mercoledì 21 dicembre 2022
martedì 20 dicembre 2022
Massimo Iacopi. OGNI PACE E’ CIRCONDATA DA UNA GUERRA
Pubblicato nel mese di giugno
2022 sulla Rivista Informatica Graffiti on line (www.graffiti-on-line.com)
con il titolo “COSA SO IO DELLA GUERRA ?”
https://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=2029
Questo breve saggio vuole
presentare una riflessione sul fenomeno della guerra e della pace nella
società, partendo, stavolta, da un espresso riferimento ad una citazione
tratta da un libro di un polemologo francese, a sua volta attribuita al
filosofo greco Eraclito (1).
Lo spettacolo della sollevazione delle città della Ionia
contro Dario I (nell’anno -499), che
ha dato origine alle guerre mediche, ha forse ispirato ad Eraclito (- VI / -V secolo) questa considerazione, di cui la guerra
in Ukraina mostra con ogni evidenza la sua crudele attualità. Citazione di
grande respiro, dalle molteplici interpretazioni: la sua cruda formulazione non
sorprende molto nella bocca di questo padre del pensiero dialettico, ammirato
anche da Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Il fatale
concatenamento delle guerre e delle paci assume le sembianze di una legge
d’evoluzione determinista, che regola lo sviluppo degli affari del mondo.
Appare sorprendente l’inversione dei termini della proposizione: d’accordo che
le guerre sfocino inevitabilmente in una pace più o meno giusta; ma Eraclito,
affermando che ogni pace determina una nuova guerra, mette l’accento proprio
sull’esame della pace, della sua natura e delle sue condizioni di instaurazione.
Del resto di quale pace si tratta?! Una
pace di tipo cartaginese alimenta il risentimento, questo motore sconosciuto
della storia: la pace firmata dopo Zama non ha, infatti, impedito la 3^ Guerra
Cartaginese (1871) e di Versailles (1919-20) hanno seminato i germi di guerre
future. La pace armata (bellicosa,
secondo l’espressione dello storico francese Raymond Aron, 1905-1983) resta comunque lorda di minacce, come lo
evidenzia ancora l’attuale situazione della Corea. La guerra cova proprio sotto
la … pace. Allo stesso modo, la pace civile (pace interna di uno Stato), resa
fragile dalle lotte intestine e dalle “forze della notte”, può sfociare su una
guerra civile. Anch’essa portatrice di rischi di internazionalizzazione del
conflitto come l’ha già dimostrato la Guerra dei Trent’anni (1618-1648).
Guerre a catena, guerre ineluttabili. Molti pensatori lo
credono, prestandole persino delle virtù. Ma, credo si possa rimanere comunque
d’accordo su un fatto: solo una pace di qualità respinge lontano lo spettro
della guerra. In effetti, i Trattati di
Westphalia (1648) ed il Congresso di
Vienna (1815), frutto di lunghi negoziati (rispettivamente quattro anni e
nove mesi) e di compromessi ragionevoli, fondati sul diritto hanno aperto la
via a decenni di stabilità in Europa. Ma la
pace attraverso il diritto, cui faceva riferimento Huig de Groot o Grotius
(1583-1645) rimane, purtroppo, una costruzione fragile, in quanto,
incessantemente, la guerra ha il “vizio” di ritornare a galla: la Pace di Nicias (nell’anno -421),
conclusa per 50 anni fra Sparta ed Atene, è durata appena tre anni. Non meno di
130 conflitti hanno avuto luogo dalla creazione dell’ONU, dal quale ci si augurava
che avrebbe potuto costituire una tappa decisiva verso la “pace universale”,
sogno mai abbandonato dai grandi pensatori come Immanuel Kant (1724-1805) nel 1795. La guerra sarebbe a questo
punto la norma di una specie di uno “stato di natura” delle relazioni
internazionali e la pace l’eccezione?
