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mercoledì 30 aprile 2025
sabato 19 aprile 2025
Gian Giacomo Migone Rapporti Tra Usa e Russia. Alcune Considerazioni
Donald
Trump ha il merito di rendere esplicita la politica estera di Washington in
atto da anni. Eppure alcune semplici realtà continuano a sfuggire al profluvio
di commenti scatenato da quanto si è svolto “in diretta” alla Casa Bianca,
venerdì 28 febbraio: che, non da oggi, esiste un rapporto di connivenza tra
Washington e Mosca; che, come ogni ostentazione di forza, quella del presidente
Trump segnala una crescente debolezza, anch’essa in atto da decenni; che al
declino dei protagonisti della Guerra Fredda corrisponde la loro ostilità ad
un’Europa politicamente ed economicamente integrata.
Ma
procediamo con ordine. Ha radici profonde la volontà convergente di Biden e
Putin di scatenare ed alimentare la guerra in Ucraina, come anche quella di
Trump e del medesimo Putin di concluderla secondo le proprie convenienze.
L’esistenza di una “minaccia credibile” da parte di Mosca è stata una
condizione essenziale per la politica estera di Washington nel corso di tutta
la Guerra Fredda. Il tentativo di Eisenhower e di Krusciov di negoziare una
pace - nel c.d. spirito di Camp David -
con l’incidente dell’U-2 è stato sabotato da entrambi le parti e, nel
1973, Henry Kissinger è arrivato ad imporre una riscrittura della valutazione
della potenza sovietica da parte della CIA perché insufficiente a giustificare
la politica egemonica nei confronti dei propri alleati. Ha breve durata
l’intesa tra Reagan - anticomunista non strumentale - e Gorbaciov, effettivo
liquidatore dello stato sovietico, con alcune intese di disarmo. Per i loro
successori, la caduta del Muro costituisce un trauma. Quello subito dalla
Russia è ovvio in quanto ha perso il suo impero, ma anche Sparta non ride.
Ovvero Washington che, lungi dal godersi la fine della storia ed un
unipolarismo che non è mai esistito, deve salvaguardare la continuità della
NATO, ormai obsoleta, ma ancora essenziale per continuare ad esercitare il
proprio dominio sugli alleati europei e, più in generale, surrogare la minaccia
non più credibile di Mosca. Giunge provvidenziale l’attacco alle Due Torri e la
conseguente “guerra al terrore” come occasione e giustificazione per
esercitare il proprio potere, ormai prevalentemente militare; cioè tale da
prescindere da quei principi e valori con cui era fondato il proprio rapporto
egemonico nel mondo. Da cui guerre di aggressione vinte, in violazione di
regole e principi sanciti dall’ONU e dal diritto internazionale, e paci
suggellate da sconfitte politiche: Afghanistan, Iraq, Libia e, ora, Ucraina.
Mentre si batte la grancassa riguardo ad ogni vera o presunta incursione
propagandistica di Mosca, regna il silenzio sul controllo dell’Aipac -
strumento di finanziamento politico gestito da un governo straniero, quello
d’Israele - su almeno un terzo del Congresso di Washington, determinando la
politica mediorientale dell’amministrazione Biden, accentuata, ma non
modificata, da Trump la cui ostentazione di forza non fa che segnalare il
declino dell’impero che ha la pretesa di rilanciare.
La
guerra di Ucraina ha offerto l’occasione all’amministrazione Biden per
ricuperare la rilevanza politica dell’ex impero russo provocando l’aggressione
di un avversario connivente quale Vladimir Putin, successivamente pronto e
disponibile a trasformarsi in alleato di Trump nella comune impresa di
spartizione dell’Europa. Antica ambizione realizzata dopo la conferenza di
Yalta e pericolante dopo la caduta del Muro.
Il
progetto di Europa unita, che nasce durante l’esilio statunitense di Jean
Monnet e ispira il Piano Marshall, viene abbandonato da Washington negli anni
della sconfitta nella guerra contro il Vietnam, primo segnale del suo declino.
Sconvolgerebbe ogni residua ambizione bipolare la trasformazione dell’Unione
Europea, dalla sua attuale configurazione burocratica e filoatlantica in uno
stato federale di 450 milioni di persone, che viene a costituire una delle tre
maggiori potenze economiche e politiche in un sistema multipolare rispetto al
quale la Cina costituisce l’ancora con l’iniziativa dei BRICS. Soprattutto
Washington - da Nuland a Trump - non sopporterebbe un legittimo erede di valori
democratici, con una esplicita vocazione pacifista di cui non è dotata, meno
che mai ora.
Purtroppo
l’Unione Europea, nella sua attuale configurazione, sotto la presunta guida di
Ursula von der Leyen, più che mai lacerata dal divide et impera dì Washington, non è all’altezza della sfida in
atto. Essa blatera di una spesa militare stellare, concepita a misura di una
NATO a questo punto ridotta ad una presenza nucleare e logistica
incontrollata, di marca statunitense, in combutta con l’ormai alleato di Mosca,
rispetto al quale si invoca una difesa europea.
