La decisione di diventare un terrorista
Nel
primo capitolo è stato identificato il fenomeno del terrorismo, ma per
comprendere a pieno la nascita e la crescita di questo fenomeno è necessario conoscere
completamente le motivazioni che portano delle persone comuni alla decisione di
intraprendere la “via” del terrorismo.
Come
osservato precedentemente, il mondo cambia in maniera importante
successivamente all’attentato dell’11 settembre 2001 e allo stesso modo cambia
il mondo del terrorismo, a non cambiare in realtà, come osserveremo
successivamente, sono le motivazioni che convincono l’individuo a diventare un
terrorista. Prima di elencare le motivazioni che possono portare un individuo a
diventare un terrorista è bene comprendere che la decisione è una decisione
cosciente e consapevole. Infatti, lo studio di Jeff Viktoroff del 2005 ha
dimostrato che in genere i terroristi non risultano essere affetti da malattie
mentali oppure disordini mentali importanti,[1] riconfermando lo studio
precedente di Marc Sageman del 2004, il quale afferma la completa assenza di
malattie mentali, traumi sociali, disturbi comportamentali o tratti sociali in
quattrocento membri del gruppo terroristico di al-Qa’ida.[2] Questi due studi sono
fondamentali per comprendere due nozioni specifiche del terrorismo:
·
Il target (l’utilizzo di questo
termine, specifico del mondo del marketing e delle promozioni, come osserveremo
successivamente non è casuale) dei gruppi terroristici sono persone comuni,
affidabili e in grado di portare a termine la missione affidatagli;[3]
·
Il soggetto è completamente consapevole
delle sue decisioni e delle conseguenza che esse hanno sia su se stessi sia su
tutte le altre persone coinvolte dal suo atto.
A
questo punto è bene riaffermare un concetto fondamentale, i terroristi
diventano tali successivamente ad un’analisi dei costi benefici, ciò significa
che le motivazioni che portano alla maturazione della decisione di diventare un
terrorista debbano essere ben radicate nel soggetto e soprattutto devono
portare, secondo il soggetto che prende tale decisione, a maggiori benefici
rispetto ai costi.
Pertanto,
è fondamentale capire cosa si intende per decisione volontaria. Una decisione
volontaria deriva da un processo decisionale, il quale può essere conscio (dove
il soggetto richiamato alla necessità di effettuare una scelta si fermi e
rifletta per una modica quantità di tempo) oppure inconscia (dove il soggetto
richiamato alla necessità di effettuare una scelta non abbia tempo per fermarsi
e ragionare con tranquillità).
Secondo
uno studio, del 1991, di L. L. Jatulis,
L. L. e D. L. Newman,[4] il processo decisionale è
quel processo che ogni essere umano attiva per effettuare quella che il
soggetto ritiene, in base alle informazioni a disposizione e ad altre variabili
come, per esempio, la religione e il livello di istruzione, la decisione
migliore, in termini costi- benefici. Tale processo, inoltre, - sempre secondo L.
L. Jatulis, L. L. e D. L. Newman, può essere divise in sei distinte fasi.
·
Identificazione del problema: in questa
primissima fase viene osservata la presenza di una problematica da affrontare e
risolvere oppure la presenza di un’opportunità da cogliere.
·
Raccolta delle informazioni: in questa
seconda fase il soggetto compie un’azione di raccolta di tutte le informazioni
disponibili riguardanti il problema o l'opportunità, inoltre analizza le
informazioni in base alle fonti che egli ritiene più sicure.
·
Selezione dei criteri di valutazione: in
questa terza fase il soggetto stabilisce le modalità che utilizzerà per
valutare le opzioni che ha identificherà o che gli saranno suggerite.
·
Identificazione delle opzioni: in questa quarta
fase il soggetto identifica tutte le possibili opzioni che possono portare alla
risoluzione del problema oppure allo sfruttamento di un’opportunità.
·
Valutazione delle opzioni: in questa
quinta fase il soggetto valuta le opzioni precedentemente identificate in base
alla metodologia precedentemente decisa, entrambe per mezzo delle due fasi
rispettive.
