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domenica 24 marzo 2013

Ricordando alcune considerazioni del 2006


La Strategia degli Stati Uniti d’America
 Non un Impero ma una Chiesa.


La pubblicazione della National Secutity Strategy (NSS) nel marzo 2006 impone una riflessione su quella che è oggi, nella realtà, la strategia degli Stati Uniti d’America nei suoi termini essenziali. E’ chiaro che se non vi fosse stato un secondo mandato a Busch molto sarebbe cambiato. Ma il secondo mandato a George “Dabbliu” ha segnato un passaggio di rilievo nella grande strategia statunitense. Si è passati dalla nuda e cruda guerra “al terrore”, che aveva caratterizzato in maniera quasi maniacale il primo mandato, segnata e  marchiata dagli attacchi dell’11 settembre 2001, a quella che si potrebbe definire “l’adesione al sostegno alla diffusione della libertà, della democrazia, della lotta alla tirannide ed alla sponsorizzazione della globalizzazione”. Questo nuovo profilo della strategia statunitense, come abbiamo messo in evidenza, in una nota passata,  nel presentare la  NSS del 2006, non è proprio il frutto delle scelte dirette di Busch e del partito repubblicano, ma trae i suoi assi portanti da alcune tendenze sempre presenti nella tradizione politico-strategica statunitense, che con un po’ di attenzione e pazienza, si possono far risalire ai Padri Fondatori della democrazia dell’Unione. Busch ed il partito repubblicano non hanno fatto altro che, all’indomani degli attacchi settembrini, rivilitarizzarle.

Da un passato lontano
E’ un dato assodato che le radici, le provenienze, il substrato religioso influenzarono ed influenzano in modo marcato la politica e le grandi scelte strategiche di Waschington; questa tendenza si è ancor più evendenziata all’indomani dell’attacco dell’11 settembre 2001, quando, con l’attacco al Pentagono ed alle “Due Torri” tutti i cittadini statunitensi si sono sentiti attaccati sul loro territorio “per la prima volta” da un “ nemico” non definito, esterno al loro continente. Sembrano cose ovvie, ma si è diffuso fra l’opinione pubblica un senso di vulnerabilità che, da una parte, ha portato in superficie il retaggio etico-religioso dei Padri Fondatori e dall’altra ha giocato un ruolo attivo nella definizione della geopolitica statunitense, con scelte non sempre condivisibili da parte di noi europei ed anche dei più fidati amici atlantici, dovute a concezioni che da Westfalia in poi sembravano superate.

Per comprendere questo processo parallelo necessita vedere da vicino la genesi, l’ascesa e l’affermarsi della potenza e quindi della politica degli Stati Uniti d’America.

Gli Stati Uniti, come Potenza, sono stati sempre “rivoluzionari”, cioè a dire hanno sempre avuto come obbiettivo primario della loro “strategia” quello di cambiare lo “status quo” esistente ed imperante “in quel dato momento”. E questo, che si sta attuando anche oggi, si è attuato fin dall’indomani della Rivoluzione  antibritannica del 1777. Agli inizi dell’Ottocento, gli USA, ancora in fase di formazione come Unione di Stati, erano deboli, poco considerati nel contesto della Comunità Internazionale, in pratica, rispetto agli dominanti Europei, considerati dei “semiselvaggi” In questa fase , la volontà di cambiare lo “status quo” era perseguita con “l’esempio”. Questa situazione si protrasse per tutto l’Ottocento, secolo in cui l’Unione , superata la guerra civile di metà secolo, ci completò nella sua architettura quasi definitiva.

Con la prima guerra mondiale, accanto all’”esempio”, la modifica degli equilibri mondiali fu perseguita anche con la “forza militare” e la “forza economica”, situazione che attraversò tutto il novecento fino al 1989. Con la vittoria planetaria del 1945, gli Stati Uniti d’America accettarono un sistema internazionale che si basò sulla “balance of power”, ovvero sull’equilibrio di potenza ( o del terrore se si pensa alla disponibilità delle armi atomiche)  e, come “fictio juris”, su una uguale sovranità degli Stati. In questo sistema gli Stati Uniti, con la Unione Sovietica, sono le due Potenze, o Superpotenze, dominanti, attori principali del bipolarismo.

Con la implosione della URSS, nel 1989, gli USA sono rimasti l’unica Superpotenza nel mondo e come tali hanno dovuto gestire una situazione che, in sintesi, si può definire “l’equilibrio degli squilibri”

La vittoria egemonica sulla URSS è stata raggiunta sviluppando i concetti insiti nella costituzione del 1777 filtrati attraverso l’esperienze storiche via via succedutesi. Se la vittoria planetaria è stata conseguita con i principi del 1777, è ovvio che la “gestione dell’equilibrio degli squilibri” deve essere importata agli stessi principi.