Gli
Stati Uniti d’Europa, per risultare tali, dovrebbero innanzitutto dotarsi di
regole maggioritarie per una politica estera di pace, così da garantire la
propria sovranità, effettivamente integrata, e quindi tale da giustificare una
difesa integrata che consentirebbe economie di scala. Utopia? Certamente nelle
circostanze attuali. Ma, come tutte le utopie - non mi stanco di ripeterlo -
indispensabili perché indicano la direzione in cui procedere. Con bandiere
della pace, accanto a quelle dell’Europa, come suggerisce Tomaso Montanari.
Gian
Giacomo Migone
giangiacomo.migone@gmail.com
mercoledì 9 aprile 2025
Le Nuove Tesioni politico-strategiche-militari ed economiche sui mari
Sergio Benedetto Sabetta
Attualmente
il 90% delle merci naviga sulle acque, ne consegue che chi controlla le rotte
marittime ha il potere mondiale.
In questi
ultimi tempi vi è stato un riposizionamento delle flotte, il cui centro è
l’Oceano Pacifico, nuove rotte si aprono con il disgelo del Polo Nord
ridimensionando l’importanza commerciale del Canale di Panama controllato dagli
USA.
In questa
centralità del Pacifico gli USA nell’agosto 2021 hanno ufficializzato l’Aucks
(Accordo “politico-militare” fra Australia – Au, Regno Unito – K, Stati Uniti –
Us), a cui la Cina ha risposto con un accordo politico-militare con la Russia
firmato nel febbraio 2022 ed una successiva intesa il 24 marzo dello stesso
anno con le Isole Salomone, Stato sovrano a Nord dell’Australia, chiave di
collegamento tra Oceano Pacifico e Oceano Indiano.
L’accordo
prevede un prestito di cento milioni di dollari e l’aiuto militare di Pechino
anche per mantenere l’ordine pubblico interno, oltre alla rottura dei rapporti
con Taiwan, in cambio la Cina potrà disporre delle isole come base per future
spedizioni commerciali o militari.
Gli USA hanno
affiancato ad Aucks un ulteriore alleanza composta da USA, Australia, India e Giappone (Quad),
anche se l’India mantiene una posizione piuttosto ambigua avendo ottimi
rapporti con la Cina all’interno del
Brics e ricomposte in parte le tensioni sui confini terrestri.
Questa
intensa attività diplomatica ha avuto come contraltare un susseguirsi di
esercitazioni navali, sia da parte USA che della Cina, alle quali hanno
partecipato anche le marine militari del Giappone, Australia, Nuova Zelanda,
India, Singapore, Malesia e Russia, oltre ad un riammodernamento degli apparati
militari.
La Cina
intenderebbe controllare il Mare Cinese Meridionale dal quale passa il 40% del
gas mondiale e un volume di merci del valore di circa 3.000 miliardi di dollari
l’anno.
Altro
settore su cui si concentra l’attenzione di Pechino è il Mar Rosso per
l’accesso al Canale di Suez dal quale passano 20.000 navi ogni anno, pari a
circa il 30% dell’export mondiale.
A tal fine è
stata costruita a Gibuti una grossa base navale cinese, che oltre a permettere
di controllare il Mar Rosso, costituisce un’ottima base per la penetrazione in
Africa, già notevolmente controllata da Pechino attraverso prestiti costruzione
di infrastrutture ed assistenza militare.
Nel
Mediterraneo, dove si è affacciata la Cina, agisce ampiamente la Russia La
quale ha anche rafforzato la sua presenza negli stretti marittimi che danno sul
Baltico, il Mar Nero e il Caspio.
La base
navale di Tartus in Siria, l’appoggio alla fazione del generale Khalifa Haftar
in Libia, il rafforzamento delle relazioni con l’Egitto e l’Algeria permettono
alla Russia di agire politicamente nel Mediterraneo e sulle relative linee di
navigazione commerciali.
Lo
scioglimento dei ghiacci nella Calotta polare artica crea nuove rotte che hanno
già permesso nel 2021 a navi russe di percorrerla senza l’ausilio di un
rompighiaccio, sia interamente dalla Norvegia alla Corea del Sud in 6 giorni e
mezzo che dal porto di Sabetta, nel Nord-Ovest della Siberia, alla Cina, gli
esperti ritengono che entro il 2040 le rotte saranno interamente libere e
convenienti.
Questo
tuttavia crea un problema, il controllo terminale delle rotte ossia gli scali,
in Europa dovrebbero essere in Scandinavia ed ecco uno dei morivi degli attuali
attriti e dei riposizionamenti nell’area, vedesi Svezia e Finlandia.
Infine,
sempre nel Mediterraneo, riemerge quale potenza regionale la Turchia di
Erdogan, che agisce sia sui Balcani con missioni militari in Albania e Kosovo
che in Siria e in Libia, la scoperta di grossi giacimenti di gas nel Mar Nero a
100 miglia nautiche dalla costa la renderebbero energeticamente parzialmente
indipendente.
Altro enorme
giacimento di gas è stato scoperto dall’ENI a 160 miglia dalle coste di Cipro,
fatto che ha creato un ulteriore motivo di tensione nell’area, in particolare
tra Grecia e Turchia, coinvolgendo indirettamente anche l’Italia.
NOTA
-
R.
Crocco, Nuove rotte, antiche contese. Il mare torna al centro dello scontro,
215 -218, Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, ANVCG e Associazione
46° Parallelo, 2022.