Eraclito lascia intendere che la frontiera fra la guerra e la pace è,
per natura, fluida e sfumata. Il generale Carl
von Clausewitz (1789-1831), nella sua opera Vom Krieg (Della Guerra), affermerà, in modo diverso, senza mezzi
termini, che la “la guerra non è mai un
atto isolato … la guerra non è che la continuazione della politica con altri
mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero
strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua
continuazione con altri mezzi”. Ma nel periodo sovietico si arriverà ad
affermare, senza pudore, che “la pace non
è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi” per la
realizzazione del socialismo.
Da quanto sopra deriva l’attuale indeterminatezza semantica:
la guerra non viene più nominata (“avvenimenti” in Algeria; “operazione
militare speciale” in Ukraina) e soprattutto non viene più dichiarata
(aggressione giapponese a Pearl Harbour o quella russa in Ukraina). La pace
viene sempre più raramente firmata: il conflitto si ferma, ma il fuoco continua
a bruciare sotto la cenere. Lo scienziato scrittore inglese Mark Leonard (1974- ; autore di The Age of Unpeace, 2021) ci dice che
stiamo vivendo nel mondo globalizzato di oggi l’era della a-pace, una specie di
zona grigia che non è più pace ma che non è ancora una guerra: ma bisogna pur sempre
ricordare che una “pace impossibile” significa quasi sempre una “guerra
probabile”.
In tale contesto, guerra e pace si inscrivono in un continuo,
in un concatenamento logico ed implacabile. Eraclito trasforma questa
contraddizione nella stessa struttura dell’evoluzione. La tragedia ukraina
smentisce crudelmente il progressismo e l’ottimismo del politologo Francis Fukuyama (1952- autore della La fine della storia e l’ultimo uomo,
del 1992) e marca la fine “della storia” come conclusione idealizzata della
pace e della democrazia, universali. La citazione di Eraclito che prefigura, invece,
questo “ritorno della storia” deriva da un pensiero complesso; all’opposto del
pensiero binario occidentale egli associa i contrari. Allo stesso modo. La sua
concezione duale del tempo associa successione (come in Occidente) e ciclo
(come in Asia), come l’eterno ritorno delle stagioni. Dopo tutto il filosofo greco
é vissuto proprio nella città di Efeso, esattamente sul limite geografico di
questi due mondi (Occidente ed Asia).
NOTA
(1) Espressione
tratta da “La guerra, cosa ne so io ?”,
1959, del sociologo francese Gaston
Bothoul (1896-1980), citazione che viene spesso attribuita ad Eraclito.
venerdì 9 dicembre 2022
Il reale rischio nucleare Conflitto Nato-Russia. Ipotesi
Le stime sulla consistenza e reale portata del rischio atomico sono varie. Tutte però ipotizzano la fine del pianeta e della vita umana. Ogni esplosione nucleare forma il cosiddetto "pihadon", dalle parole giapponesi Lampo-tuono.. Si sviluppa un calore di milioni di gradi seguito da una ricaduta del fallout radioattivo, cioè polveri contaminate da raggi gamma ed isotopi residui della fissione. Esempio reali di una esplosione atomica sono solo nel 1945. Si registrò un'area di distruzione totale fino a 1,6 km dall'epicentro danni moderati fino a 3,2 km e leggeri fino a 5,6 km
Per un ordigno superiore ad 1 megatone ( 1 milione di tonnellate di esplosivo) il raggio di distruzione supererebbe i 15-30 Km.
Secondo la Università di Princeton (USA) in un ipotetico scenario di guerra in Europa, in circa tre ore in uno scambo tra Nato e Russia di ordigni nucleari, ci sarebbero dai 35 ai 85 milioni di morti, per poi iniziare a contare i decessi dei mesi successivi per le radiazioni. GLi scoppi solleverebbero nella stratosfera milioni e miliardi di tonnellate di terriccio che oscurerebbe la luce solare e darebbe vita al cosiddetto "inverno nucleare" . per mesi ed anni non ci sarebbe sviluppo della vegetazione e quindi dell'agricoltura, e si svilupperebbe una carestia la peggiore della storia umana.
IN sintesi la fine della vita almeno sull'emisfero occidentale russo-europeo.