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mercoledì 14 gennaio 2015

Cuba e Stati Uniti: il Vaticano protagonista della storica svolta

Ripresa del dialogo Stati Uniti-Cuba
Vaticano, apostolo del disgelo 
Aldo Maria Valli
18/12/2014
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Sicuramente è stato un bel regalo di compleanno per Papa Francesco.

La svolta nelle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti è anche il frutto di un lavoro diplomatico che la Santa Sede ha svolto in silenzio, ma con grande determinazione, sia con i messaggi di Francesco tanto al presidente statunitense Barack Obama che al suo omonimo cubano Raul Castro, sia ospitando incontri tra le parti in Vaticano, avvenuti soprattutto l’autunno scorso, lontano da occhi indiscreti, mentre tutti i riflettori dei mass media erano puntati sul sinodo dei vescovi dedicato alla famiglia.

Diplomazia vaticana
Duplice l’obiettivo della Santa Sede: da un lato umanitario, per dare un contributo al miglioramento della qualità di vita del popolo cubano, dall’altro geopolitico, per risolvere e superare una grave situazione di tensione.

Voltare pagina, non restare prigionieri del passato: questo l’imperativo, secondo una linea già chiara durante il pontificato di Giovanni Paolo II, che nel 1998 fu il primo papa a visitare a Cuba dopo la rivoluzione, e di Benedetto XVI, che visitò l’isola nel 2012, chiedendo tra le altre cose la liberazione di Alan Gross, contractor dell’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid). Dopo cinque anni di prigionia a Cuba, Gross è tornato ieri in libertà.

Poker negoziale
In questo lavoro papa Francesco ha potuto usufruire dell’appoggio decisivo di cinque persone che conoscono molto bene la realtà cubana. La prima è il segretario di stato monsignor Pietro Parolin, già nunzio in Venezuela, esperto di relazioni con Cuba (che ha ricevuto nei giorni scorsi il suo omologo statunitense, John Kerry, proprio per uno scambio di informazioni sugli ultimi dettagli della svolta).

La seconda persona perno della diplomazia vaticana è il cardinale Beniamino Stella che oggi ha un incarico nella curia romana, ma che in passato è stato nunzio a Cuba. Stella è un consigliere molto ascoltato da Francesco.

Decisivi anche monsignor Angelo Becciu, sostituto alla segreteria di Stato, nunzio a Cuba durante il pontificato di Benedetto XVI e organizzatore della visita di papa Ratzinger nel 2012 e l’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, amico di Bergoglio, uno dei grandi elettori del Papa argentino e suo amico stimato.

Fu proprio quest’ultimo a rendere noto al mondo il discorso tenuto da Bergoglio durante le congregazioni prima del conclave, discorso che di fatto aprì all’arcivescovo di Buenos Aires le porte del pontificato.

Non si può poi dimenticare il ruolo giocato dall’attuale nunzio a Cuba, il vescovo Bruno Munafò che anche di recente non ha esitato a denunciare le condizioni di povertà in cui vivono tanti cubani e a ribadire che la Chiesa vuole essere dalla parte dei più svantaggiati, a difesa della dignità umana.

“Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”
Francesco, come già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ha raccolto il grido di dolore della popolazione. L’obiettivo è la fine dell’embargo commerciale, ma non c’è solo questo.

All’insegna dello slogan che Wojtyla lanciò nel 1998, quando incontrò Fidel Castro (“Che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”), la Santa Sede ritiene che sia di fondamentale importanza accompagnare il graduale processo verso la libertà e la fine dell’isolamento.

Cuba può diventare una sorta di laboratorio politico, economico e sociale, di grande rilevanza anche per altri paesi, nel quale sperimentare modelli nuovi.

E da questo punto di vista Francesco ha le idee chiare. Aprirsi va bene, ma il “dio denaro” non deve diventare il protagonista assoluto e l’identità popolare non va in alcun modo mortificata. Ecco perché nella nuova realtà la Chiesa cattolica è intenzionata a giocare un ruolo per niente marginale, specie formando le nuove generazioni.

Aldo Maria Valli è vaticanista di Rai1.
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