Siria e Ucraina Il resistibile conflitto tra Putin e Obama Ugo Tramballi 05/10/2015 |
La differenza fra Bill Clinton e Barack Obama – insieme 16 anni di potere americano democratico, sia domestico che globale – è la politica. Lo ha detto una volta Leon Panetta che dell’amministrazione Clinton fu il chief of staff, la carica di maggior potere dopo quella del presidente, e con Obama è stato segretario alla Difesa e capo della Cia.
Clinton, diceva Panetta, era venuto dal basso, aveva fatto il governatore di uno stato fra Mid West e Sud, l’Arkansas: amava la politica, si buttava nella mischia, ne governava la brutalità e l’arte del compromesso tutte le volte che occorreva, cioè quasi sempre.
Obama invece è un idealista, un liberal a tutto tondo che in realtà detesta le nuance della politica e le evita ogni volta che può.
Per lui c’è un bene e un male, difficilmente una via di mezzo. Il famoso discorso al mondo arabo dall’università di Al-Azhar del Cairo, per esempio, fu un capolavoro di retorica liberale al quale tuttavia non seguì la consistenza di una politica sul campo: promosse il cambiamento, ma non lo governò.
Esempi ancora più completi di questa idiosincrasia per il fango e la polvere della politica, sono il Medio Oriente e Vladimir Putin: il modo col quale Obama li ha affrontati, soprattutto il modo col quale ha tentato di evitarli.
Forse Vladimir Vladimirovich non avrebbe rischiato così tanto prima in Ucraina e poi in Siria, non avrebbe tentato di riaffermare così rapidamente l’ambizione imperiale russa, se i tentennamenti e il disimpegno di Obama non gli avessero così repentinamente aperto una prateria geopolitica.
Putin detta l’agenda della crisi ucraina
L’Ucraina e la Siria hanno molte similitudini nel comportamento dell’amministrazione Usa e in quello di Putin. La prima non era una priorità per gli Stati Uniti che non avevano la necessità né l’urgenza di aggiungerla alla Nato: non fosse stato così, non avrebbero lasciato a Germania e Francia la rappresentanza occidentale al vertice di Minsk.
Non era una priorità nemmeno per l’Unione europea, Ue, ad eccezione di polacchi e repubbliche baltiche. Quando sono iniziate le manifestazioni popolari in piazza Maidan, Obama non aveva una politica, a parte la reazione naturale a ogni governo occidentale di sostenere tutte le rivolte democratiche: era accaduto anche in piazza Tahrir, al Cairo.
Per Putin invece l’Ucraina era la priorità. Dal tipo di governo al potere a Kiev dipendeva quanto lontano sarebbe stata la Nato dalle frontiere occidentali russe; quanto vicino o lontano si sarebbe dispiegato il sistema missilistico anti-missile statunitense; quale postura avrebbe dovuto avere la strategia difensiva russa.
Per questo è sempre stato Putin a definire agenda e azioni in Ucraina. Stati Uniti e Ue hanno sempre solo reagito alle sue mosse. E se non fossero state così spregiudicatamente militari, la reazione occidentale sarebbe stata molto più cauta.
Siria, il fallimento di Obama
Così in Siria. C’è qualcosa che a Washington non ha funzionato se Obama arma e finanzia da anni l’esercito iracheno senza che questo sia forte abbastanza per tenere testa all’autoproclamatosi “stato islamico”; rifiuta di dare ai ribelli siriani le armi più potenti per impedire che cadano nelle mani del califfato, così facendo impedendo loro di vincere; tratta con gli iraniani sul nucleare, rischiando molto con i repubblicani in Campidoglio e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme.
Poi è Putin a firmare un’alleanza armata con l’Iraq, l’Iran e il regime siriano per combattere lo “stato islamico”. La politica è arte del compromesso e ideali, ma anche temerarietà.
Farne sfoggio per Putin è più facile che per Obama. Il primo non ha un’opinione pubblica alla quale rispondere e il voto favorevole della compiacente Duma è solo un atto formale e scontato.
Obama deve rispondere a una società civile, una stampa e a un Congresso veri: camera dei rappresentanti e senato, entrambi a maggioranza repubblicana, poi, sono così ostili al presidente da votare contro a priori. Esattamente come la Duma, che invece vota sì, senza nemmeno chiedersi cosa si stia decidendo.
Usa e Russia, verso un nuovo bipolarismo
Come il mondo prima del crollo dell’Unione Sovietica, le relazioni internazionali stanno tornando verso un bipolarismo fra due sistemi diversi. Anche se ora il capitalismo è comune a entrambi e potrebbe aggiungersi alla deterrenza nucleare (l’equilibrio del terrore, quello non cambia mai) per convivere e a volte collaborare meglio di prima. E come prima ci saranno alti e bassi, disgeli e nuove gelate.
A meno che Putin non si faccia prendere da una mania di grandezza più grande di quella mostrata fino ad ora, Stati Uniti e Russia cercheranno un modo per combattere insieme lo “stato islamico” e avviare prima o poi il negoziato per una nuova Siria, molto probabilmente senza Bashar Assad.
