Pacchetto clima-energia 2030 Ue, poche ambizioni per il futuro dell’ambiente Marco Siddi 05/12/2014 |
Guarda al 2030 l’Unione europea (Ue), raggiungendo un accordo sugli obiettivi climatici ed energetici del futuro.
Il ‘pacchetto clima-energia 2030’, come viene riassuntivamente chiamato l’insieme degli obiettivi, è il biglietto da visita con cui l’Ue si presenterà alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Parigi a novembre 2015.
L’obiettivo sarà quello di persuadere gli altri paesi industrializzati a ridurre le emissioni di CO₂. L’accordo, raggiunto lo scorso ottobre, prevede una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 40% rispetto al 1990, la produzione di almeno il 27% dell’energia da fonti rinnovabili e un aumento dell’efficienza energetica del 27%.
I leader europei hanno affermato che gli obiettivi sono ambiziosi e che rafforzeranno la posizione dell’Ue in vista del summit di Parigi.
Taglio delle emissioni di CO₂ poco coraggioso
Tuttavia, a una più attenta analisi, questo ottimismo appare ingiustificato. Solo l’obiettivo riguardante la riduzione delle emissioni di CO₂ è stato ulteriormente suddiviso in obiettivi vincolanti a livello nazionale.
Per quanto riguarda le energie rinnovabili è stato fissato solamente un livello Ue e non è chiaro come verrà tradotto in obiettivi vincolanti per ciascuno stato membro. Inoltre, l’obiettivo per l’efficienza energetica non è vincolante e gli stati membri potranno ignorarlo senza rischiare sanzioni.
Se si osservano i numeri, nessuno degli obiettivi del pacchetto 2030 sembra particolarmente ambizioso.
Come evidenziato da uno studio dell’Istituto di studi energetici dell’Università di Oxford, l’Ue riuscirebbe a tagliare le sue emissioni di CO₂ del 32% entro il 2030 semplicemente lasciando in atto le politiche attuali, senza ulteriori sforzi.
Per questo, associazioni ambientaliste come Friends of the Earth (Amici della Terra) sostengono che l’obiettivo del 40% è troppo basso e che l’Ue dovrebbe puntare a un obiettivo ben più ambizioso, intorno al 60%.
Energia da fonti rinnovabili
Allo stesso modo, l’obiettivo del 27% per le rinnovabili non è un passo avanti significativo, né rispetto a quello del 20% già stabilito per il 2020, né in rapporto alla produzione energetica attuale derivante dalle rinnovabili (intorno al 14% del totale).
Puntare su obiettivi più ambiziosi avrebbe prodotto benefici a livello strategico e geopolitico per la Ue, contribuendo a ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili dalla Russia - una delle preoccupazioni principali per Bruxelles nel contesto della crisi ucraina.
L’aspetto forse più controverso dei recenti accordi a livello europeo riguarda la necessità di un voto unanime di tutti i 28 paesi membri per l’introduzione di nuove leggi in materia di politiche climatiche ed energetiche.
Questo significa che stati come il Regno Unito e la Polonia, che si sono strenuamente opposti a obiettivi più ambiziosi e vincolanti per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, avranno diritto di veto sulla nuova legislazione.
Verso Parigi 2015
Dopo essere stata per anni la potenza guida nelle politiche globali volte a contrastare il cambiamento climatico, l’Ue ora rischia di essere relegata a un ruolo marginale. Alla conferenza Onu sul clima a Copenaghen, nel 2009, i diplomatici cinesi e statunitensi decisero l’esito del summit in negoziati bilaterali, ignorando la posizione europea.
Gli ultimi eventi sembrano indicare che lo stesso scenario potrebbe ripetersi alla conferenza di Parigi nel 2015. A metà novembre, durante il summit della Cooperazione economica asiatico-pacifica (APEC), Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo in materia di politiche climatiche in vista del summit di Parigi.
Per la prima volta dagli anni ’90, gli Stati Uniti si impegneranno a ridurre le emissioni di CO₂ (del 26-28%, rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025).
Il presidente statunitense Barack Obama ha persuaso la Cina - il principale produttore globale di CO₂ - a ridurre le proprie emissioni a partire dal 2030. Pechino si è anche impegnata a coprire il 20% del suo consumo energetico utilizzando fonti non fossili (rinnovabili e nucleare) entro il 2030.
Alla luce di questi sviluppi, l’Ue può mantenere un ruolo di primo piano nelle politiche climatiche globali solo se si impegna a raggiungere obiettivi più ambiziosi di quelli annunciati nel pacchetto 2030.
Un impegno più lungimirante rafforzerebbe la posizione negoziale dell’Ue al summit di Parigi, dove i leader europei dovrebbero provare a persuadere i colleghi statunitensi e cinesi ad accettare in maniera vincolante sia gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO₂, sia i trasferimenti di tecnologia e finanziamenti per le politiche climatiche nei paesi in via di sviluppo.
