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mercoledì 28 giugno 2017

Una minaccia sempre presente

Golfo di Aden
Pirateria: tra minaccia e stabilità
Marco Petrelli
22/06/2017
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Un angolo di mondo travagliato, un corridoio marittimo fra i più trafficati nel globo, scafi commerciali e del Wfp (Word Food Program) bersaglio di azioni di pirateria: il Golfo di Aden e il vicino Stretto di Babel Mandeb sono teatro di un'articolata serie di operazioni condotte da Nato e Onu per il contrasto agli illeciti in mare e non solo.

Un problema, quello dei predoni, che affonda le sue radici nella storia stessa del Corno d'Africa: è, infatti, dai tempi più antichi che mercanti, contrabbandieri, schiavisti solcano le acque fra l'Africa e la penisola arabica, commerciando di tutto, anche uomini. Ancora oggi, malgrado la crisi yemenita, sono migliaia i clandestini trasbordati dalla Somalia allo Yemen, disperati che cercano poi di raggiungere l'Arabia Saudita.

Dall’epoca coloniale ai giorni nostri
La pericolosità degli illeciti che si consumano nel Golfo di Aden è nota sin dall'epoca coloniale. Nel 1890, ad esempio, la Regia Marina schiera a Massaua la Divisione Navale del Mar Rosso forte di quattro incrociatori e di una cannoniera con funzioni di gendarmeria marittima. Compito che, oltre un secolo più tardi, esercita il Maritime Security Centre - Horn of Africa (Mschoa), centro operativo dal quale dipende la missione EeNavfor - Operazione Atalanta.

“La Forza Navale Europea opera in una zona compresa tra il Mar Rosso, il Golfo di Aden e parte dell’Oceano Indiano, Isole Seychelles incluse, che rappresenta una zona di mare che per grandezza è simile a tutto il Mar Mediterraneo. […] Può sequestrare le imbarcazioni appartenenti ai pirati, nonché le armi e le attrezzature ritrovate a bordo. Le persone sospettate di avere commesso atti di pirateria possono essere giudicate presso lo Stato membro Ue che le ha catturate, dallo Stato di appartenenza della nave mercantile sequestrata, oppure, in applicazione di specifici accordi con l’Unione europea siglati dal Kenya e dalle Seychelles, discrezionalmente dalle Autorità di tali Paesi. Il contingente militare interforze italiano che opera nella Base Militare Italiana di Supporto a Gibuti è composto da personale per il supporto logistico alle operazioni”: lo si legge in una nota del Ministero della Difesa dedicato all'attività dei soldati italiani a Gibuti, base nella quale si trova personale di tutte le FFAA, dalla Marina forte della fregata Espero agli operatori del 32° Stormo dell'Aeronautica Militare che lavorano con i droni MQ-1C Predator A+, velivoli a comando remoto indispensabili per il pattugliamento aereo di un così esteso specchio d'acqua. C’è pure, a protezione della base, un distaccamento di fucilieri dell'aria dell'Aeronautica, subentrato al 3̊ Rgt Alpini lo scorso febbraio.

Italiani, ma non solo: americani e financo serbi
Al fianco degli italiani, inoltre, ci sono giapponesi, statunitensi (USAfricom), francesi della 13° demi Brigade della Legione straniera e, fino al 2014, i reparti d'elite del VojskaSrbije, come si legge in una nota dell'esercito di Belgrado: “I membri delle forze speciali serbe hanno il primario compito di garantire la sicurezza della nave MSM Douro che trasporta merci per il World Food Program".

Uno schieramento di uomini e mezzi ingente che, tuttavia, non riesce a debellare un fenomeno che ha ripreso vigore inseguito alle sanguinose guerre civili che hanno infiammato Somalia ed Eritrea nell'ultimo ventennio.

“La mancanza di opportunità educative e di lavoro è una delle principali fonti di tensione per la maggior parte dei giovani della Somalia, cosa che li espone all'adescamento da parte di gruppi terroristici e di pirati. La Somalia ha uno dei tassi di iscrizione scolastica più bassi al mondo - poco più del 40% dei bambini va a scuola - e uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile del mondo. L'aspettativa di vita è bassa a causa di elevati tassi di mortalità infantile e materna, della diffusione di malattie, prevenibili, della scarsa igiene sanitaria, della malnutrizione cronica e dei servizi sanitari inadeguati”. Così il World Factbook della Cia (Central Intelligence Agency) descrive la situazione interna somala.

Povertà, criminalità e terrorismo
Un quadro simile a quello uzbeko e tagiko: per chi ha necessità di sopravvivere l'illecito può anche diventare una fonte di reddito. E per le forze navali e terresti internazionali la miseria è un nemico pericoloso quanto il pirata che opera sì sul mare, ma recluta, si rifornisce e si arma a terra, forte dell'assenza di controlli e dell'instabilità del territorio.

Alla criminalità, poi, si aggiunge il pericolo rappresentato da organizzazioni terroristiche, altra piaga che mina la sicurezza della Somalia. E, malgrado gli sforzi internazionali come la missione Amisom (African Union Mission in Somalia), l'isolamento di alcune aree interne rende ancora più precaria la stabilità politica e sociale. Nel rapporto Dei (Diplomazia Economica Italiana), il Ministero degli Esteri ricorda che “la pressoché totale assenza di infrastrutture adeguate, soprattutto nel settore dei trasporti, come porti, aeroporti, strade, ecc, rende gran parte del Paese, e in particolare alcune regioni remote dell’entroterra, difficilmente accessibili”.

Ironia della sorte, altra missione Onu impiegata nel Corno è quella del Qatar che, con il ruolo di mediatore sulle dispute territoriali fra Eritrea e Gibuti (sfociate in aperto conflitto nel 2008), mantiene sulla Penisola di Ras Doumeira un proprio contingente militare con funzioni di peacekeeping.

Una missione di pace all'estero nello stesso momento in cui il Qatar è tutt'altro che in pace e sereno: le accuse di sostenere il terrorismo internazionale mosse da Arabia Saudita, Bahrein, Egitto ed EAU e l'annuncio turco di inviare un contingente di supporto a Doha sono segnali piuttosto evidenti d’una crisi internazionale che sposterà l'attenzione del mondo sui Paesi del Golfo Persico, dimenticando, ancora una volta, tutte quelle aree più periferiche (dalla Somalia al Libano) in cui forze multinazionali operano da anni per assicurare pace e sicurezza nonostante la scarsa, se non quasi inesistente, attenzione dei media e dell'opinione pubblica internazionali.

Marco Petrelli, Laureato in Storia all'Università degli Studi di Firenze è giornalista e collaboratore di testate, online, nazionali per le quali approfondisce argomenti legati alla politica internazionale e alla difesa. È autore di due libri sull'Aeronautica Nazionale Repubblicana.

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