, ad esempio in Libia. Inoltre, l’azione congiunta Ue-Nato nella sicurezza marittima contribuirebbe a concretizzare una strategia per mitigare gli effetti della crisi migratoria. Sul fianco est, Roma ha tradizionalmente mantenuto aperto il canale del dialogo con la Russia, con un certo successo a Varsavia. La partecipazione di 140 militari italiani all’Efp in Lettonia fa parte delle misure concordate nell’ultimo vertice per garantire sul confine orientale la deterrenza e la difesa, due elementi che nell’approccio Natosono l’altra faccia della medaglia rispetto appunto al dialogo. Questa linea articolata e di equilibrio è sostenuta sia dalla necessità di evitare un’escalation nei rapporti Nato-Russia, nociva per gli interessi economici nazionali, sia dalla convinzione che il dialogo con Mosca gioverebbe ai negoziati per altri scenari internazionali. Peraltro, la presidenza Trump sembra maggiormente incline a un dialogo con il Cremlino, ma occorrerà riflettere sui contenuti e la modalità del medesimo, mantenendo la coesione transatlantica ed intra-europea. Francesca Bitondo è assistente alla ricerca nel Programma sicurezza e difesa dello IAI (Twitter @frabitondo). |
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