Ma una volta di più, come nel vecchio mondo della Guerra fredda, non è una Siria senza risorse energetiche il nocciolo del problema. Sarà l’Ucraina, cioè l’Europa il vero terreno di confronto o di collaborazione.
Ugo Tramballi è giornalista e inviato de Il Sole 24 Ore.
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Clinton, diceva Panetta, era venuto dal basso, aveva fatto il governatore di uno stato fra Mid West e Sud, l’Arkansas: amava la politica, si buttava nella mischia, ne governava la brutalità e l’arte del compromesso tutte le volte che occorreva, cioè quasi sempre.
Obama invece è un idealista, un liberal a tutto tondo che in realtà detesta le nuance della politica e le evita ogni volta che può.
Per lui c’è un bene e un male, difficilmente una via di mezzo. Il famoso discorso al mondo arabo dall’università di Al-Azhar del Cairo, per esempio, fu un capolavoro di retorica liberale al quale tuttavia non seguì la consistenza di una politica sul campo: promosse il cambiamento, ma non lo governò.
Esempi ancora più completi di questa idiosincrasia per il fango e la polvere della politica, sono il Medio Oriente e Vladimir Putin: il modo col quale Obama li ha affrontati, soprattutto il modo col quale ha tentato di evitarli.
Forse Vladimir Vladimirovich non avrebbe rischiato così tanto prima in Ucraina e poi in Siria, non avrebbe tentato di riaffermare così rapidamente l’ambizione imperiale russa, se i tentennamenti e il disimpegno di Obama non gli avessero così repentinamente aperto una prateria geopolitica.
Putin detta l’agenda della crisi ucraina
L’Ucraina e la Siria hanno molte similitudini nel comportamento dell’amministrazione Usa e in quello di Putin. La prima non era una priorità per gli Stati Uniti che non avevano la necessità né l’urgenza di aggiungerla alla Nato: non fosse stato così, non avrebbero lasciato a Germania e Francia la rappresentanza occidentale al vertice di Minsk.
Non era una priorità nemmeno per l’Unione europea, Ue, ad eccezione di polacchi e repubbliche baltiche. Quando sono iniziate le manifestazioni popolari in piazza Maidan, Obama non aveva una politica, a parte la reazione naturale a ogni governo occidentale di sostenere tutte le rivolte democratiche: era accaduto anche in piazza Tahrir, al Cairo.
Per Putin invece l’Ucraina era la priorità. Dal tipo di governo al potere a Kiev dipendeva quanto lontano sarebbe stata la Nato dalle frontiere occidentali russe; quanto vicino o lontano si sarebbe dispiegato il sistema missilistico anti-missile statunitense; quale postura avrebbe dovuto avere la strategia difensiva russa.
Per questo è sempre stato Putin a definire agenda e azioni in Ucraina. Stati Uniti e Ue hanno sempre solo reagito alle sue mosse. E se non fossero state così spregiudicatamente militari, la reazione occidentale sarebbe stata molto più cauta.
Siria, il fallimento di Obama
Così in Siria. C’è qualcosa che a Washington non ha funzionato se Obama arma e finanzia da anni l’esercito iracheno senza che questo sia forte abbastanza per tenere testa all’autoproclamatosi “stato islamico”; rifiuta di dare ai ribelli siriani le armi più potenti per impedire che cadano nelle mani del califfato, così facendo impedendo loro di vincere; tratta con gli iraniani sul nucleare, rischiando molto con i repubblicani in Campidoglio e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme.
Poi è Putin a firmare un’alleanza armata con l’Iraq, l’Iran e il regime siriano per combattere lo “stato islamico”. La politica è arte del compromesso e ideali, ma anche temerarietà.
Farne sfoggio per Putin è più facile che per Obama. Il primo non ha un’opinione pubblica alla quale rispondere e il voto favorevole della compiacente Duma è solo un atto formale e scontato.
Obama deve rispondere a una società civile, una stampa e a un Congresso veri: camera dei rappresentanti e senato, entrambi a maggioranza repubblicana, poi, sono così ostili al presidente da votare contro a priori. Esattamente come la Duma, che invece vota sì, senza nemmeno chiedersi cosa si stia decidendo.
Usa e Russia, verso un nuovo bipolarismo
Come il mondo prima del crollo dell’Unione Sovietica, le relazioni internazionali stanno tornando verso un bipolarismo fra due sistemi diversi. Anche se ora il capitalismo è comune a entrambi e potrebbe aggiungersi alla deterrenza nucleare (l’equilibrio del terrore, quello non cambia mai) per convivere e a volte collaborare meglio di prima. E come prima ci saranno alti e bassi, disgeli e nuove gelate.
A meno che Putin non si faccia prendere da una mania di grandezza più grande di quella mostrata fino ad ora, Stati Uniti e Russia cercheranno un modo per combattere insieme lo “stato islamico” e avviare prima o poi il negoziato per una nuova Siria, molto probabilmente senza Bashar Assad.
Ma una volta di più, come nel vecchio mondo della Guerra fredda, non è una Siria senza risorse energetiche il nocciolo del problema. Sarà l’Ucraina, cioè l’Europa il vero terreno di confronto o di collaborazione.
Ugo Tramballi è giornalista e inviato de Il Sole 24 Ore.
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