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lunedì 20 marzo 2017

Mediterraneo ed Immigrazione

Italia, Nato e Mediterraneo
Crisi migratoria e Libia, l’anello mancante 
Alessandro Marrone
13/03/2017
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“Ognuno lavora con i mattoni che ha” sosteneva De Gasperi, guardando pragmaticamente agli elementi su cui poteva contare nelle sue politiche al governo del Paese. L’Italia che negli ultimi anni ha affrontato una crisi migratoria senza precedenti, con oltre 500.000 tra profughi e migranti sbarcati sulle sue coste nel 2014-2016, deve applicare lo stesso approccio al nesso tra sicurezza interna ed esterna.

Il flusso migratorio seguito alle rivolte del 2011 nei Paesi arabi ha dimensioni e complessità ben superiori a precedenti esperienze dell’Italia, pure significative, quali negli Anni ‘90 la massiccia immigrazione dai Balcani occidentali all’epoca attraversati da conflitti, crisi e instabilità.

La gestione di un fenomeno del genere implica ovviamente diversi aspetti, tra cui quello di sicurezza ha una dimensione sia interna sia esterna per quanto riguarda il controllo dei confini italiani - che sono anche confini Ue -, il contrasto ai trafficanti di esseri umani e le crisi nei Paesi di origine o transito di migranti e profughi.

Libia: il partenariato non funziona senza uno Stato
Un’adeguata gestione dei flussi migratori sulla rotta che attraversa il Mediterraneo centrale necessita di partenariati con i Paesi del Nord Africa, e non a caso è cresciuto l’attivismo dell’Italia - ma anche della Germania - in Tunisia, Egitto e Libia. Tuttavia, mentre i primi due Stati sono in grado di controllare, pur con diversi problemi, i propri territori e confini, nel terzo l’autorità statale si è disgregata dopo che l’intervento occidentale del 2011 ha contribuito al rovesciamento del regime di Gheddafi senza però lavorare alla successiva stabilizzazione del Paese.

In un certo senso, gli errori commessi all’epoca sul fronte della sicurezza esterna, in particolare dai fautori dell’intervento militare a Parigi, Londra e Washington, hanno avuto ricadute negative e di lungo termine non solo in Libia, ma sulla sicurezza interna dell’Italia e dell’intera Unione europea, Ue messa in crisi anche dalla pressione migratoria senza precedenti cui è sottoposta.

Italia ed Ue hanno cercato e cercano di affrontare la crisi migratoria con diverse politiche e risultati discutibili. Non sembra però ancora esserci in Europa la consapevolezza e la volontà politica di riconoscere appieno il nesso tra sicurezza interna ed esterna e di affrontare quindi la stabilizzazione della Libia come un passo necessario anche per uscire dall’emergenza nella gestione dei flussi migratori.

Il paragone con la missione multinazionale Alba condotta esattamente 20 anni fa dall’Italia in Albania, per stabilizzare il Paese balcanico in preda ad una profonda crisi e fermare così il flusso migratorio verso la Puglia, risulta fuorviante, viste le ovvie differenze tra la situazione albanese dell’epoca e quella libica attuale. Tuttavia è altrettanto fuorviante pensare che per gestire il flusso di migranti dalla Libia basti limitarsi a formare la marina e la guardia costiera di un Paese che non ha uno Stato, oppure siglare accordi con il governo di Tripoli che non controlla metà del territorio libico.

La Nato e le crisi a Sud dell’Europa
Serve quindi una riflessione ulteriore sulla dimensione di sicurezza esterna della crisi migratoria, e sul contributo maggiore che la politica estera e di difesa italiana può dare, lavorando appunto con i mattoni a disposizione a livello nazionale, europeo e transatlantico - tema trattato anche dalla conferenza IAI del 14 marzo.

In particolare, la Nato negli ultimi anni ha posto maggiore attenzione al vicinato meridionale, soprattutto in chiave di contrasto allo Stato Islamico e al terrorismo internazionale islamista, di sostegno a Paesi partner quali Tunisia e Giordania e di contributo alla sicurezza marittima del Mediterraneo con il lancio dell’operazione Sea Guardian. La recente decisione di costituire a Napoli un “hub” per il Sud che supporti le attività di intelligence e di contrasto al terrorismo, nonché i partenariati con i Paesi del Nord Africa e Medio Oriente, va in questa direzione.

La lotta al terrorismo, oggi tra le priorità dell’amministrazione Trump, non deve però causare ulteriore entropia nella regione del Mediterraneo, ma piuttosto essere parte di un complessivo sforzo politico, diplomatico e militare, per stabilizzare quest’area - obiettivo sancito nell’ultimo vertice Nato con l’impegno a proiettare stabilità nel vicinato meridionale dell’Alleanza. Uno sforzo che impari dagli errori del 2011, che sia condotto in cooperazione con l’Ue e che sia basato su un dialogo strategico sia all’interno che all’esterno della Nato.

Sul versante interno, è necessario affrontare la situazione paradossale per cui due Paesi alleati come Francia e Italia sostengono in Libia, direttamente o indirettamente, i due fronti contrapposti di Haftar e al-Serraj. Sul versante esterno, i partenariati bilaterali e multilaterali con i Paesi del Nord Africa e Medio Oriente, inclusi il Mediterranean Dialogue e l’Istanbul Cooperation Initiative, potrebbero essere utilizzati anche per un contribuire ad una convergenza di politiche rispetto alle crisi in corso - a partire proprio da quella libica.

Si tratta di un compito arduo, sul quale pesano negativamente anche le incertezze quanto alla posizione di Stati Uniti e Turchia. Ma è un compito che va tentato perché ne va della sicurezza e stabilità dell’Italia e dell’Ue, ed in ultima analisi della stessa Nato, che accuserebbero non poco di un eventuale altro mezzo milione di migranti in transito dallo Stato fallito libico alle coste italiane nel prossimo triennio.

Alessandro Marrone, Responsabile di Ricerca Programma Sicurezza e Difesa; Twitter @Alessandro__Ma.

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