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I rapporti tra Nato e Unione europea, Ue, ricordano un po’ quelli tra due uomini di mezza età che competono per l’attenzione delle stesse donne, ovvero le capitali dei Paesi europei membri di entrambi le organizzazioni, nel campo della sicurezza e difesa.
Il beauty contest tra due attori diversi La Nato è arrivata prima e gode dell’appeal di un carattere forte come quello statunitense, capace solitamente di imporre una linea e prendere decisioni - anche a volte sbagliando - di fronte al cambiare del contesto internazionale e delle sfide alla sicurezza euro-atlantica. L’Ue, dopo la falsa partenza della Comunità europea di difesa, si è affacciata più recentemente e timidamente in questo campo, cercando di costruirsi un suo fascino puntando sul mix civile-militare, sconosciuto alla Nato, e su un approccio più soft volto a mettere insieme i vari pregi di un attore complesso come l’Unione. Negli anni ’90 e 2000 si è parlato ironicamente, e non a sproposito, di un beauty contest tra due attori che cercavano di dimostrare le loro capacità e successi nei confronti della stessa platea di capitali, con una certa freddezza reciproca che a tratti sfociava nella rivalità aperta. Raccontata così la storia dei rapporti Nato-Ue potrebbe far sorridere, se dietro il beauty contest non ci fossero motivazioni geopolitiche molto serie. La geopolitica di Alleanza e Unione La ratio dell’Alleanza è stata, ed in buona parte lo è ancora, legare in una pace durevole tre poli in precedenza autonomi e spesso in guerra tra loro: il nord America e gli Stati Uniti in primis, gli europei che di guerre fratricide hanno riempito i libri di storia e la Turchia musulmana, ma non islamista, figlia di Ataturk. Altrettanto connaturata alla ragion d’essere Nato era l’esigenza di difendersi dal comune nemico sovietico, di nuovo fortemente sentita dopo l’annessione della Crimea da parte russa e la rinnova aggressività di Mosca. Un compito importante, ma non essenziale è stato invece nel periodo post-Guerra Fredda la gestione delle crisi nel vicinato dei Paesi membri, vedasi Balcani, o in relazione alla lotta al terrorismo islamico, come in Afghanistan e più di recente in Iraq. L’Unione viceversa si è affacciata nel campo della sicurezza e difesa proprio partendo dalla gestione delle crisi, in Africa, Medio Oriente e Asia, visto che lì poteva dare un valore aggiunto e servire gli interessi di sicurezza dei Paesi membri. Infatti la difesa collettiva era lasciata in buone mani Nato, specie in un periodo post-Guerra Fredda in cui la Russia era considerata dai più un partner e non una minaccia, e la pace tra i Paesi europei era assicurata da un lato dall’egemonia militare Usa e dall’altra dall’integrazione economica europea. Proprio l’integrazione europea ha creato degli interessi comuni, dalla stabilizzazione dei Balcani occidentali alla lotta alla pirateria, dall’affrontare alcune crisi in Africa non di interesse Nato al più recente controllo dei confini Ue rispetto alla pressione migratoria, ed il necessario contesto politico-istituzionale - incluso il Trattato di Lisbona - per un maggiore ruolo dell’Ue nel campo della sicurezza e difesa. Ruolo in teoria facilitato dalla maggiore omogeneità dei Paesi membri, che non comprendono né superpotenze come gli Usa né grandi stati musulmani come la Turchia, ma in realtà complicato dalla divergenza di politica estera tra poche medie potenze di peso economico, demografico e militare tutto sommato comparabile, e non così maggiore rispetto ad altri stati più piccoli che hanno voce in capitolo nelle istituzioni Ue. Tale complicazione ha pesato sull’elaborazione della EU Global Strategy che nonostante ciò ha rafforzato il ruolo dell’Ue con una visione complessiva articolata e ambiziosa. Vertice di Varsavia e cooperazione Nato-Ue Due profili dunque diversi, in parte sovrapposti e in parte complementari, che hanno visto Nato e Ue oscillare tra collaborazione - vedasi gli accordi di Berlin Plus nel 2003, e la buona cooperazione sul campo in molte missioni - e rivalità, anche sull’onda degli altalenanti rapporti tra Stati Uniti e Francia e della mai risolta questione turco-cipriota. Il pendolo nel 2016 è oscillato nettamente verso la collaborazione, con la dichiarazione congiunta Nato-Ue firmata al vertice di Varsavia di luglio che individuava sette aree di cooperazione e incaricava i rispettivi staff e le istituzioni di proporre azioni concrete al riguardo. Tra i motivi di questa accelerazione cooperativa vi è anche il fatto che negli ultimi anni i governi dei Paesi membri di Nato e Ue sono diventati più insoddisfatti delle prestazioni di entrambi gli attori, specie su questioni che impauriscono l’elettorato europeo, come terrorismo e crisi migratoria, tanto da metterne in dubbio la rilevanza – vedasi Brexit, Trump, e non solo. Di fronte al rischio di perdere d’interesse agli occhi delle capitali, Nato e Ue sembrano aver messo da parte ogni velleità di beauty contest e aver compreso che insieme possono servire meglio i propri azionisti e finanziatori e quindi continuare a contare. Se questa è la strada tracciata a luglio, cinque mesi dopo i passi in avanti sono stati modesti. Le azioni congiunte approvate rispettivamente dal Consiglio Nord Atlantico e dal Consiglio europeo a dicembre 2016 riguardano soprattutto lo scambio d’informazioni e analisi, i contatti a livello di staff, la consultazione sullo sviluppo di capacità militari, una serie di esercitazioni coordinate, la costituzione di gruppi di lavoro tra i rispettivi centri di eccellenza (ad esempio sulla “guerra ibrida”), e ulteriori mandati e scadenze per forzare le rispettive “macchine” diplomatico-militari a lavorare insieme. Nel complesso, un risultato senza dubbio positivo e non scontato, in buona parte frutto dell’impegno bottom-up degli addetti ai lavori, che sembra seppellire una rivalità ormai obsoleta, ma che non rappresenta quel cambio di passo top-down necessario per rispondere alle sfide del quadro di sicurezza attuale e alle paure dei cittadini occidentali. Cambio di passo che non c’è stato anche perché sia Nato che Ue devono ancora verificare le conseguenze della presidenza Trump e attendere gli esiti delle elezioni francesi e tedesche nel 2017. Per tornare alla metafora iniziale, i due attori non più rivali hanno offerto alla platea di dame nella varie capitali, esigenti ed esitanti, ciò che di buono potevano offrire, e starà ora alle nuove (o vecchie) leadership nazionali rispondere e decidere cosa farne. Come in certi rapporti di coppia, alla fine l’uomo propone e la donna dispone. Alessandro Marrone, Responsabile di Ricerca Programma Sicurezza e Difesa; Twitter @Alessandro__Ma. | ||||||||
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