Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

Cerca nel blog

giovedì 28 luglio 2016

Economia Europea

Aiuti alle banche
Bail-in: legittimo, ma non obbligatorio
Gian Luigi Tosato
26/07/2016
 più piccolopiù grande
In una recentissima sentenza (del 19 luglio scorso, in causa C-526/14), la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) ha fornito alcune importanti precisazioni in tema di bail-in. Lo ha fatto in riferimento a misure di salvataggio a favore di talune banche slovene e avuto riguardo alla Comunicazione della Commissione sugli aiuti al settore bancario del 2013.

Corte innovativa
Come si sa, il bail-in ha fatto la sua prima comparsa in questa Comunicazione, nella forma più contenuta del burden-sharing (condivisione del rischio): vale a dire, unbail-in che limita ad azionisti e creditori subordinati il coinvolgimento nelle perdite di una banca, prima che subentri l’aiuto statale.

La Corte ha fissato tre punti: il burden-sharing non è obbligatorio, deve ritenersi però legittimo e può essere applicato retroattivamente.
Sul primo punto, la sentenza precisa che la Comunicazione del 2013 è vincolante per la Commissione, ma non per gli Stati membri. La Commissione è tenuta a considerare compatibili con il Trattato aiuti conformi ai requisiti da essa posti nella Comunicazione. Ma gli Stati membri hanno la facoltà di notificare misure che non soddisfano questi requisiti e la Commissione deve motivare un eventuale rifiuto di autorizzarli.
È una precisazione innovativa rispetto a decisioni precedenti. In passato, la Corte aveva attribuito alle Comunicazioni della Commissione una portata vincolante nei due sensi: non solo nel senso di obbligarla ad autorizzare aiuti conformi a tali Comunicazioni, ma anche di rigettare misure che non lo fossero.

Questo sviluppo giurisprudenziale, in parte anticipato da una sentenza di poco precedente (dell’8 marzo scorso, in causa C-431/14), va accolto senz’altro con favore.
In effetti, è la stessa Comunicazione a precisare che il burden-sharing si applica “di norma” e “in linea di principio”; e che è possibile derogarvi se mette “in pericolo la stabilità finanziaria” o determina “risultati sproporzionati”. Non solo: è sempre possibile appellarsi direttamente all’art. 107.3.b del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, Tfue (“grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”); e chiedere quindi un’esenzione anche per ragioni diverse da quelle previste nella Comunicazione.

Resta fermo, peraltro, che l’esclusione del burden-sharing costituisce un’eccezione alla regola; come tale, va interpretata restrittivamente, e da ammettere solo in presenza di circostanze propriamente eccezionali.

Legittimità del burden sharing
Secondo punto della sentenza in esame: il requisito del burden-sharing deve considerarsi legittimo. Per la verità, questo requisito non è esplicitamente richiesto dal Trattato. Ma la Corte lo ritiene conforme allo scopo perseguito dall’art. 107.3.b, essenzialmente per due ragioni: perché consente di limitare l’aiuto al minimo necessario, riducendo in tal modo il pregiudizio alla concorrenza; e perché scoraggia l’“azzardo morale” di decisioni rischiose le cui conseguenze negative finiscono a carico della collettività.
La Corte esclude, d’altra parte, indebite lesioni del diritto di proprietà: è normale che gli azionisti concorrano a ripianare le perdite (e conseguente carenza di capitale) di una banca in crisi. Quanto ai creditori subordinati, la Corte osserva che i loro titoli presentano caratteristiche sia delle obbligazioni sia degli strumenti di partecipazione al capitale. Un loro coinvolgimento nel burden-sharing, peraltro in seconda battuta, risulta pertanto giustificato.

Anche questa posizione della Corte è da condividere, a condizione tuttavia che la legittimità del burden-sharing si accompagni ad elementi di flessibilità e proporzionalità.

Non par dubbio che la condivisione degli oneri da parte di azionisti e creditori subordinati appaia in principio conforme alle finalità della disciplina sugli aiuti. Valgono in primo luogo le motivazioni della Corte in tema di riduzione delle distorsioni alla concorrenza e freno agli azzardi morali. Occorre, però, anche pensare al legame perverso fra debiti bancari e debiti sovrani. Il burden-sharing serve a evitare (o quantomeno limitare) il trasferimento sulla collettività di perdite maturate in ambito privato.

La legittimità del burden-sharing è tuttavia condizionata agli elementi di flessibilità segnalati in precedenza, e cioè alla possibilità di deroghe in presenza di circostanze eccezionali. Deve inoltre attuarsi nel rigoroso rispetto del principio di proporzionalità. Questo significa che il ricorso al burden-sharing deve risultare necessario, in assenza di altri rimedi per supplire alle carenze di capitale; e non deve eccedere quanto richiesto per conseguire tale risultato.

Retroattività
Il terzo punto della sentenza riguarda la retro-attività. Per la Corte non vi è lesione del principio di tutela del legittimo affidamento, se il burden-sharing viene applicato in via retroattiva. È vero che prima della Comunicazione del 2013 questo requisito non era stabilito. Ma – osserva la Corte - nessuna assicurazione è stata data da una competente autorità circa la conservazione della situazione esistente. Una modifica è dunque sempre ipotizzabile, specie in tema di aiuti, di riflesso alle variazioni del contesto economico.

Anche questa posizione della Corte è condivisibile, ma nel quadro degli elementi di flessibilità e proporzionalità sopra ricordati. Rientrano nella discrezionalità della Commissione eventuali distinzioni fra investitori. I titoli subordinati, non essendo pienamente assimilabili alle partecipazioni azionarie, potrebbero legittimare un loro trattamento differenziato. E, anche nell’ambito dei creditori subordinati, si può giustificare una gradazione fra investitori professionali e piccoli risparmiatori. Non appare quindi censurabile la speciale tutela di piccoli risparmiatori apprestata dal nostro governo a seguito del noto salvataggio di quattro banche (legge di stabilità 2016 e d.l.59/2016). Né risulta, allo stato, che la Commissione abbia sollevato obiezioni al riguardo.

Un’ultima considerazione: nella sentenza in esame, la Corte si è pronunciata sul bail-in, versione burden-sharing della Comunicazione del 2013; entro certi limiti, le sue valutazioni dovrebbero valere anche per il più esteso (e più esplicitamente denominato) bail-in di cui alla direttiva del 2014 sul risanamento e risoluzione degli enti creditizi (la cosiddetta direttiva Brrd).

Gian Luigi Tosato è Professore Emerito di Diritto dell’Unione Europea, Università “Sapienza” di Roma.

Nessun commento: