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LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica

Rivista LIMES n. 10 del 2021. La Riscoperta del Futuro. Prevedere l'avvenire non si può, si deve. Noi nel mondo del 2051. Progetti w vincoli strategici dei Grandi

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sabato 19 aprile 2025

Gian Giacomo Migone Rapporti Tra Usa e Russia. Alcune Considerazioni

 

Donald Trump ha il merito di rendere esplicita la politica estera di Washington in atto da anni. Eppure alcune semplici realtà continuano a sfuggire al profluvio di commenti scatenato da quanto si è svolto “in diretta” alla Casa Bianca, venerdì ​28 febbraio: che, non da oggi, esiste un rapporto di connivenza tra Washington e Mosca; che, come ogni ostentazione di forza, quella del presidente Trump segnala una crescente debolezza, anch’essa in atto da decenni; che al declino dei protagonisti della Guerra Fredda corrisponde la loro ostilità ad un’Europa politicamente ed economicamente integrata.

Ma procediamo con ordine. Ha radici profonde la volontà convergente di Biden e Putin di scatenare ed alimentare la guerra in Ucraina, come anche quella di Trump e del medesimo Putin di concluderla secondo le proprie convenienze. L’esistenza di una “minaccia credibile” da parte di Mosca è stata una condizione essenziale per la politica estera di Washington nel corso di tutta la Guerra Fredda. Il tentativo di Eisenhower e di Krusciov di negoziare una pace - nel c.d. spirito di Camp David -  con l’incidente dell’U​-2 è stato sabotato da entrambi le parti e, nel 1973, Henry Kissinger è arrivato ad imporre una riscrittura della valutazione della potenza sovietica da parte della CIA perché insufficiente a giustificare la politica egemonica nei confronti dei propri alleati. Ha breve durata l’intesa tra Reagan - anticomunista non strumentale - e Gorbaciov, effettivo liquidatore dello stato sovietico, con alcune intese di disarmo. Per i loro successori, la caduta del Muro costituisce un trauma. Quello subito dalla Russia è ovvio in quanto ha perso il suo impero, ma anche Sparta non ride. Ovvero Washington che, lungi dal godersi la fine della storia ed un unipolarismo che non è mai esistito, deve salvaguardare la continuità della NATO, ormai obsoleta, ma ancora essenziale per continuare ad esercitare il proprio dominio sugli alleati europei e, più in generale, surrogare la minaccia non più credibile di Mosca. Giunge provvidenziale l’attacco alle Due Torri e la conseguente “guerra al terrore” come occasione e giustificazione ​per esercitare il proprio potere, ormai prevalentemente militare; cioè tale da prescindere da quei principi e valori con cui era fondato il proprio rapporto egemonico nel mondo. Da cui guerre di aggressione vinte, in violazione di regole e principi sancit​i dall’ONU e dal diritto internazionale, e paci suggellate da sconfitte politiche: Afghanistan, Iraq, Libia e, ora, Ucraina. Mentre si batte la grancassa riguardo ad ogni vera o presunta incursione propagandistica di Mosca, regna il silenzio sul controllo dell’Aipac - strumento di finanziamento politico gestito da un governo straniero, quello d’Israele - su almeno un terzo del Congresso di Washington, determinando la politica mediorientale dell’amministrazione Biden, accentuata​, ma non modificata​, da Trump la cui ostentazione di forza non fa che segnalare il declino dell’impero che ha la pretesa di rilanciare.

La guerra di Ucraina ha offerto l’occasione all’amministrazione Biden per ricuperare la rilevanza politica dell’ex impero russo provocando l’aggressione di un avversario connivente quale Vladimir Putin, successivamente pronto e disponibile a trasformarsi in alleato di Trump nella comune impresa di spartizione dell’Europa. Antica ambizione realizzata dopo la conferenza di Yalta e pericolante dopo la caduta del Muro.

Il progetto di Europa unita, che nasce durante l’esilio statunitense di Jean Monnet e ispira il Piano Marshall, viene abbandonato da Washington negli anni della sconfitta nella guerra contro il Vietnam, primo segnale del suo declino. Sconvolgerebbe ogni residua ambizione bipolare la trasformazione dell’Unione Europea, dalla sua attuale configurazione burocratica e filoatlantica in uno stato federale di 450 milioni di persone, che viene a costituire una delle tre maggiori potenze economiche e politiche in un sistema multipolare rispetto ​al quale la Cina costituisce l’ancora con l’iniziativa dei BRICS. Soprattutto Washington - da Nuland a Trump - non sopporterebbe un legittimo erede di valori democratici​, con una esplicita vocazione pacifista di cui non è dotata, meno che mai ora.

Purtroppo l’Unione Europea, nella sua attuale configurazione, sotto la presunta guida di Ursula von der Leyen, più che mai lacerata dal divide et impera dì Washington, non è all’altezza della sfida in atto. Essa blatera di una spesa militare stellare, concepita a misura di una NATO​ a questo punto ridotta ad una presenza nucleare e logistica incontrollata, di marca statunitense, in combutta con l’ormai alleato di Mosca, rispetto al quale si invoca una difesa europea.

Gli Stati Uniti d’Europa, per risultare tali, dovrebbero innanzitutto dotarsi di regole maggioritarie per una politica estera di pace, così da garantire la propria sovranità, effettivamente integrata, e quindi tale da giustificare una difesa integrata che consentirebbe economie di scala. Utopia? Certamente nelle circostanze attuali. Ma, come tutte le utopie - non mi stanco di ripeterlo - indispensabili perché indicano la direzione in cui procedere. Con bandiere della pace, accanto a quelle dell’Europa, come suggerisce Tomaso Montanari.

  

Gian Giacomo Migone

giangiacomo.migone@gmail.com

mercoledì 9 aprile 2025

Le Nuove Tesioni politico-strategiche-militari ed economiche sui mari

 

Sergio  Benedetto  Sabetta

 

            Attualmente il 90% delle merci naviga sulle acque, ne consegue che chi controlla le rotte marittime ha il potere mondiale.

            In questi ultimi tempi vi è stato un riposizionamento delle flotte, il cui centro è l’Oceano Pacifico, nuove rotte si aprono con il disgelo del Polo Nord ridimensionando l’importanza commerciale del Canale di Panama controllato dagli USA.

            In questa centralità del Pacifico gli USA nell’agosto 2021 hanno ufficializzato l’Aucks (Accordo “politico-militare” fra Australia – Au, Regno Unito – K, Stati Uniti – Us), a cui la Cina ha risposto con un accordo politico-militare con la Russia firmato nel febbraio 2022 ed una successiva intesa il 24 marzo dello stesso anno con le Isole Salomone, Stato sovrano a Nord dell’Australia, chiave di collegamento tra Oceano Pacifico e Oceano Indiano.

            L’accordo prevede un prestito di cento milioni di dollari e l’aiuto militare di Pechino anche per mantenere l’ordine pubblico interno, oltre alla rottura dei rapporti con Taiwan, in cambio la Cina potrà disporre delle isole come base per future spedizioni commerciali o militari.

            Gli USA hanno affiancato ad Aucks un ulteriore alleanza composta  da USA, Australia, India e Giappone (Quad), anche se l’India mantiene una posizione piuttosto ambigua avendo ottimi rapporti con la Cina all’interno  del Brics e ricomposte in parte le tensioni sui confini terrestri.

            Questa intensa attività diplomatica ha avuto come contraltare un susseguirsi di esercitazioni navali, sia da parte USA che della Cina, alle quali hanno partecipato anche le marine militari del Giappone, Australia, Nuova Zelanda, India, Singapore, Malesia e Russia, oltre ad un riammodernamento degli apparati militari.

            La Cina intenderebbe controllare il Mare Cinese Meridionale dal quale passa il 40% del gas mondiale e un volume di merci del valore di circa 3.000 miliardi di dollari l’anno.

            Altro settore su cui si concentra l’attenzione di Pechino è il Mar Rosso per l’accesso al Canale di Suez dal quale passano 20.000 navi ogni anno, pari a circa il 30% dell’export mondiale.

            A tal fine è stata costruita a Gibuti una grossa base navale cinese, che oltre a permettere di controllare il Mar Rosso, costituisce un’ottima base per la penetrazione in Africa, già notevolmente controllata da Pechino attraverso prestiti costruzione di infrastrutture ed assistenza militare.

            Nel Mediterraneo, dove si è affacciata la Cina, agisce ampiamente la Russia La quale ha anche rafforzato la sua presenza negli stretti marittimi che danno sul Baltico, il Mar Nero e il Caspio.

            La base navale di Tartus in Siria, l’appoggio alla fazione del generale Khalifa Haftar in Libia, il rafforzamento delle relazioni con l’Egitto e l’Algeria permettono alla Russia di agire politicamente nel Mediterraneo e sulle relative linee di navigazione commerciali.

            Lo scioglimento dei ghiacci nella Calotta polare artica crea nuove rotte che hanno già permesso nel 2021 a navi russe di percorrerla senza l’ausilio di un rompighiaccio, sia interamente dalla Norvegia alla Corea del Sud in 6 giorni e mezzo che dal porto di Sabetta, nel Nord-Ovest della Siberia, alla Cina, gli esperti ritengono che entro il 2040 le rotte saranno interamente libere e convenienti.

            Questo tuttavia crea un problema, il controllo terminale delle rotte ossia gli scali, in Europa dovrebbero essere in Scandinavia ed ecco uno dei morivi degli attuali attriti e dei riposizionamenti nell’area, vedesi Svezia e Finlandia.

            Infine, sempre nel Mediterraneo, riemerge quale potenza regionale la Turchia di Erdogan, che agisce sia sui Balcani con missioni militari in Albania e Kosovo che in Siria e in Libia, la scoperta di grossi giacimenti di gas nel Mar Nero a 100 miglia nautiche dalla costa la renderebbero energeticamente parzialmente indipendente.

            Altro enorme giacimento di gas è stato scoperto dall’ENI a 160 miglia dalle coste di Cipro, fatto che ha creato un ulteriore motivo di tensione nell’area, in particolare tra Grecia e Turchia, coinvolgendo indirettamente anche l’Italia.

 

NOTA

-         R. Crocco, Nuove rotte, antiche contese. Il mare torna al centro dello scontro, 215 -218, Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, ANVCG e Associazione 46° Parallelo, 2022.