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martedì 12 maggio 2015

Dalla Mesopotamia:la distruzione del passato

Rifiuto della storia
La vera guerra di civiltà è contro la memoria
Giuseppe Cucchi
08/05/2015
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Durante la seconda guerra mondiale, la Repubblica Sociale emise una serie, una bella serie, di francobolli che rappresentavano i monumenti italiani colpiti e totalmente o parzialmente distrutti dai bombardamenti alleati.

"Hostium rabies diruit", lo ha distrutto la rabbia del nemico, indicava la dicitura stampata sotto l'immagine; e mentre guardavi l'Abbazia di Montecassino o la Loggia della Mercanzia di Bologna eri travolto dall'emozione di riscontrare come cose insostituibili se ne fossero andate per sempre e con esse una parte della tua cultura, della tua storia, delle tue radici.

Ma quella era un’operazione propagandistica che sfruttava l’impatto degli importanti “danni collaterali” delle operazioni militari alleate, che non erano certo dirette a distruggere il patrimonio culturale e artistico italiano.

Ora i servizi televisivi girati in Siria ed in Mesopotamia o messi in circolazione dall'efficace macchina mediatica dell'Isis ci rimandano invece le immagini di come quella che fu una delle grandi culle della civiltà venga sconciata da devastazioni mirate, volute e condotte con inaudita ferocia da coloro che, dopo aver colpito l'uomo che non condivide le loro idee, si battono adesso anche contro un passato che non rispecchia il loro credo religioso.

La distruzione del passato
Spariscono così le meraviglie che ci avevano lasciato Sumeri, Accadi, Assiri, Babilonesi e decine e decine di altri popoli, mentre si vanificano duecentocinquanta anni di sforzi e di campagne archeologiche, di pazienti certosini restauri mirati a restituire alla umanità la bellezza del passato.

Si inorridisce alla vista delle stele, dei tori alati, delle statue ellenistiche scaraventate giù dai piedistalli, fatte a pezzi da impietose mazze ferrate, aggredite con le seghe elettriche.

Si trema al pensiero che queste distruzioni si sommano a quelle provocate dalla guerra, altrettanto atroci, per cui Aleppo, sogno cosmopolita levantino con il più bel suk del Medio Oriente, la cittadella su cui trovò rifugio padre Abramo, sulla via che conduceva da Ur dei Caldei alla Palestina, il quartiere armeno, l'imbalsamato e storico Hotel Baron: tutto ormai ridotto ad un cumulo di rovine.

Più o meno la fine che ha fatto il vicino Crack dei Cavalieri, fino a ieri la più impressionante e meglio conservata testimonianza della presenza dei Templari in Terra Santa. E Palmira, l'oasi di Zenobia, la sosta delle carovane del deserto, che fine ha fatto Palmira? È già stata distrutta o lo sarà magari domani, condannata a scontare a colpa di essere stata edificata da mani considerate idolatre?

Vedendo quanto avviene in questo centro della memoria e della civilizzazione si è travolti da una profonda tristezza. È questo ciò che dobbiamo aspettarci dai protagonisti della storia nell'anno 2015?

Un fanatismo arcaico
La tristezza diviene ancora più profonda allorché si considera come sia nostra almeno una parte della responsabilità di questi orrori quotidiani. Come abbiamo fatto a non accorgerci del mostro che stava crescendo lasciandolo libero di prosperare sino al punto di poter disporre, se non di un vero e proprio stato sovrano, perlomeno di una effettiva condizione di controllo su di un ampio territorio che egli ora riempie di vittime immolate come animali sgozzati su antichi altari e di vecchie pietre violentate?

Eppure sappiamo a quali estremi può portare il fanatismo religioso, specie se costruito su basi immutabilmente arcaiche. Ci sono volute centinaia di anni di guerre atroci perché noi stessi potessimo finalmente liberarci dalla tentazione di usare Dio come una bandiera e come la giustificazione delle peggiori atrocità.

Ce la prendevamo in genere più con gli esseri umani che con i monumenti, ma non sono certamente mancate del tutto le distruzioni, almeno nei primi secoli del cristianesimo trionfante.

I templi egizi portano ancora le tracce degli scalpelli degli zeloti che volevano cancellare i falsi dei ed ancora ci si chiede se l'incendio e la distruzione della grande Biblioteca di Alessandria non siano stati dovuti a mani cristiane, intenzionate a purgare il mondo da una scienza impura.

In tempi più recenti, a rinfrescarci la memoria su quanto poteva succedere quando l’arcaismo fondamentalista rimane privo di un efficace controllo, aveva provveduto l'episodio dei Budda di Bamiyan, dinamitati dai talibani in Afghanistan.

Neanche la - fortunatamente parziale - distruzione dell'insostituibile patrimonio librario medioevale di Timbuktu, la mitica città del Sahara dai palazzi e dalle moschee di fango, ci aveva allarmati a sufficienza, forse perché la reazione franco/ciadiana all'occupazione del centro abitato da parte di forze qaidiste era stata tanto rapida ed efficace da impedire che venissero provocati danni maggiori.

Né aveva risvegliato in tempo la nostra coscienza la locuzione Boko Haram, con cui si sono auto definiti gli estremisti islamici della Nigeria del Nord, che sancisce come "la cultura occidentale è proibita".

L’inerzia diviene complicità
Siamo rimasti inerti ed abbiamo ceduto tempo e spazio a quelle forze negative che ora vediamo all'opera, affaccendate a cancellare , a distruggere, a far sparire, come fanno coloro che pretendono di riscrivere la storia, trasformandola in un falso ad usum delphini.

La nostra responsabilità diviene più grave con la constatazione di come, fra gli iconoclasti del ventunesimo secolo, siano numerosi anche figli di questa nostra Europa, che non siamo stati capaci di educare ai valori profondi di una cultura che è anche accettazione del passato, orgoglio delle proprie multiformi radici e rispetto per la bellezza delle opere dell'uomo che sono - in questo caso e oltre ogni retorica - reale riflesso in questo mondo della immagine di Dio.

Lasciato agire indisturbato, questo cancro potrebbe cancellare progressivamente l'aspetto visibile delle nostre radici, trasformando un passato concreto ed una storia tangibile in qualcosa di astratto , fumoso, quasi leggendario.

Già adesso , a distanza di meno di cento anni, abbiamo persone e Stati interi capaci di negare i genocidi del ventesimo secolo. Cosa accadrà della "terra fra i due fiumi" e della influenza che essa ha esercitato sulle culture dei millenni successivi allorché l' ultimo toro alato sarà stato distrutto dalla motosega e l'ultima statua ellenistica sbriciolata in polvere di marmo per fare spazio ad una presunta eternità islamica?

Il tempo è sempre stato un fattore importante dell’azione , forse il più importante. In questo caso il tempo manca, l'urgenza è massima. Più attendiamo e più rovinosa ed irreversibile si farà la distruzione. Ci sono momenti in cui ci si può concedere il lusso di riflettere e di discutere prendendo tempo. Ce ne sono altri invece in cui la tempestività fa premio. Noi stiamo vivendo uno di quelli.

Giuseppe Cucchi, Generale, è stato Rappresentante militare permanente presso la Nato e l’Ue e Consigliere militare del Presidente del Consiglio dei Ministri.
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