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domenica 24 marzo 2013

Un problema da risolvere


BAMBINI-SOLDATO: UN’OFFESA PER L’UMANITÀ
Grazia Neglia

Le guerre distruggono molto più delle nostre case, ci costringono ad una vita di lotte. Siamo lasciati a dover trovare modi per sopravvivere – a trovare cibo, acqua e nuove case.
Ragazzo, Sierra Leone

     La violenza bellica ha da sempre contraddistinto ogni civiltà; nel corso dei secoli l’uomo ha istituito una serie di condizioni che delimitassero la pratica della violenza bellica come l’esclusione dei bambini dal coinvolgimento diretto nelle guerre.
Nei secoli scorsi migliaia di adolescenti hanno calpestato i campi di battaglia, ma è in questi ultimi anni che il coinvolgimento in massa dei bambini ha scosso il mondo: la loro crescente partecipazione è determinata dal fatto che la natura stessa della guerra è mutata: non si combattono più conflitti internazionali tra eserciti regolari degli Stati; il teatro delle ostilità si è spostato nelle regioni extra-europee, buona parte dei conflitti ha interessato, e continua tuttora ad interessare paesi in via di sviluppo; le guerre di decolonizzazione hanno lasciato il posto a confronti di lunga durata tra truppe regolari, gruppi di opposizione armata e gruppi di miliziani paramilitari; ma soprattutto sono aumentati gli scontri armati determinati da ragioni etniche, religiose e sociali.
     L’implicazione dei bambini nelle azioni belliche non è limitato alla loro inclusione tra gli obiettivi strategici: bambini e adolescenti dopo essere stati sottoposti a violenze e condizionamenti di ogni tipo vengono spesso impiegati in prima persona nelle operazioni militari[1].
     Secondo l’art. 1 della Convenzione sui diritti dell’Infanzia del 1989 “si intende per fanciullo ogni essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”[2].
     In tutto il mondo sono più di 300.000 i ragazzi di età inferiore a diciott’anni ad essere attivamente coinvolti nei conflitti armati. Nell’ultimo decennio centinaia di migliaia di bambini hanno preso parte ad operazioni militari: reclutati come spie, facchini, cuochi, schiavi sessuali a disposizione dei combattenti; la violenza sessuale costituisce una vera e propria arma strategica del conflitto: bambini, ma soprattutto bambine sono vittime di rapimenti finalizzati allo sfruttamento e alla violenza sessuale negli harem presso gli eserciti[3]. Quando i bambini restano uccisi o feriti o semplicemente cominciano a diventare grandi, vengono subito sostituiti da altri bambini.
     Tra le fila dei combattenti finiscono soprattutto bambini di strada, orfani ed anche bambini appartenenti a minoranze etniche[4]. Le cause che trasformano i bambini in soldati sono molteplici: la povertà è uno dei motivi più comuni, molti bambini, infatti, sono privi di mezzi di sostentamento e si uniscono alle milizie come “volontari”; altri hanno perso le famiglie durante le operazioni militari e finiscono per identificare nell’esercito un sostitutivo della famiglia; altri vengono rapiti e costretti ad arruolarsi per proteggere le proprie famiglie. Spesso il reclutamento forzato è usato come mezzo di terrore e ricatto nei confronti dei civili. I bambini sono ingaggiati dai gruppi armati anche perché sono facilmente manipolabili, non sono pienamente consci dei pericoli e non hanno chiara la nozione di bene e di male[5].
     Eserciti nazionali e milizie irregolari reclutano minorenni violando la legislazione vigente  sull’età minima di arruolamento. È proprio per cercare di arginare questo problema che la Comunità Internazionale, attraverso i due Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 1977, la Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989, lo Statuto della Corte Penale Internazionale del 1998, la Convenzione 182 sulle peggiori forme di lavoro minorile del 1999, il Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti del Fanciullo concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati del 2000, ha stabilito che “gli Stati parti adottano ogni misura possibile a livello pratico per vigilare che le persone che non hanno raggiunto l’età di 15 anni non partecipino direttamente alle ostilità, in particolare astenendosi dal reclutarli nelle rispettive forze armate. Nel caso in cui reclutassero persone aventi più di 15 anni ma meno di 18, le parti in conflitto procureranno di dare la precedenza a quelle di maggiore età”[6].