·
Decisione: in questa sesta e ultima fase il
soggetto è chiamato alla decisione vera e propria, egli, infatti, a questo
punto ha tutte le informazioni disponibili (desidero porre l’attenzione sul
termine “disponibili” poiché esso non sempre corrisponde alla quantità minima
di informazioni necessarie per prendere una decisione) e quindi sceglie
un’opzione in base, come detto, sia a tutte le informazioni raccolte sia alla
metodologia di valutazione precedentemente identificata.[5]
È
necessario osservare, però, che secondo L. L. Jatulis, L. L. e D. L. Newman
questo processo non è in processo lineare. Pertanto, esso non descrive un
processo col passare del tempo sempre uguale, bensì il soggetto ha la
possibilità di rieffettuare le fasi precedenti a quella in cui si trova, ad
esempio per aggiungere informazioni oppure per identificare nuove possibilità
di risoluzione al problema identificato. È possibile persino, ovviamente in
base alle situazioni, poter cambiare la propria decisione finale ed arginare
oppure evitare le conseguenze dovute alla prima soluzione del processo decisionale
del soggetto.
Figura 1 Processo decisionale secondo Newman
(fonte:
Newman 1991)[6]
Come
si può evincere da questo studio, oltre che dalla propria esperienza,
l’attività decisionale è un’attività complessa e che spesso coinvolge il
soggetto, colui che è chiamato a prendere una decisione, per molto tempo.
Pertanto, la scelta che porta una persona comune a divenire un terrorista è una
scelta ponderata tra delle opzioni definite dal soggetto stesso in base alle
informazioni da lui pervenute.
I
processi decisionali, però, non coinvolgono i soli singoli esseri umani, ma
anche le organizzazioni composte da essi. È, infatti, fondamentale osservare
che le azioni condotte sia dalle singole cellule terroristiche sia dall’intera
organizzazione terroristica sono frutto di un processo decisionale. Allo stesso
modo, le azioni compiute dalle forze di difesa per sventare il terrorismo sono
frutto di processi decisionali. Per questo motivo il principale strumento per
il debellamento del terrorismo è lo studio stesso dell’argomento, in quanto
possedendo più informazioni è più probabile effettuare le decisioni corrette
per anticipare e sventare le minacce create da questi tipi di organizzazioni.
Inoltre, lo studio delle motivazioni che portano un individuo a scegliere di
diventare un terrorista è uno dei primi passi che può permettere lo svilupparsi
di politiche efficaci alla risoluzione dei problemi di coloro che sceglieranno
o stanno scegliendo di diventare terroristi, al fine di risolvere le
motivazioni che potrebbero portare il soggetto a diventare un terrorista e,
quindi, al fine di risolvere il problema ancora prima che si presenti
“estirpando il problema alla radice”.
[1] J. Victoroff, The Mind of the
Terrorist: A Review and Critique of Psychological Approaches. Journal of
Conflict Resolution, 49(1), 3–42, 2005.
[2] M. Sageman, Understanding Terror
Networks. University of Pennsylvania Press, 2004.
[3] F. De Zulueta, Terror Breeds
Terrorists. Medicine, Conflict and Survival, vol. 22, no. 1, 2006.
[4] L. L.
Jatulis, L. L., D. L.Newman, The Role of Contextual Variables in Evaluation
Decision Making: Perceptions of Potential Loss, Time, and Self-Efficacy on
Nurse Managers’ Need for Information. Evaluation Review, 15(3), 364–377,
1991.
[5] L. L. Jatulis, L. L., D. L.Newman,
The Role of Contextual Variables in Evaluation Decision Making: Perceptions of
Potential Loss, Time, and Self-Efficacy on Nurse Managers’ Need for
Information. Evaluation Review, 15(3), 364–377, 1991.
[6] L. L. Jatulis, L. L., D. L.Newman, The
Role of Contextual Variables in Evaluation Decision Making: Perceptions of
Potential Loss, Time, and Self-Efficacy on Nurse Managers’ Need for Information.
Evaluation Review, 15(3), 364–377, 1991.
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