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venerdì 19 febbraio 2016

Ancora una ricerca di una strategia sull'immigrazione

Immigrazione
Mini-Schengen, ricetta per scongiurarla 
Corso Pisacane
16/02/2016
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I prossimi tre mesi saranno decisivi per la tenuta dell’area Schengen. O si riuscirà a far funzionare un sistema che prevede controlli comuni delle frontiere, un’accoglienza ben gestita ed equa, e in prospettiva un sistema comune di asilo e di rimpatri, o l’area di libera circolazione dei cittadini europei, della quale abbiamo beneficiato finora, collasserà. Gli scricchiolii sono già pesanti.

Apparenza più che sostanza 
Sei Stati membri, fra cui la Germania, hanno reintrodotto i controlli alle frontiere per frenare il flusso dei migranti e li rinnovano di mese in mese, conformemente al Codice frontiere Schengen. Inoltre, viene ventilata l’ipotesi di una Mini Schengen. A Bruxelles ufficialmente non se ne è parlato, ma si sa che si tratta di un progetto che è nei cassetti di alcune cancellerie, probabilmente del Benelux, ma non solo.

Anche se se ne parla poco, anche la Svizzera, Paese Schengen, potrebbe in realtà limitare la libertà di circolazione delle persone. Sulla base di un’iniziativa legislativa popolare (iniziativa del 9.2.2014 sull’immigrazione di massa) entro un anno dovranno infatti essere introdotte quote e tetti massimi all’ingresso di stranieri, Ue e non Ue.

Tutto ciò avviene perché i flussi di migranti arrivati in Europa hanno raggiunto dimensioni di difficile gestione (più di un milione di domande d’asilo registrate). In realtà, più che di sostanza si tratta di apparenza. Un continente come l’Europa può gestire questi numeri, ma l’opinione pubblica percepisce i flussi in arrivo come un’invasione; e per la politica ciò che conta è la percezione dei cittadini elettori.

In particolare la Germania è confrontata con una sfida particolare e la cancelliera Angela Merkel deve dimostrare di saper gestire il fenomeno, frenando i flussi in arrivo, soprattutto quelli secondari dai Paesi ai confini dell’area Schengen.

Italia e Grecia sotto esame
E questi sono essenzialmente Grecia e Italia. Il nostro Paese è al momento “secondario” in questo scenario, almeno da quando i flussi si sono spostati sulla rotta balcanica. Non dimentichiamo però che siamo sotto osservazione proprio in questi mesi nell’ambito della “valutazione Schengen”.

La Grecia è messa peggio, ed è passata al Consiglio dell’Unione europea, Ue, una raccomandazione sulle misure da adottare per porre rimedio alle carenze riscontrate nel 2015 nell’applicazione dell’acquis Schengen. Atene avrà ora tre mesi di tempo per rimediare, e i novanta giorni, non casualmente, scadranno il 12 maggio, termine ultimo della chiusura delle frontiere da parte della Germania con la procedura finora invocata.

Che cosa succederà il giorno seguente? Se la Grecia avrà sostanzialmente contribuito a ridurre i movimenti secondari, forse la Germania non chiederà ulteriori proroghe. Occorrerà però anche agire sulla Turchia. Dei contatti sono in corso. Se non ci saranno sostanziali miglioramenti non è da escludere il collasso dell’area Schengen e la nascita di un sistema ridotto, tipo “mini Schengen”.

La Germania e il salto di qualità delle politiche migratorie
Evidentemente è un’opzione che tutti vogliono evitare. Anche la Germania, paese che, come o forse più degli altri, beneficia del regime delle quattro libertà garantite dai trattati Ue, ma anche per l’Italia, secondo Paese manifatturiero dell’Ue, sarebbe un disastro.

Come spesso accade molto gira intorno alla Germania. Il Governo tedesco nell’estate scorsa aveva dato prova di grande lungimiranza in tema di accoglienza, anche sospendendo l’applicazione del regolamento di Dublino ed accogliendo i richiedenti asilo indipendentemente dal Paese di primo arrivo. Poi i numeri sono diventati troppo impegnativi anche per Berlino.

In ogni caso la Germania pare il Paese più interessato a far compiere un salto di qualità alle politiche migratorie dell’Ue. In questo auspicio la possiamo associare all’Italia. Anche per il governo italiano è necessario arrivare a un vero sistema di accoglienza, che superi Dublino, al riconoscimento delle sentenze di asilo, a rimpatri comuni e a forme più incisive di controllo delle frontiere.

Su questi aspetti si può quindi cementare una collaborazione rafforzata fra Roma e Berlino, già sperimentata in tema di relazioni migratorie con l’estero, ed in particolare con il lancio ed i primi passi del Processo di Khartoum (collaborazione migratoria con i Paesi mediterranei e del Corno d’Africa).

Corso Pisacane è giornalista freelance.
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