IL CONTRIBUTO DELL’ESERCITO ITALIANO ALLE
MISSIONI NATO DAGLI ANNI 2000
Premessa
Negli anni che seguirono la fine
del secondo conflitto mondiale, l’Italia contribuì alla fondazione di numerose Organizzazioni
Internazionali il cui scopo era quello di aumentare la cooperazione tra i Paesi
aderenti in diversi ambiti. Nel marzo del 1949, il Consiglio dei Ministri della
neonata Repubblica Italiana si pronunciò in senso unanime per “l’accessione in
via di massima al Patto atlantico[1]”, esprimendo la volontà di aderire come
Paese fondatore alla North Atlantic Treaty Organization (NATO), compiendo
quella che fu definita “una lungimirante scelta di politica estera per garantire
la pace nella sicurezza” [2].
Altro passaggio fondamentale per
l’evoluzione dello strumento militare italiano fu l’adesione all’Organizzazione
delle Nazioni Unite, avvenuta nel dicembre del 1955: circa trent’anni più tardi,
infatti, le prime operazioni di peacekeeping in cui le Forze Armate italiane
furono impiegate fuori dai confini nazionali, furono condotte sotto l’egida
dell’ONU in Libano (missione UNIFIL, 1982-84), Somalia (missioni UNITAF e
UNOSOM, 1992-94 e l’Operazione UNITED SHIELD del 1995) e Mozambico (missione
ONUMOZ, 1993-94); furono queste le prime occasioni in cui le Forze Armate italiane
furono chiamate ad esprimere le proprie capacità di schierare e supportare
logisticamente grandi contingenti formati da un elevato numero di uomini, mezzi
e materiali stanziati a migliaia di chilometri dall’Italia.
Anche le operazioni NATO condotte
nei Balcani nella seconda metà degli anni ‘90 costituirono degli importanti
banchi di prova per le Forze Armate italiane: in Bosnia, con la partecipazione alla United Nation Protection Force
- UNPROROF (1993), alla Implementation Force - IFOR (1995) e alla sua
successiva riconfigurazione in Stabilization Force SFOR (dal 1996), e in Kosovo,
con la partecipazione alla Kosovo Force – KFOR (iniziata nel 1999 e tutt’ora in
corso), Esercito, Marina, Aeronautica e l’Arma dei Carabinieri contribuirono
con diverse migliaia di militari alla formazione dei contingenti internazionali
di peacekeeping.
Fu probabilmente sotto l’influsso di
questi numerosi impegni internazionali che venne concretizzata l’importante
idea di sospendere il servizio obbligatorio di leva per alimentare le Forze
Armate esclusivamente con personale professionista volontario: come dichiarò
nell’ottobre del 2000 l’allora Ministro della Difesa, l’Onorevole Sergio
Mattarella, attuale Presidente della Repubblica italiana, all’epoca si era
consolidata la necessità di avere delle Forze Armate “adeguate alle esigenze
contemporanee, che non sono di guerra, bensì di strategia di difesa della pace
e dei diritti umani[3]”.
In linea con la riorganizzazione in
atto in seno alla NATO in quel periodo storico, al fine di sviluppare
l’identità di sicurezza e difesa europea e rafforzare l’efficacia militare
dell’Alleanza, questa decisione permetterà all’Italia nel corso degli anni successivi
di dotarsi di Forze Armate in grado di assolvere ai nuovi compiti
internazionali, finalizzati a favorire la stabilità della sicurezza
euro-atlantica attraverso il rafforzamento di istituzioni democratiche, senza
tralasciare il classico compito di difesa e deterrenza.
Grazie a questi importanti
cambiamenti, le Forze Armate italiane poterono partecipare da protagoniste nelle
sfide alla stabilità internazionale che si presentarono dopo l’attacco
terroristico avvenuto negli Stati Uniti l’11 settembre del 2001: fu di enorme
peso il contributo italiano nelle missioni in ambito NATO che si svilupparono
in risposta ai sopra citati attentanti; in particolare l’Esercito Italiano fu
tra i principali contributori in termini numerici per quanto riguarda personale,
mezzi e materiali impiegati nelle complesse missioni svolte in scenari
operativi ad alta intensità in Iraq e Afghanistan.
L’enorme sforzo profuso nel corso
dei lunghi anni di operazioni hanno permesso all’Esercito Italiano di
accumulare una profonda esperienza nella pianificazione e gestione di
operazioni condotte in collaborazione con le forze armate dei Paesi della NATO
a grandi distanze dal territorio nazionale.
Terminate le operazioni di
contrasto al terrorismo, questa esperienza, riconosciuta a livello
internazionale e maturata anche grazie al sacrificio dei soldati caduti, a
seguito delle attività della Federazione Russa iniziate con l’occupazione della
penisola della Crimea, è stata nuovamente messa a disposizione della NATO per
la sorveglianza e la difesa del confine orientale dell’Alleanza, attraverso la partecipazione
alle operazioni di presenza e deterrenza denominate “Enhanced Forward
Presence (EFP)” ed “Enhanced Vigilance Activity (EVA)”.
Tesi di laurea.
[1]
L. ROMANINI, Breve storia dell’ostruzionismo nel Parlamento Italiano, Carocci
Editore, Roma, 2017, p. 145
[2]
www.avvenire.it
[3]
www.repubblica.it
Nessun commento:
Posta un commento