BAMBINI-SOLDATO: UN’OFFESA PER L’UMANITÀ
Grazia Neglia
Le guerre distruggono molto più delle nostre case, ci costringono ad
una vita di lotte. Siamo lasciati a dover trovare modi per sopravvivere – a
trovare cibo, acqua e nuove case.
Ragazzo, Sierra Leone
La violenza bellica ha da sempre contraddistinto ogni civiltà;
nel corso dei secoli l’uomo ha istituito una serie di condizioni che
delimitassero la pratica della violenza bellica come l’esclusione dei bambini
dal coinvolgimento diretto nelle guerre.
Nei secoli
scorsi migliaia di adolescenti hanno calpestato i campi di battaglia, ma è in
questi ultimi anni che il coinvolgimento in massa dei bambini ha scosso il
mondo: la loro crescente partecipazione è determinata dal fatto che la natura
stessa della guerra è mutata: non si combattono più conflitti internazionali
tra eserciti regolari degli Stati; il teatro delle ostilità si è spostato nelle
regioni extra-europee, buona parte dei conflitti ha interessato, e continua
tuttora ad interessare paesi in via di sviluppo; le guerre di decolonizzazione
hanno lasciato il posto a confronti di lunga durata tra truppe regolari, gruppi
di opposizione armata e gruppi di miliziani paramilitari; ma soprattutto sono
aumentati gli scontri armati determinati da ragioni etniche, religiose e
sociali.
L’implicazione dei bambini nelle azioni
belliche non è limitato alla loro inclusione tra gli obiettivi strategici:
bambini e adolescenti dopo essere stati sottoposti a violenze e condizionamenti
di ogni tipo vengono spesso impiegati in prima persona nelle operazioni
militari[1].
Secondo l’art. 1 della Convenzione sui
diritti dell’Infanzia del 1989 “si intende per fanciullo ogni essere umano
avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la
maturità in virtù della legislazione applicabile”[2].
In tutto il mondo sono più di 300.000 i
ragazzi di età inferiore a diciott’anni ad essere attivamente coinvolti nei
conflitti armati. Nell’ultimo decennio centinaia di migliaia di bambini hanno
preso parte ad operazioni militari: reclutati come spie, facchini, cuochi,
schiavi sessuali a disposizione dei combattenti; la violenza sessuale
costituisce una vera e propria arma strategica del conflitto: bambini, ma
soprattutto bambine sono vittime di rapimenti finalizzati allo sfruttamento e
alla violenza sessuale negli harem
presso gli eserciti[3]. Quando i bambini restano
uccisi o feriti o semplicemente cominciano a diventare grandi, vengono subito
sostituiti da altri bambini.
Tra le fila dei combattenti finiscono
soprattutto bambini di strada, orfani ed anche bambini appartenenti a minoranze
etniche[4]. Le
cause che trasformano i bambini in soldati sono molteplici: la povertà è uno
dei motivi più comuni, molti bambini, infatti, sono privi di mezzi di
sostentamento e si uniscono alle milizie come “volontari”; altri hanno perso le
famiglie durante le operazioni militari e finiscono per identificare
nell’esercito un sostitutivo della famiglia; altri vengono rapiti e costretti
ad arruolarsi per proteggere le proprie famiglie. Spesso il reclutamento
forzato è usato come mezzo di terrore e ricatto nei confronti dei civili. I
bambini sono ingaggiati dai gruppi armati anche perché sono facilmente
manipolabili, non sono pienamente consci dei pericoli e non hanno chiara la nozione
di bene e di male[5].
Eserciti nazionali e milizie irregolari
reclutano minorenni violando la legislazione vigente sull’età minima di arruolamento. È proprio
per cercare di arginare questo problema che la Comunità Internazionale,
attraverso i due Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 1977, la
Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989, lo Statuto della Corte Penale
Internazionale del 1998, la Convenzione 182 sulle peggiori forme di lavoro
minorile del 1999, il Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti del
Fanciullo concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati del
2000, ha stabilito che “gli Stati parti adottano ogni misura possibile a
livello pratico per vigilare che le persone che non hanno raggiunto l’età di 15
anni non partecipino direttamente alle ostilità, in particolare astenendosi dal
reclutarli nelle rispettive forze armate. Nel caso in cui reclutassero persone
aventi più di 15 anni ma meno di 18, le parti in conflitto procureranno di dare
la precedenza a quelle di maggiore età”[6].