 Emerge da questa considerazione che gli USA , come superpotenza planetaria unica, non si considera e non può essere considerata un Impero di tipo territoriale, quale era nell’800 e  fino alla seconda metà nel 900 l’Europa, ma una Chiesa. La religiosità che segna la grande strategia degli Usa, alimentava ed alimenta una visione messianica dell’azione dell’Unione in America e nel Mondo, sintetizzata nel concetto di “Manifest Destiny”. Una visione basata sull’approccio della nuova frontiera, in quella della “indinspensabilità” statunitense (vds in Europa la lotta al nazismo), in quei “profili del coraggio “ di kennediana memoria ed altri approcci che hanno contribuito a creare il concetto che gli USA si sentono investiti  di una missione “divina” da svolgere nel mondo. Questa percezione la troviamo in tutto l’arco del tempo che va dal 1777 ad oggi. Molti gli esempi che si possono fare; basta citare il fatto, estremamente significativo, che i soldati statunitensi che vennero in Europa a combattere contro il nazifascismo, nella II Guerra Mondiale, non ricevettero, al loro ritorno, la “croce di guerra”, ma la “croce della crociata”. Il loro capo Eisenhover, titola le sue memorie “Crociata in Europa”. Lui e di suoi
soldati vennero a portare  il “verbo di una Chiesa” in una Europa scesa a livelli intollerabili di violenza e crudeltà ( leggi Auschwiz e il corollario dei campi di concentramento e sterminio). E questo spirito di “crociata”, espressione di una “chiesa” che occorre mettere in evidenza per comprendere la politica statunitense odierna.

Non un Impero, ma una Chiesa e gli attacchi dell’11 settembre, un pretesto.

Con la fine del bipolarismo noi ci dobbiamo confrontare con una Unione, unica superpotenza planetaria.
In questo confronto con essa noi dobbiamo tenere presente che abbiamo a che fare non con un Impero territoriale, basato sulla forza militare ed economica, oltre che culturale e tecnologica, ma con una Potenza Planetaria che è una Chiesa, e quindi una potenza prima di tutto spirituale. Piaccia o no questa è una realtà.

Se consideriamo che l’ultimo attacco al territorio dell’Unione risale al 1812, quando la flotta inglese risalì il Potomac e bombardò aree vicine a Waschington, ben capiamo che gli attacchi dell’11 settembre non potevano non lasciare il segno. Ma le conseguenze sono ben diverse da quelle che comunemente si possono pensare.
 “L’effetto ed i danni materiali provocati dagli attentati dell’11 settembre sono stati, in realtà, minimi, ma hanno costituito occasione per la Presidenza Bush di definire una politica estera e, soprattutto, di cavalcare la mobilitazione patriottica dell’opinione pubblica statunitense per acquisire il necessario consenso per realizzare quello che era implicito nel suo programma, ma che non avrebbe potuto realizzare, se non si fossero verificati gli attacchi terroristici.”[1]

A parte il fatto che sembra una costante nel mondo politico statunitense queste grandi tragedie che si compiono in presenza di incredibili lacune, omissioni, casi fortuiti, fallimenti di mastodontici apparati nel campo dell’”intelligence”, della difesa aerea ecc. , che però permettono poi una politica che mai prima avrebbe avuto un consenso ( L’attacco giapponese alle Haway del 1941 sembra ricalcare nelle sue linee essenziali, in termini di “assurdità” quello alle Due Torri del 2001.) rimane il dato centrale che questi attacchi terroristici hanno dato la stura a questa “missione divina” nel mondo degli Usa. Una Presidenza che fino all’agosto del 2001 era presa poco sul serio un po’ da tutti, sia all’interno che all’estero, dal settembre 2001 si è ammantata di questo spirito messianico, ovvero il voler conseguire in tutto il mondo la libertà, la democrazia, il libero mercato generante la prosperità economica, la lotta ad ogni tipo di tirannia. Tutto intriso di spirito “ecclesiale”, religioso, in una costante atmosfera di crociata latente, come le crociate dei Papi di medioevale memoria, Gli Stati Uniti si propongono di raggiungere i loro obbiettivi con la persuasione, con pressioni di ogni tipo e natura e al limite con la forza , affinché il mondo possa godere della pace e della assenza di guerre e di povertà.
L’Europa assiste a tutto questo spesso, come noi, senza capire. Ma il tempo ormai è tale che è chiaro che “la guerra al terrorismo” e tutto quello che viene dietro e solo un apripista a questo spirito “ecclesiale” che gli Stati Uniti covano ed anno in “nuce” fin dalla loro costituzione e con cui occorre ben fare i conti se non si vuole essere spiazzati o emarginati, o peggio, essere o impotenti o incapaci di fare la propria parte nelle cose del mondo.


  


[1] Cfr. Jean C., La grande strategia americana, in Bulletin Europeén, Anno 57, settembre 2006 n. 676, Edizione Italiana. Da questo scritto sono state tratte considerazioni per la presente nota, come dal Seminario di Studi Strategici, della 57 Sessione del Centro Alti Studi per la Difesa e dal dibattito avuto a seguito della presentazione della National Security Strategy 2006. Si  vuole ricordare in questa circostanza il Contrammiraglio Silvano Cannaruto, partecipe a queste  vicende culturali, prematuramente scomparso.

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