     In molte parti del mondo, la registrazione al momento della nascita è inadeguata o inesistente: in tutto il mondo circa 40 milioni di bambini non vengono registrati ogni anno, ciò consente alle milizie di falsificare deliberatamente i dati anagrafici.
     Una volta arruolati, i bambini sono soggetti ad una spietata disciplina militare di guerra che prevede maltrattamenti di ogni sorta: punizioni fisiche, abusi sessuali come iniziazione, soprattutto nei confronti delle bambine, e l’esecuzione sommaria per i disertori; somministrazione di alcolici, droghe, latte misto a polvere da sparo servono per privare i bambini di qualsiasi resistenza, renderli totalmente dipendenti ai gruppi che li hanno reclutati; a tutto ciò si aggiunge un pesante condizionamento psicologico e indottrinamento politico, militare e religioso[7].
     I bambini-soldato, come i loro commilitoni adulti, sono sottoposti allo stress del combattimento: svolgono funzioni di supporto che spesso comportano gravi rischi, lavorano come facchini costretti a trasportare pesi superiori ai 60 Kg come munizioni o soldati feriti. Alle bambine competono gli stessi incarichi dei bambini,  a cui si aggiungono quello della cucina e la cura dei feriti. Bambini e bambine sono vittime di violenze sessuali[8]. Le bambine di età inferiore ai 10 anni sono costrette dai capi militari a sposarsi; spesso le bambine a causa delle violenze subite contraggono malattie come HIV/AIDS o restano incinte[9].    
     Poiché esposti ad una spietata violenza, i bambini diventano insensibili alla sofferenza: in molti Paesi essi sono costretti a commettere atrocità contro le proprie famiglie e comunità e a prendere parte a massacri[10].
     Migliaia di bambini ogni anno vengono privati della libertà a causa del loro coinvolgimento, volontario o coercitivo, nei conflitti armati. Nei conflitti armati internazionali i bambini con status di prigionieri di guerra sono soggetti alle disposizioni previste dalla III Convenzione di Ginevra e non possono essere perseguiti per aver preso parte alle ostilità. Nei conflitti armati non internazionali ai bambini è accordata la protezione in base all’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e al II Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni. Gli adulti che hanno forzato o permesso la partecipazione dei bambini alle operazioni militari sono responsabili del loro reclutamento. I bambini-soldato come qualunque combattente possono essere ritenuti responsabili per le violazioni del diritto internazionale umanitario. I due Protocolli Aggiuntivi del 1977 proibiscono la condanna alla pena di morte per i ragazzi di età inferiore a diciott’anni al momento in cui il reato è stato commesso. Devono inoltre essere adottate misure speciali per tutelare i bambini detenuti: i bambini dovrebbero essere separati dagli adulti; dovrebbero essere trasferiti in adeguati istituti minorili; dovrebbero avere regolari incontri con i familiari; dovrebbero beneficiare di cure mediche, cibo e igiene adeguati; dovrebbero trascorrere buona parte del tempo in luoghi aperti; dovrebbero poter continuare la propria istruzione[11].
     Secondo l’ultimo rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, relativo al coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati è emerso che circa 250.000 bambini in tutto il mondo vengono reclutati per combattere nei conflitti armati. Il movimento dei gruppi armati lungo le frontiere per reclutare i bambini che vivono nei campi per i rifugiati continua ad essere allarmante. Ragazze, e qualche volta ragazzi, diventano vittime di abusi sessuali e stupri durante i conflitti armati: sebbene la perpetrazione della violenza sessuale sia proibita dal diritto internazionale umanitario e costituisca una violazione dei diritti umani.
     In Darfur, lo stupro è un metodo di guerra usato dai gruppi armati per umiliare deliberatamente le ragazze. I bambini detenuti sono soggetti a trattamenti inumani, torture, interrogatori forzati, privazione di acqua e cibo; ancora oggi i bambini vengono arruolati dai gruppi armati presenti sul territorio.
