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Zohr, Leviathan, Aphrodite: queste le tre maggiori scoperte di gas nel Mediterraneo orientale che potrebbero trasformare alcuni Paesi da importatori a esportatori (Israele), soddisfare una domanda di energia crescente e fornire stabilità all’economia nazionale di altri (Egitto) o potenziare il posizionamento geopolitico di altri ancora (Cipro).
Questo, se il pericoloso crocevia di irrisolte questioni territoriali, tensioni storiche o nuovi contrasti - che saranno discussi in una conferenzaorganizzata dallo IAI - non impediranno lo sviluppo e lo sfruttamento di risorse che rappresentano in effetti una novità per il Mediterraneo orientale, e un’opportunità per la sicurezza energetica europea. Da Leviathan ad Aphrodite e Zohr Israele, ad esempio, ha scoperto negli ultimi quindici anni tre grossi giacimenti nel Mediterraneo, di dimensioni crescenti: Mari-B, con circa 28 miliardi di metri cubi (bcm) di gas; Tamar, circa 280 bcm, da solo al momento capace di soddisfare il 40% della generazione elettrica israeliana; Leviathan, con circa 620 bcm, ma la cui produzione partirà non prima del 2019. Risorse importanti, ma su cui pende l’incertezza su circa 854 miglia quadrate al confine marittimo con il Libano, vicine alle scoperte di cui sopra, e su cui Beirut ha già cercato di mettere all’asta ipotetiche concessioni. Una situazione in realtà che è più critica a Cipro, autore della scoperta nel 2011 di Aphrodite, una riserva di gas che potrebbe contenere dagli 80 ai 140 bcm, la prima nel Paese e che potrebbe portare forse a numerose altre. Nonostante sia posizionata alla punta a sud della Zona economica esclusiva, Zee, del Paese, questo non ha però fermato le rivendicazioni della Turchia, che nel 2014 ha inviato due navi da guerra nelle aree dove Eni e Kogas effettuavano le proprie esplorazioni. La più grande scoperta è stata però egiziana, con il giacimento Zohr scoperto nel 2015 da Eni pochi chilometri a sud di Aphrodite. Si tratta probabilmente del più grande giacimento nel Mediterraneo, 850 bcm, capace da solo di soddisfare il 40% del fabbisogno energetico annuale egiziano. Immune da rivendicazioni territoriali grazie alla definizione delle rispettive Zee con Cipro già nel 2003, lo sviluppo del gas egiziano, così come quello degli altri Paesi, potrebbe però andare incontro ad altri problemi. Israele, Cipro ed Egitto e la gestione delle risorse energetiche In questo complesso scenario, un punto appare chiaro: nessuno di questi Paesi ha le competenze per sviluppare, da solo, le risorse energetiche di cui è dotato, in parte per la limitata esperienza, come per Cipro e Israele, o per la sua inefficiente struttura, come nel caso dell’Egitto. Attrarre però compagnie e investimenti stranieri richiede una stabilità che oggi è minacciata tanto dai conflitti esterni, che da problematiche domestiche. Israele, ad esempio, impiegherà almeno nove anni per passare dalla scoperta di Leviathan al suo sfruttamento, più del doppio rispetto al Tamar. Un problema nato dalla ristrutturazione del settore voluta a partire dal 2010 dal governo di Benjamin Netanyahu per ridurre i profitti delle compagnie di idrocarburi ed evitare un monopolio del duo Noble-Delek, autore della scoperta di Leviathan, il cui ritardo potrebbe costare al Paese fino a 26 miliardi di dollari. L’Egitto, invece, affronta una domanda domestica senza controllo che potrebbe assorbire le proprie risorse e impedire un’esportazione utile sia alla sua economia, che ad attrarre ulteriori investimenti esteri. Crescita economica e demografica, maggiore consumo dovuto all’uso crescente di aria condizionata ed elettronica, e un sistema di sussidi pubblici per l’energia spesso fuori controllo hanno aumentato la domanda di energia del paese del 5,6% dal 2000 al 2012, con un +8,7% nel settore gas. Mediterraneo orientale, alla ricerca di una governance energetica Nonostante alcune aperture sul fronte cipriota e il miglioramento delle relazioni tra Turchia e partner regionali come Israele ed Egitto, la creazione di meccanismi di cooperazione regionale totalmente inclusivi appare ancora difficile. Alternative parziali, che non comprendano cioè tutti i Paesi del Mediterraneo orientale, potrebbero però funzionare, come dimostrato dal recente accordo tra il Cairo e Nicosia, o sulla convergenza tra Israele, Cipro e Grecia sul gasdotto East Med. Un’infrastruttura che potrebbe già prendere il via dopo il trilaterale tra Alexis Tsipras, il presidente cipriota Nicos Anastasiades e Netanyahu il prossimo dicembre. Ad oggi, la composizione di queste collaborazioni sub-regionali è però legata a doppio filo alla destinazione finale di questo gas. La partecipazione di Cipro di fatto escluderebbe la Turchia come mercato di riferimento - nonostante le ottime prospettive di domanda e l’interesse di Ankara a diversificare rispetto al gas russo - favorendo in alternativa la “via europea”. L’Egitto potrebbe invece agire da catalizzatore più neutrale per la cooperazione regionale, visti i suoi rapporti generalmente positivi con i Paesi dell’area: resta però aperto il nodo di Israele, con il quale i vicini arabi commerciano con difficoltà, ma che soprattutto vede con sospetto la totale dipendenza da infrastrutture egiziane per le sue esportazioni. In generale, una governance energetica regionale mutualmente vantaggiosa potrebbe contribuire a stemperare tensioni geopolitiche vecchie di decenni. Potrebbe anche essere però che la scoperta di maggiori risorse, e in aree contese, scaturiranno ulteriori conflitti per la loro attribuzione, di fatto prevenendone lo sviluppo, come nel Mar Cinese Meridionale per i continui scontri tra Vietnam e Cina. Una sfida tra una ratio politica e una economica, su cui forse solo il tempo potrà dare una risposta. Lorenzo Colantoni è Junior Fellow presso lo IAI –Twitter@colanlo. Nicolò Sartori è responsabile di ricerca e coordinatore del Programma Energia dello IAI. |
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