In molte parti del mondo, la registrazione
al momento della nascita è inadeguata o inesistente: in tutto il mondo circa 40
milioni di bambini non vengono registrati ogni anno, ciò consente alle milizie
di falsificare deliberatamente i dati anagrafici.
Una volta arruolati, i bambini sono
soggetti ad una spietata disciplina militare di guerra che prevede
maltrattamenti di ogni sorta: punizioni fisiche, abusi sessuali come
iniziazione, soprattutto nei confronti delle bambine, e l’esecuzione sommaria
per i disertori; somministrazione di alcolici, droghe, latte misto a polvere da
sparo servono per privare i bambini di qualsiasi resistenza, renderli
totalmente dipendenti ai gruppi che li hanno reclutati; a tutto ciò si aggiunge
un pesante condizionamento psicologico e indottrinamento politico, militare e
religioso[7].
I bambini-soldato, come i loro commilitoni
adulti, sono sottoposti allo stress del combattimento: svolgono funzioni di
supporto che spesso comportano gravi rischi, lavorano come facchini costretti a
trasportare pesi superiori ai 60 Kg come munizioni o soldati feriti. Alle
bambine competono gli stessi incarichi dei bambini, a cui si aggiungono quello della cucina e la
cura dei feriti. Bambini e bambine sono vittime di violenze sessuali[8]. Le
bambine di età inferiore ai 10 anni sono costrette dai capi militari a
sposarsi; spesso le bambine a causa delle violenze subite contraggono malattie
come HIV/AIDS o restano incinte[9].
Poiché
esposti ad una spietata violenza, i bambini diventano insensibili alla
sofferenza: in molti Paesi essi sono costretti a commettere atrocità contro le
proprie famiglie e comunità e a prendere parte a massacri[10].
Migliaia di bambini ogni anno vengono
privati della libertà a causa del loro coinvolgimento, volontario o coercitivo,
nei conflitti armati. Nei conflitti armati internazionali i bambini con status di prigionieri di guerra sono
soggetti alle disposizioni previste dalla III Convenzione di Ginevra e non
possono essere perseguiti per aver preso parte alle ostilità. Nei conflitti
armati non internazionali ai bambini è accordata la protezione in base all’art.
3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e al II Protocollo Aggiuntivo alle
Convenzioni. Gli adulti che hanno forzato o permesso la partecipazione dei
bambini alle operazioni militari sono responsabili del loro reclutamento. I
bambini-soldato come qualunque combattente possono essere ritenuti responsabili
per le violazioni del diritto internazionale umanitario. I due Protocolli
Aggiuntivi del 1977 proibiscono la condanna alla pena di morte per i ragazzi di
età inferiore a diciott’anni al momento in cui il reato è stato commesso.
Devono inoltre essere adottate misure speciali per tutelare i bambini detenuti:
i bambini dovrebbero essere separati dagli adulti; dovrebbero essere trasferiti
in adeguati istituti minorili; dovrebbero avere regolari incontri con i
familiari; dovrebbero beneficiare di cure mediche, cibo e igiene adeguati;
dovrebbero trascorrere buona parte del tempo in luoghi aperti; dovrebbero poter
continuare la propria istruzione[11].
Secondo l’ultimo rapporto del Segretario
Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, relativo al coinvolgimento dei
bambini nei conflitti armati è emerso che circa 250.000 bambini in tutto il
mondo vengono reclutati per combattere nei conflitti armati. Il movimento dei
gruppi armati lungo le frontiere per reclutare i bambini che vivono nei campi
per i rifugiati continua ad essere allarmante. Ragazze, e qualche volta ragazzi,
diventano vittime di abusi sessuali e stupri durante i conflitti armati:
sebbene la perpetrazione della violenza sessuale sia proibita dal diritto
internazionale umanitario e costituisca una violazione dei diritti umani.
In Darfur, lo stupro è un metodo di guerra
usato dai gruppi armati per umiliare deliberatamente le ragazze. I bambini
detenuti sono soggetti a trattamenti inumani, torture, interrogatori forzati,
privazione di acqua e cibo; ancora oggi i bambini vengono arruolati dai gruppi
armati presenti sul territorio.