Marco Siddi è ricercatore presso l’istituto CRENoS a Cagliari e ricercatore associato all’Istituto di Politiche Europee a Berlino.
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Il ‘pacchetto clima-energia 2030’, come viene riassuntivamente chiamato l’insieme degli obiettivi, è il biglietto da visita con cui l’Ue si presenterà alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Parigi a novembre 2015.
L’obiettivo sarà quello di persuadere gli altri paesi industrializzati a ridurre le emissioni di CO₂. L’accordo, raggiunto lo scorso ottobre, prevede una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 40% rispetto al 1990, la produzione di almeno il 27% dell’energia da fonti rinnovabili e un aumento dell’efficienza energetica del 27%.
I leader europei hanno affermato che gli obiettivi sono ambiziosi e che rafforzeranno la posizione dell’Ue in vista del summit di Parigi.
Taglio delle emissioni di CO₂ poco coraggioso
Tuttavia, a una più attenta analisi, questo ottimismo appare ingiustificato. Solo l’obiettivo riguardante la riduzione delle emissioni di CO₂ è stato ulteriormente suddiviso in obiettivi vincolanti a livello nazionale.
Per quanto riguarda le energie rinnovabili è stato fissato solamente un livello Ue e non è chiaro come verrà tradotto in obiettivi vincolanti per ciascuno stato membro. Inoltre, l’obiettivo per l’efficienza energetica non è vincolante e gli stati membri potranno ignorarlo senza rischiare sanzioni.
Se si osservano i numeri, nessuno degli obiettivi del pacchetto 2030 sembra particolarmente ambizioso.
Come evidenziato da uno studio dell’Istituto di studi energetici dell’Università di Oxford, l’Ue riuscirebbe a tagliare le sue emissioni di CO₂ del 32% entro il 2030 semplicemente lasciando in atto le politiche attuali, senza ulteriori sforzi.
Per questo, associazioni ambientaliste come Friends of the Earth (Amici della Terra) sostengono che l’obiettivo del 40% è troppo basso e che l’Ue dovrebbe puntare a un obiettivo ben più ambizioso, intorno al 60%.
Energia da fonti rinnovabili
Allo stesso modo, l’obiettivo del 27% per le rinnovabili non è un passo avanti significativo, né rispetto a quello del 20% già stabilito per il 2020, né in rapporto alla produzione energetica attuale derivante dalle rinnovabili (intorno al 14% del totale).
Puntare su obiettivi più ambiziosi avrebbe prodotto benefici a livello strategico e geopolitico per la Ue, contribuendo a ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili dalla Russia - una delle preoccupazioni principali per Bruxelles nel contesto della crisi ucraina.
L’aspetto forse più controverso dei recenti accordi a livello europeo riguarda la necessità di un voto unanime di tutti i 28 paesi membri per l’introduzione di nuove leggi in materia di politiche climatiche ed energetiche.
Questo significa che stati come il Regno Unito e la Polonia, che si sono strenuamente opposti a obiettivi più ambiziosi e vincolanti per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, avranno diritto di veto sulla nuova legislazione.
Verso Parigi 2015
Dopo essere stata per anni la potenza guida nelle politiche globali volte a contrastare il cambiamento climatico, l’Ue ora rischia di essere relegata a un ruolo marginale. Alla conferenza Onu sul clima a Copenaghen, nel 2009, i diplomatici cinesi e statunitensi decisero l’esito del summit in negoziati bilaterali, ignorando la posizione europea.
Gli ultimi eventi sembrano indicare che lo stesso scenario potrebbe ripetersi alla conferenza di Parigi nel 2015. A metà novembre, durante il summit della Cooperazione economica asiatico-pacifica (APEC), Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo in materia di politiche climatiche in vista del summit di Parigi.
Per la prima volta dagli anni ’90, gli Stati Uniti si impegneranno a ridurre le emissioni di CO₂ (del 26-28%, rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025).
Il presidente statunitense Barack Obama ha persuaso la Cina - il principale produttore globale di CO₂ - a ridurre le proprie emissioni a partire dal 2030. Pechino si è anche impegnata a coprire il 20% del suo consumo energetico utilizzando fonti non fossili (rinnovabili e nucleare) entro il 2030.
Alla luce di questi sviluppi, l’Ue può mantenere un ruolo di primo piano nelle politiche climatiche globali solo se si impegna a raggiungere obiettivi più ambiziosi di quelli annunciati nel pacchetto 2030.
Un impegno più lungimirante rafforzerebbe la posizione negoziale dell’Ue al summit di Parigi, dove i leader europei dovrebbero provare a persuadere i colleghi statunitensi e cinesi ad accettare in maniera vincolante sia gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO₂, sia i trasferimenti di tecnologia e finanziamenti per le politiche climatiche nei paesi in via di sviluppo.
Marco Siddi è ricercatore presso l’istituto CRENoS a Cagliari e ricercatore associato all’Istituto di Politiche Europee a Berlino.
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