     In Afghanistan i bambini continuano ad essere le vittime del conflitto tra le forze non governative e le forze nazionali ed internazionali: i bambini sono impiegati durante gli attacchi, in alcuni casi come scudi umani da parte dei Talebani, i quali hanno reclutato ed sfruttato bambini nelle loro attività come per esempio attacchi suicidi. Nel febbraio 2007 un ragazzo di età compresa tra i 12 e i 15 anni si è suicidato uccidendo una guardia e ferendo quattro civili, nel tentativo di irrompere nella stazione di polizia nella città di Khost; un ragazzo di 14 anni che indossava una cintura esplosiva è stato catturato mentre tentava di uccidere il governatore della provincia di Khost.
     Nella Repubblica Centrale Africana sono stati riportati numerosi casi di arruolamento di bambini da parte delle milizie. Un numero cospicuo di ragazzi tra i 14 e i 17 anni ha preso parte alle operazioni militari.
     Ad Haiti la situazione dei bambini nelle aree sottoposte all’influenza di gruppi armati continua ad essere critica: i bambini vengono impiegati per trasportare e nascondere armi, per prendere parte a rapimenti, per effettuare attacchi.
     In Iraq i bambini sono reclutati come combattenti da parte di gruppi armati non statali. Al-Qaida e i gruppi ad essa affiliati usano i bambini come esche negli attentanti suicidi: il 21 marzo 2007, due bambini furono impiegati per facilitare il passaggio di un’auto bomba ad un checkpoint delle Forze Multinazionali, l’auto è esplosa con i bambini all’interno, uccidendo cinque persone e ferendone sette[12].
     Nonostante gli sforzi compiuti in questi anni per cercare di arrestare il fenomeno, il reclutamento forzato dei bambini continua a preoccupare la Comunità Internazionale. In alcuni conflitti recenti, i bambini vengono arruolati in maniera spregiudicata perché costano relativamente poco, perché possono ricevere un’accurata istruzione all’uso della violenza e sono molto più disponibili, rispetto agli adulti, a commettere atrocità.
     In coerenza con la Convenzione sui diritti del Fanciullo, le Nazioni Unite hanno stabilito che l’età minima per l’impiego dei militari nelle operazione per il mantenimento della pace, sia di diciott’anni. Il segretario Generale delle Nazioni Unite, in una dichiarazione del 28 ottobre 1998, ha affermato che i contingenti nazionali impiegati nelle operazioni di peacekeeping dovrebbero essere composti da soldati che abbiano compiuto almeno il ventunesimo anno di età; tale provvedimento  deve servire alle forze armate e di polizia di tutto il mondo come esempio da seguire per ciò che concerne l’impiego del personale militare[13].
     È necessario adottare misure più efficaci per evitare il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati; misure che monitorino e rafforzino gli sforzi legali finalizzati a prevenire il reclutamento di ragazzi di età inferiore a diciott’anni, con l’introduzione o il ristabilimento di un sistema anagrafico affidabile, soprattutto tra i bambini sfollati o appartenenti a minoranze etniche; attraverso l’istruzione e la formazione professionale per i giovani[14].
    
    






[1] UNICEF, I bambini della guerra, Roma, 2000, pp. 25-35
[2] Convenzione sui Diritti del Fanciullo, art. 1
[3] UNICEF, op. cit.
[4] G. Machel, The Impact of War on Children, UNICEF, London, 2001, pp. 7-25
[5] ICRC, Child Soldiers, Geneva, 2003, pp. 3-15
[6] P. Verri, Diritto per la Pace e Diritto nella Guerra, I Protocollo Aggiuntivo, 1977, Protezione delle Vittime dei Conflitti Armati Internazionali, art. 77 para 2, Roma, 1980, pp. 437-484
[7] UNICEF, op. cit.
[8] G. Machel, op. cit.
[9] UNFPA, Will You Listen? Young Voices from Conflict Zones, 2007, pp. 4-21
[10] G. Machel, op. cit
[11] ICRC, op. cit.
[12] United Nations General Assembly, Security Council, Children and Armed Conflict, A/62/609-S/2007/757, 21 December 2007, pp. 1-39
[13] L. Bertozzi, I bambini soldato. Lo sfruttamento globale dell’infanzia, Emi, 2003, pp. 117-146
[14] G. Machel, op. cit.

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