In Afghanistan i bambini continuano ad
essere le vittime del conflitto tra le forze non governative e le forze
nazionali ed internazionali: i bambini sono impiegati durante gli attacchi, in
alcuni casi come scudi umani da parte dei Talebani, i quali hanno reclutato ed
sfruttato bambini nelle loro attività come per esempio attacchi suicidi. Nel
febbraio 2007 un ragazzo di età compresa tra i 12 e i 15 anni si è suicidato
uccidendo una guardia e ferendo quattro civili, nel tentativo di irrompere
nella stazione di polizia nella città di Khost; un ragazzo di 14 anni che
indossava una cintura esplosiva è stato catturato mentre tentava di uccidere il
governatore della provincia di Khost.
Nella Repubblica Centrale Africana sono
stati riportati numerosi casi di arruolamento di bambini da parte delle
milizie. Un numero cospicuo di ragazzi tra i 14 e i 17 anni ha preso parte alle
operazioni militari.
Ad Haiti la situazione dei bambini nelle
aree sottoposte all’influenza di gruppi armati continua ad essere critica: i
bambini vengono impiegati per trasportare e nascondere armi, per prendere parte
a rapimenti, per effettuare attacchi.
In Iraq i bambini sono reclutati come
combattenti da parte di gruppi armati non statali. Al-Qaida e i gruppi ad essa
affiliati usano i bambini come esche negli attentanti suicidi: il 21 marzo
2007, due bambini furono impiegati per facilitare il passaggio di un’auto bomba
ad un checkpoint delle Forze
Multinazionali, l’auto è esplosa con i bambini all’interno, uccidendo cinque
persone e ferendone sette[12].
Nonostante gli sforzi compiuti in questi
anni per cercare di arrestare il fenomeno, il reclutamento forzato dei bambini
continua a preoccupare la Comunità Internazionale. In alcuni conflitti recenti,
i bambini vengono arruolati in maniera spregiudicata perché costano
relativamente poco, perché possono ricevere un’accurata istruzione all’uso
della violenza e sono molto più disponibili, rispetto agli adulti, a commettere
atrocità.
In coerenza con la Convenzione sui diritti
del Fanciullo, le Nazioni Unite hanno stabilito che l’età minima per l’impiego
dei militari nelle operazione per il mantenimento della pace, sia di
diciott’anni. Il segretario Generale delle Nazioni Unite, in una dichiarazione del
28 ottobre 1998, ha affermato che i contingenti nazionali impiegati nelle
operazioni di peacekeeping dovrebbero
essere composti da soldati che abbiano compiuto almeno il ventunesimo anno di
età; tale provvedimento deve servire
alle forze armate e di polizia di tutto il mondo come esempio da seguire per
ciò che concerne l’impiego del personale militare[13].
È necessario adottare misure più efficaci
per evitare il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati; misure che
monitorino e rafforzino gli sforzi legali finalizzati a prevenire il
reclutamento di ragazzi di età inferiore a diciott’anni, con l’introduzione o
il ristabilimento di un sistema anagrafico affidabile, soprattutto tra i
bambini sfollati o appartenenti a minoranze etniche; attraverso l’istruzione e
la formazione professionale per i giovani[14].
[1] UNICEF, I bambini della guerra, Roma, 2000, pp.
25-35
[2] Convenzione sui Diritti del Fanciullo, art. 1
[3] UNICEF, op.
cit.
[4] G. Machel, The
Impact of War on Children, UNICEF, London, 2001, pp. 7-25
[5] ICRC, Child
Soldiers, Geneva, 2003, pp. 3-15
[6] P. Verri, Diritto per la
Pace e Diritto nella Guerra, I Protocollo
Aggiuntivo, 1977, Protezione delle Vittime dei Conflitti Armati Internazionali,
art. 77 para 2, Roma, 1980, pp. 437-484
[7] UNICEF, op.
cit.
[8] G. Machel, op.
cit.
[9] UNFPA, Will
You Listen? Young Voices from Conflict Zones, 2007, pp. 4-21
[10] G. Machel, op.
cit
[11] ICRC, op.
cit.
[12] United Nations General Assembly, Security
Council, Children and Armed Conflict,
A/62/609-S/2007/757, 21 December 2007, pp. 1-39
[13] L. Bertozzi, I bambini soldato. Lo sfruttamento globale
dell’infanzia, Emi, 2003, pp. 117-146
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